lunedì 31 ottobre 2011

pc 31 ottobre - l'India non è la più grande democrazia del mondo ... Arundhati Roy


Il Comitato di sostegno internazionale alla guerra popolare in India
ha lanciato una nuova campagna internazionale che si svolgerà in numerosi paesi del mondo nella terza settimana di gennaio.
In Italia - oggi una delegazione di padroni e governo italiano sono in India per affari - ne parleremo nei prossimi giorni - un appello specifico e una proposta di piano sarà lanciata il 12 novembre.
per materiali e adesioni rivolgersi a csgpindia@gmail.com

Intanto mettiamo in rete anche nel nostro sito materiali utili a comprendere la situazione in questo paese.
Quella che segue è uno dei recenti articoli di Arundhati Roy, la grande scrittice indiana che molto sta facendo per informare il mondo e sulla realtà della guerra di popolo condotta dai maoisti, non lasciandosi intimidire dall'ostracismo della comunità imperialista, nè dalla persecuzione del governo

NUOVA DELHI: Il 23 settembre 2011, verso le tre del mattino, poche ore dopo il suo arrivo in aeroporto a Delhi, il produttore radiofonico statunitense David Barsamian è stato espulso. Questo uomo pericoloso, che produce programmi indipendenti, free-to-air per radio pubbliche, visita l'India da 40 anni, compiendo azioni pericolose come imparare l’urdu e suonare il sitar.
Ha pubblicato un libro-intervista con Edward Said, Noam Chomsky, Howard Zinn, Ejaz Ahmed e Tariq Ali. (Compare anche come il giovane intervistatore in pantaloni a zampa d’elefante nel film documentario di Peter Wintonik sul Chomsky e l’ Herman’s Manufacturing Consent.). Nei suoi viaggi più recenti in India ha fatto una serie di interviste radiofoniche con attivisti, studiosi, registi, giornalisti e scrittori (me compresa). Il suo lavoro ha portato Barsamian in Turchia, Iran, Siria, Libano e Pakistan. Non è mai stato espulso da nessuno di questi paesi.
Perché allora la più grande democrazia del mondo ha paura di questo produttore radiofonico solitario, suonatore di sitar, che parla urdu, di sinistra? Ecco come lo spiega lo stesso Barsamian: “Dipende tutto dalla questione del Kashmir. Ho realizzato lavori su Jharkand, Chattisgarh, West Bengala, le dighe di Narmada, i suicidi di contadini, il pogrom del Gujarat, e il caso Binayak Sen. Ma è il Kashmir al centro delle preoccupazioni dello stato indiano. La versione ufficiale non deve essere contestata.”. Le notizie di stampa sulla sua espulsione, citando “fonti” ufficiali, riferiscono che Barsamian ha “durante il suo viaggio nel 2009-10 ha violato le norme sui visti, svolgendo lavoro professionale, mentre era in possesso di un visto turistico”.
Le norme visto in India sono una spia indicativa delle preoccupazioni e preferenze del Governo. Riparandosi dietro la vecchia bandiera sbiadita della “Guerra al Terrorirmo”, il Ministero dell'Interno ha decretato che studiosi e docenti universitari invitati per conferenze o seminari devono richiede un nulla osta di sicurezza prima che gli venga concesso il visto. A manager e uomini d'affari non occorre. Quindi, chi vuole investire in una diga o costruire un impianto siderurgico o comprare una miniera di bauxite non è considerato un rischio per la sicurezza, mentre uno studioso che potrebbe partecipare ad un seminario per parlare di deportazioni o beni comuni o aumento della malnutrizione nell’economia globalizzata, lo è.
Probabilmente, terroristi stranieri malintenzionati hanno già capito che indossare abiti di Prada e fingere di voler comprare una miniera è meglio che indossare vecchi pantaloni di velluto e dire di voler partecipare a un seminario. (Qualcuno potrebbe dire che i compratori di miniere in giacca e cravatta Prada sono i veri terroristi.)
David Barsamian non è venuto in India per comprare una miniera né per partecipare a una conferenza. È venuto solo per parlare con la gente. Le accuse contro di lui, secondo le “fonti ufficiali”, è che durante la sua ultima visita in India ha realizzato servizi sui fatti in Jammu e Kashmir e che questi servizi non erano “basati su fatti". Va ricordato che Barsamian non è un giornalista, ma semplicemente uno che ha conversazioni con le persone, per lo più dissidenti, sulla società in cui vivono.
