Boccia ha detto che ha una
fissazione e vuole che sia di tutti: quella della “crescita”, intende economica, e questa passa per un’altra
“fissazione” quella dello scambio “salario/produttività”, e anche questo
vuole che sia un problema di tutti! E intende padroni, sindacati e governo.
Partiamo, quindi, da ciò
che è stato detto chiaro e tondo rispetto agli operai, come dice Boccia “da
quello che conosciamo meglio e che sappiamo fare meglio: la nostra industria”: “La
variabile decisiva per le nostre imprese è la produttività”. Per i padroni
produttività significa che gli operai devono produrre di più, in tempi più
brevi, affinché con prezzi più bassi delle merci e pagando meno salari, possano
affrontare meglio la concorrenza, cioè strappare mercati agli altri capitalisti
vendendo di più e, quindi, facendo più profitti!
E come un’ossessione
appunto, sulla produttività Boccia torna più volte, in un altro passo per
esempio dice: “Consideriamo da sempre lo scambio ‘salario/produttività’ una questione cruciale e crediamo che
la contrattazione aziendale sia la sede dove
realizzare questo scambio.”
Ma per riuscire a fare
tutto questo Boccia individua nel suo discorso degli “ostacoli” da superare e
cioè l’esistenza di “relazioni industriali”, e cioè i rapporti con i sindacati,
non ancora “moderni” e l’esistenza del contratto nazionale che deve essere
sostituito, appunto, dal contratto aziendale, quello cosiddetto di secondo
livello.
I padroni, dunque, sono
chiamati da Boccia a “costruire un
capitalismo moderno fatto di mercato, di apertura ai capitali e di
investimenti nell’industria del futuro.” Alcuni padroni, secondo Boccia, sono
già su questa strada, sono riusciti a rimanere a galla, “hanno superato la
crisi. L’hanno superata perché hanno
innovato. Hanno esportato.
Perché hanno modernizzato la governance.
(cioè il modo di dirigere l’azienda)… Hanno aperto il capitale dell’impresa” (cioè, rispetto a come facevano in
passato, hanno accettato che altri capitalisti mettessero soldi nell’azienda
diventando anche loro padroni senza più paura di perderne il “controllo”, “rischiando”
di più e ammodernando le fabbriche con la nuova tecnologia). Quelli che invece
non hanno fatto tutto questo hanno chiuso o
sopravvivono malamente.
sopravvivono malamente.
Per “crescere” e stare
sul mercato i padroni devono smetterla poi di chiedere soldi in prestito alle
banche e invece devono raccogliere capitale tra chi è disposto appunto a
rischiare nell’impresa. Anche a questo ha pensato Boccia, ad un aiutino a quelle
imprese che non ce la fanno, dice infatti: “Lavoreremo affinché al programma
“Elite” di Borsa Italiana partecipi un numero molto più ampio di imprese, un
numero che deve passare da poche centinaia a diverse migliaia.”
Alle banche comunque
Boccia chiede, quando è necessario, di prestare soldi alle aziende, di non
essere diffidenti e, per verificare quanto queste siano solide, di non starsene
negli uffici a controllare carte come dei burocrati, ma di “entrare nei
capannoni” per vedere con i propri occhi cosa sanno fare.
E a proposito di
burocrati Boccia tira dentro i rapporti con i sindacati che, se vogliono essere
“moderni”, devono cambiare: “ ... Le relazioni industriali devono contribuire
in maniera decisiva alla crescita della ricchezza e del benessere delle imprese
e delle persone. Devono diventare rapporti tra
soggetti consapevoli che condividono gli obiettivi di sviluppo aziendale.”
E ancora: “Dobbiamo costruire la stagione della collaborazione per la
competitività, sapendo che, ogni volta che non riusciremo a comprendere le
ragioni dell’altro e a interpretare il futuro, sarà un fallimento di tutti:
nostro, dei sindacati e del Paese.”
