martedì 4 agosto 2020

pc 4 agosto - Tunisia - Segreti di stato ed omissioni di soccorso non bloccano lo sciacallaggio sovranista

.mentreil mare continua ad inghiottire vite.

di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Chi credeva che bloccando le navi delle Organizzazioni non governative avrebbe “governato” i “flussi migratori” dal nordafrica è stato smentito dalla raffica di arrivi dalla Libia, ed in misura più consistente dalla Tunisia.
Ancora una volta si è ignorata la situazione dei paesi di partenza, la Libia divisa ed in guerra, la Tunisia in piena crisi economica e politica, con sei ministri dimissionari ed un nuovo premier ancora in cerca di una maggioranza stabile, mentre le organizzazioni criminali hanno facile transito alla frontiera tra i due paesi, ed una parte dei migranti subsahariani e bengalesi che prima partivano da Zuwara o da Sabratha adesso vengono fatti partire da Sfax o da Mahdia.
Le cifre degli sbarchi in Italia confermano che non si tratta di una emergenza, anche se gli arrivi di persone attraverso il Mediterraneo, ai tempi del COVID 19, pongono problemi mai così gravi prima, e stanno comportando uno snaturamento dei centri Hotspot e dei centri di prima accoglienza trasformati in strutture fortemente militarizzate, ma malgrado questo, caratterizzati da fughe costanti e da conseguenti arresti. Con il solito contorno di governatori che invocano l’intervento dell’esercito e la moltiplicazione delle navi prigione per la quarantena, e di politici che da Minniti a Salvini, passando per la Meloni, pensano più alle prossime scadenze elettorali che al rispetto dei diritti umani e delle Convenzioni internazionali. Ovunque sul territorio scoppiano focolai di protesta contro l’arrivo o i trasferimenti dei naufraghi soccorsi in mare o arrivati a Lampedusa autonomanente, senza pensare che questi sono tutti rigidamente controllati, a differenza delle centinaia di migliaia di turisti che si stanno muovendo in tutte le regioni italiane, senza esssere sottoposti ad alcun controllo.

2. La visita della ministro dell’interno Lamorgese a Tunisi non ha prodotto nessun risultato, come era ampiamente prevedibile. L’Italia ha appena versato una enorme quantità di denaro al governo di Tripoli, ma con i tunisini ci si è presentati a mani vuote e con generici impegni di sostegno economico. Del resto i paesi terzi in un momento di forte crisi economica e di sbarramento delle vie legali di ingresso anche a causa dell’emergenza coronavirus vedono nelle rimesse dei loro emigrati all’estero, anche se in situazione di soggiorno irregolare, una fonte essenziale di sostegno per le famiglie più povere. E ancora la valanga di soldi pagata a governi che non rispettano i diritti umani ma che sono alleati degli stati europei nel bloccare le partenze, da Erdogan a Serraj a Tripoli, hanno indotto anche governi che tentano la faticosa via della democrazia ad alzare le loro pretese economiche per essere coinvolti in quella che sembra l’unica politica che i singoli stati e l’Europa, con l’agenzia FRONTEX, in questo momento sono capaci di praticare: la chiusura delle frontiere ed il rimpatrio con accompagnamento forzato di coloro che malgrado tutto, malgrado le prassi di abbandono in mare e di omissione di soccorso, riescono ad arrivare sulle nostre coste.
Non si vuole ammettere che le misure di “chiusura dei porti”, reiterate anche dal governo italiano in carica con il decreto interministeriale del 7 aprile 2020, non possono funzionare perchè comunque le persone si metteranno in mare per fuggire dalla guerra civile in Libia o dalla miseria economica in Tunisia, e che una volta in alto mare non si può certo raccogliere la proposta omicida di un “blocco navale” tanto cara alla Meloni ed a Salvini, e rilanciata dai loro supporter in rete, con messaggi neo-nazisti di incitamento all’eliminazione fisica di chi si mette per mare. Ma purtroppo anche qualche giudice ritiene che chi si mette per mare per fuggire dalla Libia o dalla Tunisia lo fa, in fondo, a suo rischio e pericolo.
3. L’Italia sconta allo stesso tempo la più totale impreparazione rispetto ad un aumento delle partenze dal nordafrica che dopo i mesi primaverili di stasi per effetto della pandemia non potevano che riprendere con le condizioni migliori dell’estate e con il superamento apparente della fase più acuta dell’emergenza sanitaria. Avevamo chiesto già a marzo un piano sbarchi e trasferimenti rapidi da Lampedusa, come si era fatto nel 2007, quando dall’isola erano transitate oltre 30.000 persone, immediatamente ridislocate in altre regioni con vettori aerei, senza danneggiare le attività economiche e turistiche dell’isola.
