La faccia dell’azione
delle grandi multinazionali dell’imperialismo odierno che opprimono, sfruttano,
impoveriscono, scatenano guerre e inquinano per sempre, di fatto massacrando
interi popoli…
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Megatangente Eni-Nigeria
“stornati” in Italia 200 milioni
Eni per mettere le mani
sul giacimento petrolifero nigeriano Op245 avrebbe versato un miliardo e 92
milioni di dollari a politici africani di primo piano.
Se l’inchiesta della
procura di Milano era nota, quello che emerge ora, dalle carte messe a
disposizione degli indagati, è la suddivisione precisa di quella montagna di
tangenti. In questo filone sono indagati per concorso in corruzione
internazionale l’attuale ad di Eni, Claudio Descalzi, il suo predecessore,
Paolo Scaroni, l’executive manager Roberto Casula, oltre all’ex responsabile
Agip per
la Nigeria, Vincenzo Armanna, i faccendieri Luigi Bisignani e Gianluca Di Nardo, oltre ai mediatori nigeriani. Secondo lo schema dei pm, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, che ieri hanno ascoltato per tutta la giornata Armanna, 200 milioni di dollari sarebbero stati «retrocessi» al fine di «remunerare amministratori e dirigenti di Eni» e gli interlocutori Bisignani e Di Nardo.
la Nigeria, Vincenzo Armanna, i faccendieri Luigi Bisignani e Gianluca Di Nardo, oltre ai mediatori nigeriani. Secondo lo schema dei pm, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, che ieri hanno ascoltato per tutta la giornata Armanna, 200 milioni di dollari sarebbero stati «retrocessi» al fine di «remunerare amministratori e dirigenti di Eni» e gli interlocutori Bisignani e Di Nardo.
Nell’operazione per
mettere le mani su uno dei giacimenti più imponenti al mondo l’accusa cita,
oltre a Eni, il gruppo Shell e sostiene che i reati stiano stati commessi «tra
l’agosto 2011 e il 2014 anche a L’Aja», sede della multinazionale olandese.
Eni, «in data 11 maggio 2011», per ottenere «i diritti di esplorazione del
blocco 245», avrebbero versato il denaro «senza una gara d’appalto, in
violazione della riserva di quote alle società locali, a un prezzo vantaggioso
e con benefici fiscali e di esclusiva nelle successive attività di
sfruttamento». In questi mesi, i pm milanesi hanno ricostruito anche i
beneficiari della tangente da oltre un miliardo di dollari, identificando i
destinatari di 483 milioni di dollari «movimentati in contanti in Nigeria» dal
faccendiere Abubaker Aliyu. Questi fondi, secondo l’accusa, sarebbero stati poi
«destinati a remunerare anche l’ex presidente nigeriano Goodluck Jonathan, il
ministro del Petrolio, quello della Difesa e l’Attorney general (consulente del
governo in materia legale)». Ma è sul fronte delle retrocessioni che l’indagine
sembra avere fatto importanti passi avanti. Perché dei 200 milioni che l’accusa
sostiene siano tornati ai manager italiani, i pm hanno individuato come ad
Armanna, l’8 maggio 2012, «siano stati trasferiti 917 mila dollari su un conto
presso la filiale Ubi di Bergamo, con la motivazione “eredità Giuseppe
Armanna”». Mentre circa 120 milioni sarebbero stati trasferiti dal mediatore
nigeriano Obi da conti londinesi «presso Lgt di Ginevra, e una parte di questa
somma, circa 21 milioni di franchi svizzeri, trasferita sul conto di Gianluca
Di Nardo, presso la banca Safra Sarasin di Lugano». Su dove sia finito il resto
della somma, al momento la procura sembra non voler scoprire altre carte.
La Repubblica 8 aprile
’16
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