Lettera a Maurizio Crozza
VENERDI 3 GIUGNO ORE 19 IN VIA BARGAGALLO-FUORIGROTTA
Ciao Maurizio
Siamo cinque operai FIAT di Pomigliano, anzi per ora ex operai. Siamo stati licenziati per un’iniziativa fuori ai cancelli della fabbrica per protestare contro una serie di suicidi di nostri compagni di lavoro.
Siamo abbastanza conosciuti per la cronaca come quelli che “hanno impiccato Marchionne”. In realtà, nella nostra rappresentazione, che ha invaso per un attimo il tuo campo, la satira, Marchionne si impiccava da solo suicidandosi e chiedendo scusa per i guai arrecati ai suoi sottoposti con le sue politiche.
Per un suicidio per finta costruito per sensibilizzare la gente sui suicidi veri dei nostri compagni, la FIAT ci ha licenziato e due giudici, per ora, hanno confermato in tribunale il nostro licenziamento.
La nostra ironica protesta avrebbe rappresentato, come dice la sentenza del tribunale di Nola “un intollerabile incitamento alla violenza”, “una palese violazione dei più elementari doveri discendenti dal rapporto di lavoro”, nonchè un “gravissimo nocumento morale all’azienda e al suo vertice societario” tali “da ledere irreversibilmente il vincolo di fiducia sotteso al rapporto di lavoro”.
Che Marchionne non fosse uno capace di ridere lo sapevamo, ora conosciamo anche la “serietà” pelosa dei giudici di Nola.
La stessa “serietà” dimostrata contro di noi i giudici di Nola, però, non l’hanno manifestata nei confronti della FIAT per i suicidi dei nostri compagni.
Sempre nella stessa sentenza il giudice ci dice che “… non certa e comprovata è la dichiarata responsabilità della società resistente, e per essa dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, per la morte di lavoratori della FIAT. … Ora, pur non volendosi assolutamente minimizzare il disagio sociale ed esistenziale che in un lavoratore può provocare la condizione di incertezza e inattività lavorativa data dalla collocazione in CIGS, pare tuttavia doveroso affermare che non sono emersi in giudizio (né sono stati dedotti dai ricorrenti) elementi (gravi, precisi e concordanti) da cui poter desumere un immediato nesso di causalità tra i tragici suicidi dei predetti lavoratori e la conduzione manageriale imputabile all’amministratore delegato della società resistente”.
Che non esista un “nesso di causalità” tra i suicidi dei nostri compagni e le politiche FIAT è una affermazione quanto meno originale, ma la cosa non finisce qui perché il (la) secondo giudice che conferma nel ricorso la prima sentenza, è ancora più drastico nei nostri confronti per il “grave nocumento” procurato a Marchionne.
Seconda sentenza: “Laddove l’amministratore delegato … è stato apertamente e direttamente accusato delle morti per suicidio di alcuni lavoratori (“Chiedo scusa per le morti che ho provocato”). Trattasi di un’accusa grave, che non ha alcun riscontro obiettivo, non essendovi alcuna prova circa il nesso di causalità tra le politiche aziendali e l’estremo grave gesto compiuto da taluni cassintegrati, dipendenti della società resistente.
Non può sottacersi che uno dei dipendenti, collega dei manifestanti, si è suicidato lasciando, uno scritto nel quale si attribuiva tale scelta alla propria condizione lavorativa, ma ciò non basta per poter apertamente e pubblicamente accusare un soggetto e la società che egli rappresenta, di aver istigato taluni lavoratori al suicidio”.
Riportando da un articolo che fa un po’ di verità sul nostro caso, leggiamo che “In Italia, secondo i dati della Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2009 ci sono stati 6,7 suicidi ogni 100.000 abitanti. I dati degli anni successivi non si discostano molti da questi numeri. Abbiamo cioè circa un suicidio ogni 15.000 abitanti, un numero di 45 volte maggiore dei 316 operai deportati a Nola. Eppure in questa ristretta coorte di cassintegrati di Nola abbiamo ben due suicidi nello stesso anno (2014) che si aggiungono ad uno precedente nel 2012 e ad altri tentativi di suicidio non riusciti. Un dato statistico sconvolgente. Per molto meno in medicina si decide della patogenicità di un materiale”. La (giudice) D’Ambrosio e la sua collega invece non fanno una grinza e continuano a chiedere che si mostrino loro “gli elementi gravi precisi e concordanti”.
Cosa dire, abbiamo invaso il tuo campo e l’abbiamo pagata cara.
Ora tra qualche mese c’è la seduta d’appello, in un altro tribunale, quello di Napoli. Il problema è che la sentenza del tribunale di Nola sta già facendo scuola. Negli ultimi tempi sono aumentati i licenziamenti di lavoratori che non hanno rispettato “l’obbligo di fedeltà verso l’azienda” che a quanto sembra deve essere rispettato 24 ore su 24, dentro e fuori dagli stabilimenti, stando attenti a non dire niente che possa turbare “i datori di lavoro”, men che meno con rappresentazioni che possono scatenare risate sulle loro rispettabili persone.
I tempi sono quelli che sono. Si comincia a dibattere di partiti unici. Negare il diritto di critica e di satira è una tendenza pericolosa che, per ora parte dagli operai, ma che minaccia di arrivare agli altri.
E qui entri in balli tu. Oggi sei un punto di riferimento per la satira in Italia. Riesci a far riflettere la gente con una risata. Noi operai tuttalpiù facciamo solo piangere attualmente.
Abbiamo fatto una colletta e alcuni di noi verranno a vederti a Napoli il 3 giugno.
Se tu ci dessi una mano sarebbe una grande cosa.