Avevamo chiesto azioni di soccorso in acque internazionali in sinergia con le ONG che erano già operative a marzo, per salvare vite in mare nel Mediterraneo centrale, e la risposta del governo, sotto il ricatto delle destre, è stata una volta la chiusura più totale, con i fermi amministrativi delle navi delle ONG e con il ritiro nelle acque territoriali italiane ( 12 miglia dalla costa) delle navi militari come la Diciotti e la Gregoretti, che negli anni passati operavano anche all’interno della zona SAR ( ricerva e salvataggio) riconosciuta a Malta. Deve essere chiaro a tutti che Malta non potrà mai presidiare da sola la vastissima zona SAR che le Convenzioni internazionali le riconoscono. Certo l’IMO (Organizzazioni internazionale del mare ), con sede a Londra, dovrebbe intervenire per ridimensionare la zona SAR maltese e cancellare la finzione di una zona SAR “libica”, di una Libia che non esiste più come stato unitario. Ma gli interessi economici sul Mediterraneo sono troppo complessi e pesanti sulle scelte dei governi, per lasciare prevalere il fondamentale principio della salvaguardia della vita umana in mare e il correlato diritto di asilo. Gli stati ormai non applicano più le Convenzioni di diritto internazionale, anche quando dicono di richiamarle, come hanno fatto recentemente. Ormai gli eventi SAR di ricerca e salvataggio vengono declassati al rango di “eventi migratori” e prevale l’esigenza dei respingimenti collettivi, anche quando sono in ballo le vite di decine di persone. Una pericolosa inversione di linguaggio che cancella il valore della vita umana e diventa prova per ammissione diretta di prassi amministrative e di decisioni delle autorità marittime in violazione del diritto internazionale.
Malta e l’Italia arrivano a negare i fatti ed a impedire la libera informazione, per giustificare i respingimenti collettivi delegati alla sedicente guardia costiera libica e alle navi commerciali utilizzate non per soccorrere, ma per facilitare il blocco in mare. Il sovranismo sembra avere la strada spianata per cancellare i diritti umani anche nei paesi nei quali non sono arrivati al governo personaggi come Orban o Kurz, mentre sembrano di scarsa efficacia le denunce alle Corti internazionali o alle istituzioni di garanzia delle Nazioni Unite, come la Commissione per i diritti umani o il Comitato contro la tortura.
4. La ministro Lamorgese torna a mani vuote da Tunisi, e la sua missione è subito coperta dal clamore delle fughe di tunisini impropriamente detenuti o “arrestati” in centri di prima accoglienza che, con la necessità della quarantena, si sono trasformati di fatto in centri di detenzione al di fuori della legge, con una totale privazione della libertà delle persone, senza alcun controllo giurisdizionale e senza alcuna regolamentazione legislativa, dunque in violazione della riserva di legge e della riserva di giurisdizione sancite dall’art. 13 della Costituzione italiana per tutti i casi di limitazione della libertà personale. Pratiche di trattenimento amministrativo arbitrario in uso da tempo, soprattutto ai danni dei tunisini, che oggi asumono una valenza ancora più grave. Lo stato di diritto si piega così all’emergenza sanitaria, con una flessione tanto più pericolosa quanto sembra che lo stato di emergenza sia destinato a protrarsi nel tempo. Le conseguenze non le subirano solo gli immigrati, ma presto le avvertitranno tutti gli italiani. Sul piano della loro libertà di circolazione i cui limiti potrebbero estendersi di nuovo alla libertà personale.
Con riferimento al trattenimento amministrativo in un Centro di soccorso e di prima accoglienza, come quello di contrada Imbriacola a  Lampedusa,  assimilabile agli attuali centri Hotspot,  la Grand Chambre, della Corte europea dei diritti dell’Uomo, con una decisione definitiva sul caso Khlaifia, votata su questo punto all’unanimità, ha riconosciuto la ricorrenza della violazione dell’ art. 5 CEDU da parte dell’Italia, perché i ricorrenti tunisini risultavano essere stati illegalmente privati della libertà personale, prima nel  CPSA di Lampedusa e poi sulle navi attraccate in porto a Palermo che, nel settembre del 2011, in maniera del tutto arbitraria, erano state adibite alle stesse funzioni dei centri di detenzione.
