mercoledì 2 novembre 2011

pc 2 novembre - il processo contro l'ENI assassina per la strage di Molfetta parte l'8 novembre .. si spera

Questa mattina a Trani si doveva tenere il processo contro l'ENI nell’ambito del procedimento bis per la strage della Truck Center di Molfetta, l’azienda nella quale il 3 marzo 2008 morirono quattro operai e il titolare, asfissiati a causa delle esalazioni provenienti da una cisterna che due di loro stavano lavando. Purtroppo è stato rimandato all'8 novembre, perchè la giudice che doveva tenere il processo è moglie dell'ingegnere indagato per la strage di Barletta dallo stesso PM, Giuseppe Maralfa, del processo di Molfetta.
Sembra quasi che la realtà supera la fantasia. Proprio il 24 ottobre, nella conferenza a Molfetta su “la sottile cortina del silenzio – processo all'Eni per le vittime della Truk Center”, organizzata dalla rivista 'Terre Libere', la rappresentante della Rete per la sicurezza sui posti di lavoro, invitata come relatrice, nel suo intervento aveva, tra le altre cose, messo in luce le tragiche similitudini tra la strage di Molfetta e di Barletta: in entrambe sono morti 4 lavoratori e, alla Truk center, il padrone della ditta, a Barletta la figlia del padrone della fabbrica; in entrambe gli operai e le operaie sono morti non solo per responsabilità dei padroncini delle ditte, ma per responsabilità delle condizioni di lavoro, di sicurezza, di minimo dei costi imposte dai grandi padroni: per Molfetta, dall'ENI di Taranto, per Barletta dalle grandi marche delle aziende tessili il cui luccichio di abiti è sporco di lavoro nero, e a volte di sangue delle lavoratrici; in entrambi sono operai sono stati uccisi perchè la sicurezza è un costo che per i padroni va tagliato.
Tornando alla Conferenza del 24 ottobre, il padre di uno degli operai morti, Biagio Sciancalepore, che insieme alla moglie e ai figli sta coraggiosamente portando avanti la battaglia per la verità e la giustizia affinchè siano condannati tutti i colpevoli fino ai dirigenti dell'Eni, ha ripercorso le tappe di quella maledetta catena di responsabilità degli omicidi; una catena di voluta inosservanza delle minime regole di sicurezza, iniziata all'Eni di Taranto che aveva classificato il carico della cisterna come infiammabile e non tossico, che ha omesso di controllare la quantità di acido solfidrico contenuta nelle vasche di zolfo (presente 1000 volte di più del necessario), che omette sempre di compilare e consegnare la scheda di sicurezza, che tiene fermi gli impianti di desolforazione, tutto allo scopo di abbattere i costi di trasporto; catena continuata con una sorta di scarica barile di altre 3 ditte; fino ad arrivare alla Truk center che non era affatto idonea per una bonifica delle cisterne. “Così – ha detto Sciancalepore – per un po' di soldi, ammazzano la gente!”.
La rappresentante della Rete per la sicurezza sui posti di lavoro, che nel 2009 ha presentato a Taranto un preciso esposto alla Procura contro le responsabilità dell'ENI per la strage della Truk center, ha denunciato che, mentre nulla finora ha fatto la Procura di Taranto contro l'Eni, nello stesso tempo c'è un silenzio omertoso da parte di tutte le istituzioni di Taranto verso l'inquinamento della città che l'Eni con le sue emissioni fa mettendo a rischio la salute della popolazione: solo questo anno per 4/5 volte alcuni cittadini di Taranto si sono dovuti ricoverare per forme di intossicazione. Allargando poi il discorso, ha denunciato la catena di morti: 980 nel 2010 che smentisce alcuni dati Inail che parlano di riduzione ma non dicono che essa è frutto solo dei massicci licenziamenti, cassintegrazione di questi ultimi anni, è frutto dell'”uccisione del lavoro”. In realtà in proporzione alla riduzione del lavoro, all'aumento dello sfruttamento, al lavoro incerto, all'azzeramento di diritti, gli infortuni sono in aumento e vanno di pari passo al nuovo lavoro nero, di cui in alcune realtà le vittime principali sono immigrati, i cui morti spesso non vengono contabilizzati. C'è un rapporto sempre più stretto – ha detto la rappresentante della Rete – tra mancanza di sicurezza e lavoro nero, derogolarizzazione del lavoro come frutto dello scarico della crisi sui lavoratori.
Ha denunciato il buco nero della magistratura, che su questo terreno sembra non avere differenze al suo interno, ma solo eccezioni come il Giudice Guariniello di Torino, che non fa altro che applicare le leggi esistenti, fatto che dovrebbe essere scontato in una democrazia. La “normalità” invece sono sentenze che dovrebbero gridare allo scandalo come quella per i 17 morti per amianto della Montefibre in cui il giudice ha mandato assolti i padroni assassini perchè: “il fatto non sussiste...!!”. A questo si aggiungono i provvedimenti del Governo Berlusconi, per cui sono decine e decine i processi che rischiano di andare in prescrizione, da quelli di operai dell'Ilva di Taranto, a quelli di Viareggio, della Mobi Prince, de l'Aquila, ecc.
E poi c'è il buco nero delle istituzioni che dovrebbero controllare, come l'Asl, l'Ispettorato del lavoro, dove da un lato vengono tolti poteri, strumenti per intervenire, dall'altra la linea attuale del Ministero è quella di andare “leggeri”.
