giovedì 6 agosto 2020

pc 6 agosto - Strage di Stato a Beirut, le cui responsabilità sono le potenze imperialiste





Ieri la carneficina nel porto di Beirut, in Libano. Due estese esplosioni hanno provocato centinaia di morti tra la popolazione (attualmente, mentre scriviamo, sono 113), centinaia sono i dispersi e sotto le macerie, oltre 4 mila i feriti e gli ospedali sono al collasso, così che molti vengono curati per strada. Più di 300mila persone sono rimaste senza casa, distrutta la quasi totalità delle strutture portuali. Una potenza esplosiva di tale intensità che ha causato un terremoto di magnitudo 4.5 che si è sentito fino a Cipro, circa 200 chilometri di distanza.

Con la distruzione del principale deposito di grano del Libano nel porto di Beirut (dal porto transita la totalità delle merci, l’80% del grano russo importato, oltre a numerosi beni di prima di necessità) si mettono le masse libanesi definitivamente in ginocchio, masse già duramente colpite dalle politiche di un governo al servizio dei padroni, dei banchieri, assieme all'embargo imposto dall'imperialismo USA e al cappio al collo dell'FMI. Tutti nodi che la crisi sanitaria per la pandemia ha stretto maggiormente, aggravando la fame e la miseria per le masse. "In settembre, dopo un anno di grave crisi, il 33% per cento della popolazione era precipitato sotto la soglia relativa di povertà. In marzo sotto la soglia relativa di povertà si trovava quasi metà della popolazione, il 45%, di cui il 22% in estrema povertà. Tutti i servizi di base sono allo sfascio. Le principali vie e le piazze restano al buio per mancanza di energia elettrica. La parabola della società elettrica libanese, in rosso cronico, inghiottita dalla corruzione, ha fatto sì che i blackout martoriassero la capitale" (da il sole 24 ore).
Il ministro della salute libanese ha chiesto ai cittadini di Beirut di lasciare la città. "I resti dell'esplosione possono avere effetti mortali a lungo termine". Il governo, con il pretesto dell'esplosione, ha dichiarato lo stato di emergenza per due settimane e il Consiglio supremo della Difesa sta premendo per l’invio dell’esercito nella capitale.
Ma le misure repressive non riescono a fermare l’odio antimperialista e antigovernativo delle masse libanesi che hanno risposto subito con manifestazioni e scontri sono avvenuti oggi contro il convoglio dell'ex premier Hariri a Beirut.
Funzionale allo stato d’emergenza è l'informazione tossica da parte del governo per il depistaggio, facendo passare la tesi dell'incidente, delle 270 tonnellate di ammonio stoccate al Porto da almeno 6 anni come possibile causa dell’esplosione - di cui il governo era, dunque, a conoscenza - ma ben sapendo che il nitrato di ammonio esplode se combinato con oli combustibili e, in normali condizioni di stoccaggio e senza calore molto elevato, è difficile che si accenda. Questo perché è un ossidante: intensifica la combustione e consente ad altre sostanze di accendersi più rapidamente, ma non è di per sé molto combustibile.

La rivolta delle masse, in particolare ad aprile, aveva dato fuoco alle banche, mettendo in moto un movimento che ha portato alle dimissioni del primo ministro Saad Hariri. Anche lunedì, non lontano dal luogo dell'esplosione, i libanesi stavano manifestando – come fanno ormai dallo scorso autunno - contro gli esasperanti black out che durano fino a 20 ore al giorno.

Gli arresti dei dirigenti del Porto sono fumo negli occhi per le masse: i grandi silos al porto di Beirut erano sopravvissuti sia alla guerra civile che ai bombardamenti dello stato terrorista d'Israele e la corruzione era la regola in quello che era conosciuto localmente come la "Grotta di Ali Baba e dei 40 ladroni" per la grande quantità di fondi statali che sono stati rubati nel corso dei decenni da funzionari e politici. 
Il porto è anche un approdo fisso delle navi europee che partecipano alla missione Unifil – a cui partecipa anche l’Italia - pattugliando le coste libanesi.

Se la dinamica della carneficina è ancora poco chiara è certo che è avvenuta in un contesto in cui altri fattori contribuiscono a destabilizzare maggiormente l’area Medio Orientale.
C’è il ruolo dello stato terrorista di Israele: tra qualche giorno dopo oltre 15 anni, c’è la sentenza sull’attentato che ha ammazzato l’ex premier Rafiq Hariri e nei giorni scorsi Israele ha colpito postazioni di Hezbollah a Damasco e sulle alture del Golan con il via libera della Russia che li considera alleati scomodi. Lo stesso Israele aveva partecipato ai bombardamenti, assieme agli USA, dei siti nucleari iraniani e ha un ruolo attivo nella guerra in Libia.
Inoltre c’è la minaccia imperialista del fascio-imperialista USA, Trump, contro l’Iran, contro cui impone l’embargo ma anche una sorta di guerra a bassa intensità, come è successo con l’uccisione mirata del generale Soleimani, comandante delle Forze al-Quds (il corpo d’élite della Guardia Rivoluzionaria Islamica). E l’Iran appoggia Hezbollah in Libano, di cui il nuovo governo di Hassan Diab è espressione.

Questa è la polveriera creata dalle potenze imperialiste (Usa/UE/Russia) e dei governi reazionari dell’area (Israele, Turchia, in primis), e la strage è maturata in questo contesto.
La strage di Beirut richiama in causa le responsabilità dei governi imperialisti che hanno trasformato il Medio Oriente in una gigantesca polveriera per l’egemonia, per il controllo delle risorse energetiche (petrolio/gas), che per i popoli dell’area significa guerra, miseria e ancora più oppressione.

La crisi in cui si dibattono le potenze imperialiste costituisce una minaccia per la vita dei popoli.
Siria, Libia, Mali, Palestina, Libano, l’elenco dei crimini imperialisti è senza fine.

Ci stringiamo alle masse libanesi e ci uniamo al loro odio antigovernativo e antimperialista.
Da parte nostra intensifichiamo la denuncia e la lotta contro il nostro imperialismo.

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