È per dei turisti a parlare con la gente dei paesi che visitano? Sarebbe illegale per me viaggiare negli Stati Uniti o in Europa e scrivere delle persone che ho incontrato, anche se la mia scrittura non fosse “basata su fatti”? Chi decide quali “fatti” sono corretti e quali no? Barsamian sarebbe stato espulso se le conversazioni che ha registrato avessero lodato la massiccia affluenza nelle elezioni in Kashmir, invece che raccontare come è si vive sotto la più densa occupazione militare del mondo? (600.000 truppe effettive armate schierate su una popolazione di dieci milioni di persone.) O se avessero parlato delle operazioni di soccorso compiute dall’esercito dopo il terremoto del 2005 invece che delle sollevazioni di masse inermi che ci sono state per tre estati consecutive? (Che non hanno trovato attenzione presso i media di attualità, e che nessuno ha pensato di chiamare “la primavera del Kashmir”).
David Barsamian non è la prima persona ad essere espulsa a causa della suscettibilità del governo indiano sul Kashmir. Nel novembre 2010 il irofessor Richard Shapiro, un antropologo di San Francisco è stato espulso dall’aeroporto di Delhi, senza aver ricevuto alcun motivazione. Molti di noi credono che fosse un modo del governo per punire il suo partner, Angana Chatterji, copromotore del Tribunale per i Diritti Umani e la Giustizia, che per primo aveva portato all’attenzione internazionale l’esistenza di fosse comuni in Kashmir. May Aquino, della Federazione Asiatica contro Scomparse Involontarie (AFAD), da Manila, aveva programma di visitare il Kashmir nel settembre 2011.
È stata espulsa dall’Aeroporto di Delhi. Prima, il 28 maggio di quest’anno, il noto attivista franco indiano per i diritti democratici Gautam Navlakha è stato trasferito forzatamante a Delhi dall’aeroporto di Srinagar. (Farook Abdullah, ex primo ministro del Kashmir ha giustificato l’espulsione dicendo che autori come Gautam Navlakha e io stessa non avevano alcun interesse ad entrare nel Kashmir, perché “il Kashmir non è in fiamme”, qualunque cosa significhi). Il Kashmir è in procinto di essere isolato, tagliato fuori dal mondo esterno da due anelli concentrici di pattuglie di frontiera, a Delhi come a Srinagar, come se fosse già un paese libero con una propria normativa sui visti. Ma all’interno dei suoi confini, naturalmente, per il governo e l'esercito la stagione di caccia è aperta. L’esercizio del controllo in Kashmir di giornalisti e gente comune con una miscela letale di corruzione, minacce, ricatti e una vasta gamma di crudeltà indicibili, affinate con cura artigianale, si è evoluta a forma d’arte.
Mentre il governo va in giro cercando di mettere a tacere i vivi, hanno cominciato a parlare i morti. È stata insensibilità di Barsamian pianificare un viaggio in Kashmir proprio quando la Commissione di Stato per i Diritti Umani ha portato finalmente a conoscenza ufficialmente l'esistenza di 2700 fosse comuni senza nome in tre distretti del Kashmir. Rapporti su migliaia di altre fosse stanno affluendo da altri distretti. È insensibilità delle fosse comuni mettere in imbarazzo il governo indiano proprio quando la situazione dell’India è sotto revisione davanti al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
Oltre che del pericoloso David, di chi altro ha paura la più grande democrazia del mondo? C’è il giovane Lingaram Kodopi, un adivasi di Dantewada, Chattisgarh, che è stato arrestato il 9 settembre 2011. La polizia dice che di averlo colto in flagrante in un mercato, mentre stava consegnando per conto della Essar, società mineraria del ferro, la tassa al Partito vietato Comunista dell'India (Maoista). La zia Soni Sori dice che è stato prelevato da poliziotti in borghese su una Bolero bianca dalla casa di suo nonno nel villaggio Palnar. Ora anche lei è a rischio.
È interessante notare che, secondo la versione della stessa polizia, avrebbero arrestato Lingaram ma lasciato fuggire i maoisti. È solo l’ultima di una serie di bizzarri, quasi allucinate, accuse che hanno mosso contro Lingaram e poi ritirate. Il suo vero crimine è di essere l'unico giornalista che parla Gondi, la lingua locale, e che sa come muoversi lungo i sentieri della fitta foresta di Dantewada, Chhattisgarh, l’altra zona di guerra in India, da cui nessuna notizia deve trapelare.
Dopo aver firmato ampie concessioni su terre native degli indigeni tribali dell'India centrale alle multinazionali minerarie e delle infrastrutture in una serie di protocolli di intesa segreti, in violazione totale della legge, della stessa Costituzione, il governo ha cominciato a invadere foreste con centinaia di migliaia di truppe di sicurezza. Ogni resistenza, armata e disarmata, è stata bollata come “maoista”. (In Kashmir la definizione preferita è “elementi jihadisti”).
