Uno
studio che dovete leggere per forza. Nessuna ideologia, nessuna
formulazione astratta. Solo un’analisi – quasi un documentario – di come
ha funzionato fin qui il nostro mondo neoliberista. Una serie di
immagini che legano deforestazione, allevamenti intensivi, diminuzione
delle varietà genetiche, popolazioni immuni per storia millenaria a
patogeni locali che – attraverso le filiere mondiali dell’agrobusiness –
porta agenti patogeni finora “a chilometro zero” in tutto il mondo, in
ogni angolo del pianeta. Presso popolazioni che non hanno alcun
anticorpo specifico.
La
“globalizzazione” ha partorito il più letale dei meccanismi
distruttivi, ma sarebbe ancora affrontabile se ci fosse un governo del
mondo unitario e orientato al benessere – o almeno alla sopravvivenza –
del genere umano.
Invece
viviamo in un ecosistema suicidiario che mette al primo posto in
profitto di alcune aziende in competizione con tutte le altre; le quali
orientano molto facilmente le scelte di Stati che sono in competizione
con tutti gli altri. Basta vedere come la volontà di Confindustria abbia
abbattuto qualsiasi possibilità di limitare le conseguenze
dell’epidemia nelle regioni più industrializzate di questo Paese. Ma è
così dappertutto…
Un sistema che non può perciò
affrontare una pandemia minimizzando i costi umani e persino quelli
economici. Un sistema che, se pure dovesse “tornare com’era prima”,
sarebbe semplicemente in attesa di una nuova pandemia più micidiale
dell’attuale, con la stessa impreparazione e “minimizzazione” del suo
impatto sulle popolazioni.
La rassegna del mese del Monty Review: da https://monthlyreview.org
*****
COVID-19,
la malattia causata dal coronavirus SARS-CoV-2, è il secondo virus che
dal 2002 ha portato alla diffusione di crisi respiratorie gravi (Severe
Acute Respiratory Syndrome, SARS), ed ha scatenato ora una pandemia
mondiale. Dalla fine di marzo, intere città sono corse ai ripari e, uno
ad uno, gli ospedali stanno esplodendo.
La
Cina, l’iniziale epicentro, ha passato la fase acuta, così come
Singapore e Corea del Sud. L’Europa, soprattutto Italia, Spagna e
Francia, ma progressivamente anche gli altri Paesi, sono in piena crisi.
L’America Latina e l’Africa stanno solo adesso iniziando ad accumulare
casi.
Negli
Stati Uniti, l’immediato futuro appare desolante. Negli USA il picco
della pandemia dovrebbe arrivare a maggio, ma già adesso gli operatori
sanitari e i pazienti sono in corsa
per l’accaparramento dei dispositivi di protezione individuale. Gli infermieri, ai quali i Centri per il Controllo e la Protezione dalle Malattie (CDC) hanno spaventosamente raccomandato di usare bandane e sciarpe come alternativa alle mascherine, hanno già dichiarato che “il sistema è condannato al collasso”.
per l’accaparramento dei dispositivi di protezione individuale. Gli infermieri, ai quali i Centri per il Controllo e la Protezione dalle Malattie (CDC) hanno spaventosamente raccomandato di usare bandane e sciarpe come alternativa alle mascherine, hanno già dichiarato che “il sistema è condannato al collasso”.
Nel
frattempo, l’amministrazione USA continua a rifiutarsi di acquistare
gli equipaggiamenti medici per gli Stati, lasciando un totale vuoto nel
sistema di controllo centrale della pandemia. Di contro, Trump ha però
annunciato un maggiore controllo alle frontiere come misura di salute
pubblica mentre il virus infuria all’interno del paese.
Un
team di epidemiologia all’Imperial College ha previsto che anche nel
caso si attuasse la migliore campagna di quarantena e distanziamento
sociale per mitigare la diffusione del virus, si arriverebbe comunque ad
1,1 milione di morti. Per limitare i morti, si dovrebbe attuare una
campagna di restrizioni sociali ferree per almeno 18 mesi, il chè
provocherebbe però una contrazione economica enorme.