Ciao Maurizio
Siamo cinque operai FIAT di Pomigliano, anzi per ora ex operai. Siamo stati licenziati per un’iniziativa fuori ai cancelli della fabbrica per protestare contro una serie di suicidi di nostri compagni di lavoro.
Siamo abbastanza conosciuti per la cronaca come quelli che “hanno impiccato Marchionne”. In realtà, nella nostra rappresentazione, che ha invaso per un attimo il tuo campo, la satira, Marchionne si impiccava da solo suicidandosi e chiedendo scusa per i guai arrecati ai suoi sottoposti con le sue politiche.
Per un suicidio per finta costruito per sensibilizzare la gente sui suicidi veri dei nostri compagni, la FIAT ci ha licenziato e due giudici, per ora, hanno confermato in tribunale il nostro licenziamento.
La nostra ironica protesta avrebbe rappresentato, come dice la sentenza del tribunale di Nola “un intollerabile incitamento alla violenza”, “una palese violazione dei più elementari doveri discendenti dal rapporto di lavoro”, nonchè un “gravissimo nocumento morale all’azienda e al suo vertice societario” tali “da ledere irreversibilmente il vincolo di fiducia sotteso al rapporto di lavoro”.
Che Marchionne non fosse uno capace di ridere lo sapevamo, ora conosciamo anche la “serietà” pelosa dei giudici di Nola.
La stessa “serietà” dimostrata contro di noi i giudici di Nola, però, non l’hanno manifestata nei confronti della FIAT per i suicidi dei nostri compagni.
Sempre nella stessa sentenza il giudice ci dice che “… non certa e comprovata è la dichiarata responsabilità della società resistente, e per essa dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, per la morte di lavoratori della FIAT. … Ora, pur non volendosi assolutamente minimizzare il disagio sociale ed esistenziale che in un lavoratore può provocare la condizione di incertezza e inattività lavorativa data dalla collocazione in CIGS, pare tuttavia doveroso affermare che non sono emersi in giudizio (né sono stati dedotti dai ricorrenti) elementi (gravi, precisi e concordanti) da cui poter desumere un immediato nesso di causalità tra i tragici suicidi dei predetti lavoratori e la conduzione manageriale imputabile all’amministratore delegato della società resistente”.
Che non esista un “nesso di causalità” tra i suicidi dei nostri compagni e le politiche FIAT è una affermazione quanto meno originale, ma la cosa non finisce qui perché il (la) secondo giudice che conferma nel ricorso la prima sentenza, è ancora più drastico nei nostri confronti per il “grave nocumento” procurato a Marchionne.
Seconda sentenza: “Laddove l’amministratore delegato … è stato apertamente e direttamente accusato delle morti per suicidio di alcuni lavoratori (“Chiedo scusa per le morti che ho provocato”). Trattasi di un’accusa grave, che non ha alcun riscontro obiettivo, non essendovi alcuna prova circa il nesso di causalità tra le politiche aziendali e l’estremo grave gesto compiuto da taluni cassintegrati, dipendenti della società resistente.
Non può sottacersi che uno dei dipendenti, collega dei manifestanti, si è suicidato lasciando, uno scritto nel quale si attribuiva tale scelta alla propria condizione lavorativa, ma ciò non basta per poter apertamente e pubblicamente accusare un soggetto e la società che egli rappresenta, di aver istigato taluni lavoratori al suicidio”.
Riportando da un articolo che fa un po’ di verità sul nostro caso, leggiamo che “In Italia, secondo i dati della Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2009 ci sono stati 6,7 suicidi ogni 100.000 abitanti. I dati degli anni successivi non si discostano molti da questi numeri. Abbiamo cioè circa un suicidio ogni 15.000 abitanti, un numero di 45 volte maggiore dei 316 operai deportati a Nola. Eppure in questa ristretta coorte di cassintegrati di Nola abbiamo ben due suicidi nello stesso anno (2014) che si aggiungono ad uno precedente nel 2012 e ad altri tentativi di suicidio non riusciti. Un dato statistico sconvolgente. Per molto meno in medicina si decide della patogenicità di un materiale”. La (giudice) D’Ambrosio e la sua collega invece non fanno una grinza e continuano a chiedere che si mostrino loro “gli elementi gravi precisi e concordanti”.
Cosa dire, abbiamo invaso il tuo campo e l’abbiamo pagata cara.
Ora tra qualche mese c’è la seduta d’appello, in un altro tribunale, quello di Napoli. Il problema è che la sentenza del tribunale di Nola sta già facendo scuola. Negli ultimi tempi sono aumentati i licenziamenti di lavoratori che non hanno rispettato “l’obbligo di fedeltà verso l’azienda” che a quanto sembra deve essere rispettato 24 ore su 24, dentro e fuori dagli stabilimenti, stando attenti a non dire niente che possa turbare “i datori di lavoro”, men che meno con rappresentazioni che possono scatenare risate sulle loro rispettabili persone.
I tempi sono quelli che sono. Si comincia a dibattere di partiti unici. Negare il diritto di critica e di satira è una tendenza pericolosa che, per ora parte dagli operai, ma che minaccia di arrivare agli altri.
E qui entri in balli tu. Oggi sei un punto di riferimento per la satira in Italia. Riesci a far riflettere la gente con una risata. Noi operai tuttalpiù facciamo solo piangere attualmente.
Abbiamo fatto una colletta e alcuni di noi verranno a vederti a Napoli il 3 giugno.
Se tu ci dessi una mano sarebbe una grande cosa.
Riaffermare il diritto di opinione e di critica per gli operai negato
dalla FIAT e purtroppo anche da alcuni giudici, con le tue parole e con
la tua satira, forse farebbe riflettere un po’ di più la gente su quello
che sta succedendo nei luoghi di lavoro oggi in Italia.
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