In queste istituzioni, occorre – ha detto la rappresentante della Rete, anche ispettrice del lavoro - che ogni ispettore,ogni giudice dica chiaramente da che parte sta, faccia una precisa scelta, perchè non si può essere “neutri” o limitarsi ad un lavoro da burocrate; così al massimo di vede l'albero e non la foresta, si vedono le responsabilità del piccolo padroncino o la dinamica specifica delle morti, ma si è poi ciechi nel vedere le responsabilità delle grandi aziende, del peggioramento delle leggi, del sistema generale di peggioramento, attacco alle condizioni di lavoro che porta alle morti.
Per lottare contro tutto questo, occorre unire le diverse forme di mobilitazione contro le morti sul lavoro: dai lavoratori, ai familiari che spesso sono coloro che impediscono che cali il silenzio su questi assassinii, ai democratici, ai tecnici della sicurezza, agli artisti, ecc.
Per questo è nata la Rete, come Idea forza, e organizzazione e pratica, per unire e raccogliere le diverse energie per una stessa battaglia. Ma la Rete richiede altre energie, in Puglia Taranto funge da centro, ma è necessario che ognuno dia il proprio contributo.
Al convegno era prevista la presenza dell'Ass. al lavoro della Regione, ma all'ultimo momento ha comunicato di avere un altro impegno. Come mai?
Altri sono interventi dal pubblico per rafforzare la denuncia delle stragi volute. Un compagno di Molfetta ha indicato con forza le gravi responsabilità dei sindacati confederali che non fanno nulla, che fanno accordi con le aziende con cui si avallano i peggioramenti delle condizioni di lavoro; che sono assenti, come iniziativa, anche a fronte delle stragi come quella di Molfetta e di Barletta.
Questo intervento è stato quanto mai opportuno visto che l'unica presenza sindacale il 24 a Molfetta è stata di un rappresentante della Cgil di Barletta, il cui intervento è stato tutto teso a coprire le responsabilità in alto, delle grandi aziende, del governo, a vedere solo nella “tolleranza a non mettersi una cintura di sicurezza, o un altro dispositivo, ecc.” la colpa delle morti e quindi ad indicare solo in questi controlli la via per bloccare le morti sul lavoro. Un intervento bruttissimo, in aperta discordanza con il clima dell'assemblea, da “cittadino” e non da chi dovrebbe avere la responsabilità di difendere le condizioni dei lavoratori, un intervento che puntava a normalizzare il tutto: così è sempre stato... fino a dire, come lo squallido sindaco di Barletta, che le operaie di Barletta accettano quel lavoro perchè è l'unico che c'è...
E' stato, quindi, inevitabile che questo rappresentante della cgil sia stato zittito dall'indignazione di altre persone nella sala.
In conclusione, la rappresentante della Rete ha detto che non si può parlare oggi delle morti sul lavoro senza capire, denunciare e lottare contro la fase attuale che vede padroni e governo scaricare la crisi sui lavoratori e rendere normale, quasi legittima la mancanza di regole, il lavoro nero, l'attacco ai diritti dei lavoratori; c'è un nesso sempre più stretto tra mancanza di sicurezza e piani padronali, un esempio lampante è il piano Marchionne che non solo aumenta il lavoro degli operai, ma con il nuovo sistema Ergo Uas, con il taglio delle pause, il peggioramento dei turni, l'attacco al diritto di malattia, peggiora le condizioni di salute, e mette a rischio la sicurezza degli operai e delle operaie.
E' vero che gli operai, e soprattutto le donne nel sud, sono costrette spesso ad accettare queste condizioni di lavoro perchè è l'unico lavoro possibile, ma la risposta non sta nel vedere questo come inevitabile, ma sta nell'organizzazione della lotta, nell'unire nella ribellione le donne, come a Barletta: proviamo ad organizzare – come stiamo cercando di fare noi – uno “sciopero delle lavoratrici” e vediamo poi se c'è ancora rassegnazione!
In conclusione ha fatto alcune proposte:
Primo. Noi dobbiamo prendere il processo Thyssen a riferimento. Anche a Molfetta, a fronte di una strage tipo quella di Torino, possiamo pretendere che ci sia una sentenza come quella di Torino, e che queste morti vengano giudicate assassinii e vi siano condanne per omicidio doloso e non colposo?
Secondo. Alla Thyssen vi è stata quella sentenza non solo per un giudice coerentemente democratico, ma soprattutto perchè vi è stata una mobilitazione continua, ogni udienza ha visto presidi dentro e fuori il Tribunale della Rete, dei familiari, di realtà di compagni, tanto che gli stessi avvocati della Thyssen lo sottolineavano e ne chiedevano la fine. Anche a Molfetta, le udienze devono vedere una mobilitazione, a partire da quella che dovrebbe decidere sulle responsabilità dell'Eni.
Terzo. Dobbiamo unire ogni energia nella Rete, perchè è l'unica strada per non affidare la mobilitazione e la rottura della “sottile cortina del silenzio” solo ad iniziative una tantum.

Rete per la sicurezza sui posti di lavoro di Taranto
c/o slai cobas per il sindacato di classe taranto
bastamortesullavoro@gmail.com
cobasta@libero.it

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