Il
team ha proposto di bilanciare le esigenze di controllo delle malattie
con quelle dell’economia, attivando e disattivando la quarantena della
comunità, a seconda della disponibilità di letti di terapia intensiva
disponibili.
Altri
modellisti hanno respinto questa ipotesi. Un gruppo guidato da Nassim
Taleb ha criticato il modello dell’Imperial College perché non terrebbe
conto della “mappa dei contatti” tra le persone, non tenendo conto quindi di un eventuale monitoraggio dei contagi “porta a porta”,
ma la critica più forte che emerge dal gruppo di Taleb, denuncia la
mancata volontà dei governi di impegnarsi nel coordinamento di un vero e
proprio cordone sanitario.
È
probabile che i governi vedranno questa ipotesi come davvero necessaria
solo quando il picco sarà al suo apice, o quando i morti inizieranno a
diminuire. Come diceva un buffone: “Il coronavirus è troppo radicale. L’America ha bisogno di un virus più moderato a cui per rispondere in modo adeguato.”
Il
gruppo di Taleb rileva il rifiuto della squadra dell’Imperial College
di indagare in quali condizioni il virus può essere sconfitto, non in
termini di “casi zero”, ma almeno una strategia (quella
dell’isolamento), che possa essere sufficiente a bloccare nuove catene
di infezione.
Il
team Taleb preferisce il programma di controllo della Cina, che ha
permesso di andare abbastanza veloce verso l’uscita dalla pandemia,
attraverso il controllo della malattia e garantendo l’economia anche in
assenza di manodopera.
L’epidemiologo
matematico Rodrick Wallace invece, stravolge completamente la
discussione sui modelli. Nella modellistica delle emergenze, infatti,
manca il tema del “quando” e del “dove” l’emergenza ha inizio, e quindi
dell’analisi delle cause strutturali che fanno parte dell’emergenza.
Includerli ci aiuta a capire come rispondere al meglio andando oltre il
semplice riavvio della stessa economia che ha prodotto il danno.
“Se ai pompieri vengono fornite risorse sufficienti”, scrive Wallace,
“in condizioni normali, la maggior parte degli incendi, il più delle
volte, può essere contenuta con perdite minime e distruzione della
proprietà. Tuttavia, tale contenimento dipende in modo critico anche dai
costanti e continui sforzi normativi che limitino i pericoli di
incendio, come la manutenzione e la conservazione dell’edificio a tutti
ai livelli necessari, e il rispetto delle regole. Il contesto conta per
l’infezione da pandemia, e le attuali strutture politiche che consentono
alle imprese agricole multinazionali di privatizzare i progetti
esternalizzando i costi, devono diventare soggette a “applicazione del
codice” che reinternalizza tali costi se si vuole evitare una malattia
pandemica nell’immediato futuro!”.
L’incapacità
di prepararsi allo scoppio della pandemia è dovuta anche al fatto che
tutti i Paesi del mondo non hanno reagito in tempo, una volta che il
COVID-19 è uscito da Wuhan. Negli Stati Uniti, ad esempio, non è
successo quando Trump ha smantellato il team di sicurezza nazionale che
lavorava alla preparazione sulla pandemia, né quando i federali non
hanno agito in base ai risultati di una simulazione pandemica del 2017,
che mostrava chiaramente come il Paese sarebbe stato impreparato.
Non è iniziato nemmeno quando, come afferma Reuters, gli Stati Uniti “hanno rifiutato il lavoro di esperti CDC dalla Cina“,
né tanto meno quando si è presa la decisione di non utilizzare i kit di
test già disponibili forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Una serie di errori, che sono e saranno decisivi nella gestione della
pandemia oggi, e che saranno responsabili della morte, probabilmente, di
migliaia di persone.
Ma
questi fallimenti sono frutto di una politica decennale in cui i beni
comuni della sanità pubblica sono stati contemporaneamente trascurati e
monetizzati. Un paese catturato da un regime di epidemiologia individualizzata e puntuale
– una contraddizione assoluta – con letti ospedalieri e attrezzature a
malapena sufficienti per le normali operazioni, non è per definizione in
grado di mettere in campo le risorse necessarie per perseguire il
modello cinese di gestione dell’emergenza.