Mentre la guerra civile cresce sempre più mortalmente, centinaia di villaggi sono stati bruciati e rasi al suolo. Migliaia di adivasi sono fuggiti come rifugiati negli stati vicini. Centinaia di migliaia di persone vivono vite di terrore nascosti nei boschi. Forze paramilitari hanno messo sotto assedio la foresta. Una rete di informatori e pattuglie della polizia e ha trasformato i bazar nei villaggi e i viaggi per acquistare beni essenziali e farmaci in un incubo per gli stessi abitanti. Un numero imprecisato di persone non identificate sono in carcere, accusati di sedizione e di fare guerra allo stato, senza avvocati a difenderli. Pochissime notizie escono da quella foresta, e non ci sono conteggi dei cadaveri.
Non è perciò difficile capire perché il giovane Lingaram Kodopi costituisca una minaccia. Prima di studiare per diventare giornalista, era autista a Dantewada. Nel 2009 la polizia l'ha arrestato e sequestrato la sua jeep. Per quaranta giorni rimase rinchiuso in un piccolo bagno, sottoposto a pressioni per diventare agente della polizia speciale (SPO) del Salwa Judum, la milizia di vigilantes formata dal governo che all’epoca aveva il compito di costringere la gente a fuggire dai loro villaggi. (in seguito il Salwa Judum è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema.)
La polizia rilasciò Lingaram in seguito all’istanza di scarcerazione presentata al tribunale dall’attivista gandhiano Himanshu Kumar. Ma in seguito la polizia ha arrestò il vecchio padre di Lingaram e altri cinque membri della sua famiglia. Attaccarono il suo villaggio e avvertirono gli abitanti di non dargli rifugio. Alla fine Lingaram fuggì a Delhi, dove amici e sostenitori ottennero che fosse ammesso ad una scuola di giornalismo. Nell’aprile 2010 andò a Dantewada da dove scortò fino a Delhi i testimoni e le vittime della barbarie del Salwa Judum, della polizia e delle forze paramilitari, perché testimoniassero davanti al Tribunale Popolare Indipendente. (Nella sua testimonianza Lingaram fu fortemente critico anche verso i maoisti.)
Questo non ha frenato la polizia del Chattisgarh. Il 2 luglio 2010, il dirigente maoista “compagno Azad”, portavoce ufficiale del Partito maoista, fu catturato e giustiziato dalla polizia dell'Andhra Pradesh. Il Vice Ispettore Generale della Polizia Chattisgarh Kalluri dichiarò in una conferenza stampa che Lingaram Kodopi era stato scelto dal partito maoista per prendere il posto del “compagno Azad”. (Era come accusare un ragazzino studente di Yenan nel 1936 di essere Zhou en Lai). L'accusa trovò tanta derisione che la polizia dovette ritirarla. Accusarono Lingaram anche di essere stato la mente di un attacco maoista contro un deputato del Congresso di Dantewada. Ma, forse perché già avevano fatto tanto per apparire sciocchi e vendicativi, decisero di aspettare il momento giusto.
Lingaram rimase a Delhi, completò il suo corso e ottenne il diploma di giornalismo. Nel marzo 2011 le forze paramilitari bruciarono tre villaggi in Dantewada, Tadmetla, Timmapuram e Morapalli. Il governo del Chhattisgarh incolpò i maoisti. La Corte Suprema assegnò l'inchiesta al Central Bureau of Investigation. Lingaram tornò a Dantewada con una videocamera e camminò di villaggio in villaggio documentando le testimonianze dirette degli abitanti dei villaggi, che accusavano la polizia. (Pu Youtube potete vedere alcuni di questi). Così facendo si rese uno degli uomini più ricercati in Dantewada. Il 9 settembre la polizia finalmente lo arresta.
Lingaram si unisce a un’impressionante serie dei raccoglitori e divulgatori di notizie scomode in Chattisgarh. Tra i primi a essere messi a tacere fu il celebre medico Binayak Sen che per primo aveva denunciato i crimini del Salwa Judum nel lontano 2005. Arrestato nel 2007, con l’accusa di essere un maoista e condannato al carcere a vita. Dopo anni di carcere, è ora fuori su cauzione. Diverse persone seguirono Binayak Sen in prigione, tra cui Piyush Guha e il regista Ajay TG, entrambi accusati di essere maoisti.
Questi arresti hanno fatto tremare la comunità degli attivisti in Chattisgarh, ma non hanno fatto smettere alcuni di loro fare quello che stavano facendo. Kopa Kunjam lavorava con il Chetna Ashram di Himanshu Kumar Vanvasi, facendo esattamente quello che Lingaram ha cercato di fare molto più tardi, viaggiare per villaggi remoti, riportando notizie, e documentare accuratamente gli orrori che si stavano perpetrando. (È stato la mia prima guida nei villaggi della foresta di Dantewada). Gran parte di questa documentazione ha fatto il suo corso in cause legali che si stanno dimostrando fonte di preoccupazione e imbarazzo per il governo del Chattisgarh. Nel maggio 2009 il Vansvasi Chetna Ashram, l'ultimo rifugio neutrale per i giornalisti, scrittori e studiosi che viaggiavano a Dantewada, fu demolito dal governo di Chhattisgarh.