La “modernità”, quindi,
sarebbe quella di non occuparsi degli interessi dei lavoratori ma condividere
gli obbiettivi di sviluppo aziendale. Boccia qui gioca a fare il cretino
smemorato, perché i sindacati confederali questo lo fanno da decenni!
Se da un lato, infatti, a
questi sindacati viene riconosciuto il merito, insieme ai padroni, di aver “…
messo in moto il cambiamento nella
contrattazione con gli accordi interconfederali degli anni passati: questi
devono costituire la base per andare
oltre. Per questo motivo, avevamo chiesto ai sindacati di riscrivere
insieme le regole della contrattazione collettiva.” Cioè, nella sostanza, quelle
che aboliscono di fatto il contratto nazionale e i residui diritti dei
lavoratori, e “Vi erano tutte le condizioni per farlo e favorire così un processo di decentramento della
contrattazione, moderno e ordinato, come sta accadendo in Europa.” Ma, tra
scioperi operai e richieste di aumenti, qualcosa è andato storto. È per questo
che Boccia e i suoi padroni hanno accettato “a malincuore … la decisione delle
organizzazioni sindacali di arrestare questo processo per dare precedenza ai
rinnovi dei contratti collettivi nazionali nel quadro delle vecchie regole, lasciando
così ai singoli settori il gravoso compito di provare a inserire elementi di
innovazione.” E purtroppo per loro “Adesso non si può interferire con i rinnovi
aperti.” Ma “Quando riprenderemo il confronto, avremo come bussola lo scambio “salario/produttività” e sarebbe opportuno
che le nuove regole fossero scritte dalle Parti Sociali e non dal legislatore.”
Boccia è un immenso bugiardo visto che, grazie anche al Jobs Act passato con l’accordo
sindacale, già tantissimi contratti nazionali sono stati firmati con le “nuove”
regole e di fatto senza aumenti contrattuali. Ma per i padroni anche questa
delle bugie è una “fissazione”!
Ma Boccia sa bene che se
lui e la sua Confindustria riescono davvero a realizzare i loro “sogni”,
nasceranno altri problemi “altrettanto importanti”, e ne cita due in
particolare: “La bassa crescita e le trasformazioni del tessuto produttivo
determinano disallineamenti tra domanda
e offerta di lavoro, livelli di disoccupazione giovanile tragicamente
elevati, carriere lavorative e percorsi
professionali frammentati.” E cioè, visto che tante fabbriche chiudono e
quelle che restano aperte devono sostituire gli operai con mezzi di produzione
più moderni, e i posti di lavoro persi con i licenziamenti non saranno
rimpiazzati, ci sarà un aumento della disoccupazione, quella giovanile in
particolare, e l’aumento della precarietà! E allora per Boccia qui è necessario
l’intervento del governo con le sue “politiche attive” che devono “funzionare
al meglio” perché “Non basta prevedere risorse, bisogna mettere in funzione un sistema che l’Italia non ha mai avuto.
Il funzionamento efficace di questo sistema richiede un interesse fattivo e
creatività delle parti sociali.” E anche i padroni faranno uno sforzo mettendo,
se necessario dei fondi, daranno “un contributo concreto, anche attraverso i
fondi interprofessionali.” E i problemi non finiscono qui, dato che “Vi è poi
la grande sfida dell’invecchiamento
attivo.” Cioè gli operai licenziati sono ancora troppo giovani. E poi: “I
mutamenti degli ultimi decenni sono evidenti a tutti: gli italiani sono sempre più anziani, i nuclei familiari più fragili, le esigenze di salute in aumento”. Qui uno si aspetta che Boccia
chiami il governo a dare una mano almeno alle “esigenze di salute” e invece con
una certezza piuttosto arrogante Boccia dice che è consapevole “lo Stato andrà via
via restringendo il proprio raggio di azione nelle politiche sociali” che
dovrebbero essere sostituite dal “welfare aziendale”. Come sta infatti
accadendo con alcuni contratti, invece di aumentare il salario si propone ai
lavoratori di accettare qualche “bonus” come asili nido, buoni pasto ecc. che
il padrone si può pure scaricare dalle tasse!