Dopo la relativa apertura seguita alla caduta di Ben Alì le frontiere tunisine venivano sbarrate un’altra volta. Secondo quanto affermato dal sottosegretario al ministero dell’interno Saverio Ruperto, nella risposta ad una interrogazione parlamentare (Legislatura 16 Risposta ad interrogazione scritta n° 4-06711, fascicolo n.171) in Senato il 14 luglio 2012 «nell’ambito delle iniziative condotte dall’Italia con la Tunisia, già all’indomani della crisi migratoria scaturita dalla situazione di instabilità politica che ha interessato il Mediterraneo meridionale, sono stati attuati mirati interventi sia sul fronte dell’assistenza tecnica (fornitura di equipaggiamenti e formazione della polizia tunisina addetta al controllo delle frontiere), sia sul posizionamento di mezzi aeronavali in prossimità delle acque territoriali tunisine per la sorveglianza delle rotte maggiormente utilizzate dagli immigrati per raggiungere la Sicilia, sia, infine, nella cooperazione con Tunisi per efficaci procedure di riammissione che hanno consentito di rimpatriare 4.583 tunisini. Attualmente le intese prevedono il rimpatrio di 60 tunisini a settimana con due distinti voli charter da 30 ciascuno».
Nell’ottobre del 2017, dopo le intese perfezionate tra Minniti, allora ministro dell’interno, ed il governo di Tunisi, si era verificata una strage e la dinamica dell’affondamento di un barcone,  partito dalle coste tunisine, portava a credere ad un atto doloso realizzato dalla Guardia costiera tunisina per fermare i migranti. Si vuole ripetere ancora con la collaborazione delle autorità italiane quell’infausta prassi di intercettazione?
Ancora oggi gli accordi sono rimasti gli stessi, ma l’Italia ha ritirato le navi militari della missione Mare Sicuro a favore di una maggiore collaborazione con la sedicente Guardia costiera libica, mentre non sembra che si siano fatti progressi nella collaborazione con le autorità tunisine, tra le quali è peraltro diffusa una notevole corruzione. Di certo la Guardia costiera italiana che in passato ha operato molto vicino alle acque territoriali tunisine, come risultava confermato da report che adesso vengono oscurati, ha oggi una agibilità ridotta, per scelta politica, alle sole acque territoriali italiane. Nel Canale di Sicilia, nel quale non sono più presenti le navi militari italiane, mentre rimangono bloccate in porto le navi delle ONG, sottoposte a fermo amministrativo, decine di barchini tentano ogni giorno la traversata verso Pantelleria o Lampedusa. Non si può non rilevare la correlazione tra il ritiro delle unità italiane nelle acque territoriali a 12 miglia a sud di queste due isole, e l’aumento degli arrivi cosiddetti “autonomi”.
5. Eppure i colloqui di Tunisi avrebbero potuto avere un esito diverso, ma forse sarebbe stato necessario un ministro dell’interno diverso che rappresentasse una diversa politica del governo in discontinuità con quella linea che lega le misure contro le ONG adotatte da Minniti nel 2017 ai decreti sicurezza imposti successivamente da Salvini ed ancora in vigore.
Si potevano stabilire missioni congiunte di soccorso nelle acque tra la Tunisia, la Libia e l’Italia, con il coinvolgimento delle ONG e lo sbarco in un porto sicuro, che in questo momento non può che essere in Europa. Si poteva aprire un fronte con l’Unione Europea per la redistribuzione dei naufraghi, in quanto persone, e non solo dei richiedenti asilo, una linea che Malta sta seguendo con successo. E magari si poteva anche verificare la possibilità di riaprire in Italia i canali di ingresso per lavoro stagionale, una mobilità storicamente riconosciuta ai lavoratori tunisini, ma negata in questi ultimi anni, anche per la forte concorrenza che è stata portata dai lavoratori neocomunitari provenienti dall’est europa ( bulgari e romeni), proprio quelli, guarda caso, verso i quali stanno scattando adesso misure restrittive, per la diffusione del Covid 19 nei loro paesi di origine.
Gli incontri di Tunisi si sono dunque conclusi con i soliti impegni centrati esclusivamente sul fronte del contrasto dell’immigrazione irregolare e dei rimpatri forzati. Come informa l’ANSA, “L”Italia “e” pronta ad offrire pienosupporto alla Tunisia anche mediante formule piu” efficaci dicollaborazione nell”attivita” di sorveglianza delle imbarcazionidei trafficanti in partenza dalla costa africana”. Cosi” il Viminale, dopo l”incontro di oggi a Tunisi tra la ministradell”Interno, Luciana Lamorgese ed il presidente dellaRepubblica tunisina, Kais Said. Da parte italiana e” stato confermato che “la Tunisia potra” sempre contare con fiducia sulnostro Paese, anche in un contesto economico reso difficile acausa della diffusione del virus Covid-19″. Nessun impegno economico concreto che possa lontanamente avvicinarsi a quanto si paga ad Erdogan o al governo di Tripoli per fermare le partenze verso l’Europa.