Nel dicembre 2009, proprio il Giorno dei Diritti Umani, Kopa fu arrestato. Lo accusarono di collusione con i maoisti nell'omicidio di un uomo e nel rapimento di un altro. Le accuse contro Kopa cominciarono a cadere a pezzi, dato i testimoni della polizia, compreso l'uomo rapito, ricusarono le presunte dichiarazioni rese alla polizia. Ciò importa poco, perché in India, come tutti sappiamo, il processo è già la punizione. Occorreranno anni a Kopa per stabilire la sua innocenza, e in questo tempo le autorità sperano che l'arresto sarà servito al loro scopo. Anche molti degli abitanti dei villaggi incoraggiati da Kopa a presentare denunce contro la polizia sono stati arrestati. Alcuni sono in prigione.
Altri sono stati costretti a vivere in campi ai bordi delle strade presidiati dalle forze speciali. Tra loro molte donne che hanno commesso il crimine di essere stuprate. Subito dopo l'arresto di Kopa Himanshu Kumar è stato espulso dal Dantewada. Nel settembre 2010 un altro attivista adivasi, Kartam Joga, è stato arrestato. La sua colpa era di aver presentato nel 2007 alla Corte Suprema una petizione contro le dilaganti violazioni dei diritti umani commessi dal Salwa Judum. Fu accusato di collusione con i maoisti nell'uccisione di 76 agenti della riserva centrale di polizia nell’aprile 2010 a Tadmetla. Kartam Joga è membro del Partito Comunista dell'India (IPC), che con i maoisti ha rapporti tesi, se non ostili. Amnesty International lo ha dichiarato un prigioniero d’opinione.
Nel frattempo, gli arresti continuano a ritmo serrato. Un’occhiata fugace ai Rapporti di prima Informazioni redatti dalla polizia dà un'idea abbastanza chiara del modo mortale in cui il giusto processo funziona in Dantewada. I testi di molti dei rapporti sono esattamente identici. Un prestampato in cui sono inserito semplicemente i nomi degli imputati, la data, la natura del crimine ed i nomi dei testimoni. Non c'è nessuno che controllare. La maggior parte delle persone coinvolte, i prigionieri come i testimoni, non sa né leggere né scrivere.
Un giorno, anche in Dantewada cominceranno a parlare i morti. E non saranno morti solo esseri umani, sarà la terra morta, i fiumi morti, la montagne morti, le creature morte in foreste morte che insisteranno per un’audizione. Nel frattempo, la vita va avanti. Mentre una sorveglianza invasiva, polizia su Internet e intercettazioni telefoniche e sanzioni contro coloro chi parla diventano di giorno in giorno sempre più preoccupanti, è singolare come l'India stia diventando sede da sogno di festival letterari. Ce ne sono una decina in programma solo nei prossimi mesi. Alcuni sono finanziati dalle stesse società per conto delle quali la polizia ha scatenato il regime di terrore.
A Srinagar il festival letterario Harud (per il momento rinviato) è annunciato essere il più nuovo, più emozionante: “Mentre le foglie d'autunno cambiano colore, nella valle del Kashmir riverbererà il suono della poesia, il dialogo, dibattiti e discussioni letterario...”. Gli organizzatori lo pubblicizzano come un evento “apolitico”, ma non hanno detto come possano essere 'apolitici' gli autori o le vittime di una brutale occupazione militare che ha causato decine di migliaia di vite spezzate, il lutto di migliaia di donne e bambini e la mutilazione centinaia di migliaia di persone nella camere di tortura. Mi chiedo: gli ospiti letterari verranno con visto turistico? Ci saranno quelli separati per Srinagar e Delhi? Occorrerà loro il nulla osta di sicurezza? Un Kashmiri che parla andrà direttamente dal Festival ad un centro di interrogatori, o gli sarà permesso di tornare a casa per cambiarsi e raccogliere le sue cose? (Qui sono un po’ rozza, so bene che saranno più sottili.)
Il rumore festoso di questa libertà spuria contribuisce ad attutire il rumore di passi nei corridoi dell'aeroporto che gli espulsi percorrono a passo di rana verso gli aerei in partenza, lo scatto delle manette che si stringono, i polsi caldi e il freddo rumore metallico delle porte della prigione. I nostri polmoni vengono gradualmente deprivati di ossigeno. Forse è tempo di usare tutto il fiato che resta nel nostro corpo per dire: “Aprite quelle porte insanguinate”.

Arundhati Roy

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