Per commuoverci e
convincerci che ha ragione su questo raccontino e che per questo dobbiamo stare
tutti insieme Boccia ci presenta una situazione economica mondiale e nazionale
da brivido, lo vediamo quasi piangere:
“Viviamo tempi difficili,
con un quadro mondiale caratterizzato da incertezza e instabilità senza
precedenti. Il terrorismo internazionale e le forti ondate migratorie sono
ormai caratteristiche permanenti della nostra epoca. L’aumento delle disuguaglianze
dentro i paesi avanzati è una delle cause ultime della crisi. La crescita
globale non si consolida. Il Fondo Monetario Internazionale ha da poco
abbassato ulteriormente le proprie stime. Gli esperti parlano di “stagnazione
secolare”. È una diagnosi che riporta indietro le lancette dell’orologio a
un’era che non vogliamo rivivere: gli anni Trenta e il mondo aveva davanti a sé
scenari tetri.”
Questo a livello
mondiale, passiamo all’Italia:
“La nostra economia è
senza dubbio ripartita. Ma non è in ‘ripresa’. È una risalita modesta,
deludente, che non ci riporterà in tempi brevi ai livelli pre-recessione. Le
conseguenze della doppia caduta della domanda e delle attività produttive sono
ancora molto profonde. Per risalire la china dobbiamo attrezzarci al nuovo
paradigma economico.”
E quale sarebbe questo
nuovo paradigma? Come abbiamo visto significa “costruire un capitalismo moderno fatto di mercato, di apertura ai capitali e
di investimenti nell’industria del futuro.” E visto che “Lo stallo non è
soltanto economico, è anche politico. Soprattutto politico.” Bisogna che ad un
capitalismo moderno segua una “democrazia
moderna” delle “Istituzioni moderne”. È per questo che bisogna “proseguire
con forza sulla strada delle riforme”. E per Boccia “le riforme non hanno un
nome, ma un oggetto. Non conta chi le fa, ma come sono fatte.” Perché “Le
riforme possono inaugurare una grande stagione della responsabilità, nella
quale chi governa sceglie e prende
decisioni e il consenso si misura sui risultati.” “Una democrazia moderna
prevede che chi si oppone a una riforma, a un governo o a una misura avanzi
proposte alternative subito praticabili e non usi l’opposizione solo per
temporeggiare.” Boccia, per non essere frainteso, vuole una “democrazia moderna”
in tutti i campi: “Vogliamo che fin dalle scuole si insegnino, con l’educazione
civica, il valore del fare, i principi dell’economia, il ruolo dell’impresa e
dell’industria.”; “Vogliamo che non ci sia più contrapposizione tra Istituzioni
e imprese; che la cultura dello sviluppo economico contamini l’amministrazione
pubblica, la giustizia.” E servono le riforme importanti come quelle in corso
di tipo costituzionale: “Confindustria si batte fin dal 2010 per superare il bicameralismo perfetto e
riformare il Titolo V della Costituzione. Con soddisfazione, oggi, vediamo che questo traguardo è a portata di
mano.” Perché è vero che “Molto è stato fatto, a cominciare dal mercato del lavoro, dal fisco, dalla scuola, dalla Pubblica Amministrazione ... Ma – soprattutto –
le nuove leggi devono diventare
comportamenti, per ottenere i quali serve
coerente e perseverante applicazione.” E in questo “Il tempo è cruciale”! Il
governo Renzi quindi è avvertito e
chiamato a non deludere su questi punti i padroni di Confindustria. Il “traguardo
è a portata di mano” cioè per Boccia finalmente la possibilità che questo paese
faccia ancora passi avanti verso un paese moderno fascista con un governo al
servizio completo dei padroni e che possa decidere rapidamente, senza
opposizione.
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