Secondo quanto comunicato dal Viminale sarebbe” stato anche confermato lo svolgimento regolare delle operazioni settimanali di rimpatrio dall”Italia che comunque sono gia” riprese dopo il periodo di lockdown”. Una notizia che certo appare rilevante ma solo per quelle poche decine di persone che in base agli attuali accordi tra Roma e Tunisi il governo tunisino si impegna a riprendere settimana dopo settimana, sempre che si tratti di cittadini tunisini, beninteso. Un mecanismo che si era inceppato in diverse occasioni già in passato, e che certo non potrà funzionare meglio oggi, anche per l’incrocio dei tempi di quarantena obbligatoria con quelli delle procedure di respingimento (differito) o di espulsione con accompagnamento forzato in frontiera. Si dovrebbe pensare invece, vista la situazione straordinaria, ad una sanatoria, come quella che venne deciso dopo l’arrivo di decine di migliaia di tunisini nel 2011, dopo la caduta del dittatore Ben Alì, in un momento di grave incertezza politica ed economica per la Tunisia e per l’intero mondo arabo. Di fronte a persone che non si potranno mai espellere non rimane altra via che quella di procedere ad una graduale emersione, anche come incentivo al tracciamento sociale ed alla stabilità residenziale, valori che in questo momento contano molto più di un foglio di espulsione o di un decreto di respingimento. Per questa ragione occorre mantenere aperti a tempo indeterminato i termini di scadenza dell’attuale regolarizzazione ed ampliarne la portata.
E’ stato nascosto all’opinione pubblica in Italia il forte appello ad una vera discontinuità lanciato dal Presidente della Repubblica tunisina, Saied, un campione di democrazia che si sta battendo per salvare il suo paese stretto tra il conflitto libico ed il gigante algerino. Secondo Saied, “security solutions cannot resolve the phenomenon of illegal migration”, which, he said, is “essentially a humanitarian issue” requiring a “totally new approach”. Ma di questo nuovo approccio nelle politiche migratorie, richiesto dal Presidente tunisino, non si rinviene traccia nelle politiche portate avanti dal governo italiano e dal ministro dell’interno Lamorgese, consigliata in modo evidente da Minniti, che ancora rivendica un ruolo di primo piano, e da altri esponenti di un centro sinistra che ormai ha abdicato al suo ruolo di denuncia delle violazioni, sempre più gravi, dei diritti umani commesse nel Mediterraneo, come nei paesi di transito con i quali si stringono accordi.
Le attuali politiche messe in atto dall’Italia e dai governi europei sono criminogene, perchè producono una irregolarità di massa che può facilmente sfociare nella devianza e nella criminalità, se non nello sfruttamento servile, ed al contempo sono direttamente responsabili delle stragi che continuano a ripetersi in mare, pochi giorni fa ancora 56 vittime, in gran parte tunisini sulla rotta verso la Sicilia, il secondo naufragio di questa estate, a distanza di un mese da una analoga strage sulla stessa rotta. Di certo in Italia la maggioranza della popolazione accetterà come un fatto scontato che tante vite si perdano in mare perchè i governi hanno l’esigenza elettorale di dimostrare che sono capaci di bloccare le partenze e ridurre gli arrivi, noi contiueremo a denunciare giorno dopo giorno questi crimini di sistema che assumono sempre più la configurazione di crimini contro l’umanità. E non saremo soli, perchè saremo con quelle famiglie tunisine che protestano contro i loro governanti perchè fanno accordi con i paesi europei ma non dimostrano di sapere difendere la vita ed i diritti fondamentali dei loro cittadini più giovani, a partire dalla legittima pretesa di trovare un lavoro o di potersi spostare all’estero per una prospettiva di sopravvivenza che spesso è negata già nel paese nel quale sono nati. Se il governo tunisino seguirà l’impronta securitaria che oggi il neo premier ha condiviso con il ministro dell’interno Lamorgese, senza saldare le fratture sociali che dilaniano il suo paese, potrebbero esserci ripercussioni anche sulla tenuta del neocostituito governo. In Italia, dopo il finanziamento della missione in Libia e il fermo amministrativo delle navi delle ONG possiamo solo affermare: ” non in nostro nome”.
L’unica prospettiva che rimane aperta per difendere la democrazia nel nostro paese è la via della denuncia con una critica radicale alle politiche dell’attuale governo, sempre più vicino al compromesso con parte dell’opposizione, all’insegna del ridimensionamento dei diritti umani e del valore stesso del diritto alla vita, oggi, in mare, per i migranti, ma non solo per loro, domani. Tutti gli italiani sono a rischio democratico, come dimostrano i gravissimi reati commessi in varie parti d’Italia da appartenenti alle forze dell’ordine che non nascondono le loro simpatie per l’estrema destra. Fatti noti da tempo, che sono stati coperti da omertà diffuse e sui quali esprimono solidarietà proprio quegli esponenti politici, come la Meloni di Fratelli d’Italia, con i quali si tratta in vista di nuove maggioranze parlamentari, con intese tacite che si sono già anticipate proprio sul fronte delle politiche migratorie.






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