Seguendo
il punto del team di Taleb sugli approcci ai modelli previsionali, in
termini più esplicitamente politici, l’ecologo Luis Fernando Chaves,
facendo riferimento ai biologi dialettici Richard Levins e Richard
Lewontin, afferma che “lasciare parlare i numeri” rischia a
volte di dimenticare l’assunto di partenza. Modelli come lo studio
dell’Imperial College limitano esplicitamente la portata dell’analisi a
domande inquadrate nell’ordine sociale dominante, non riuscendo ad
andare oltre e ad inquadrare gli aspetti più generali della questione.
Consapevolmente
o meno, le proiezioni risultanti pongono al secondo posto la protezione
della salute, comprese le migliaia di persone tra le più vulnerabili
che sarebbero rimaste uccise se un paese passasse dal controllo delle
malattie all’economia. La visione foucaultiana di uno Stato che agisce su una popolazione secondo i suoi propri interessi rappresenta solo un aggiornamento, anche se più benigno, della spinta maltusiana per l’immunità di gregge che il governo britannico Tory e ora i Paesi Bassi hanno proposto, lasciando che il virus falci la popolazione senza ostacoli.
Esistono poche prove oltre la speranza ideologica che l’immunità di gregge garantirebbe di fermare l’epidemia. Il virus può facilmente evolversi sotto la coperta immunitaria della popolazione.
INTERVENTO
Cosa si dovrebbe fare invece?
Dobbiamo nazionalizzare gli ospedali come ha fatto la Spagna in risposta all’esplosione del virus.
Dobbiamo potenziare i test come ha fatto il Senegal.
Dobbiamo socializzare i prodotti farmaceutici.
Dobbiamo applicare le massime protezioni per il personale medico per rallentare che il personale si ammali.
Dobbiamo garantire il diritto alla riparazione di ventilatori e altri macchinari medici.
Dobbiamo
iniziare a produrre in serie cocktail di antivirali e qualsiasi altro
farmaco che appaia promettente, mentre conduciamo test clinici.
Un
sistema di pianificazione dovrebbe essere implementato per (1) forzare
le aziende a produrre i ventilatori necessari e le attrezzature di
protezione personale richieste dagli operatori sanitari e (2) dare
priorità all’assegnazione dei beni necessari li dove ce n’è più bisogno.
Dobbiamo
stabilire un massiccio piano di intervento e di manodopera sanitaria
pronta a rispondere all’impatto del virus. Fare in modo che il carico di
lavoro, e la disponibilità di attrezzature e letti necessari sia
adeguato alle necessità.
Dobbiamo
assumere abbastanza persone per identificare COVID-19 casa per casa in
questo momento e dotare i malati delle attrezzature di protezione
necessarie, come le mascherine. E dobbiamo attuare una politica di esproprio, per fare in modo che tutte le persone possano sopravvivere nel modo adeguato.
Fino
a quando un tale programma non verrà attuato, la popolazione sarà in
pericolo. Anche se lo Stato deve essere richiamato alle sue
responsabilità, le persone comuni dovrebbero unirsi ai gruppi di mutuo
soccorso e alle brigate di quartiere.
L’insistenza
a parlare di tutto ciò, in termini di pianificazione dell’emergenza, ci
offre una chiave per fare un passo avanti nella protezione delle
persone prima dei profitti.
Dobbiamo
mantenere lo shock che abbiamo avuto quando abbiamo appreso che un
altro virus SARS è emerso dalla fauna selvatica e nel giro di otto
settimane si è trasferito all’uomo.
Ma
in che modo il settore alimentare esotico è arrivato ad incrociarsi con
il mercato delle carni tradizionali, nel più grande mercato di Wuhan?
Gli animali non venivano venduti sul retro di un camion o in un vicolo. A
livello geografico, la regione di Wuhan comprende zone confinarie
ricche di fauna selvatica.
Qui,
mentre la produzione industriale avanza distruggendo boschi, avanza
anche il mercato della carne e degli animali selvatici, ed è così che il
più “esotico” dei patogeni, in questo caso SARS-2 ospitato inizialmente
dai pipistrelli, può iniziare a viaggiare, dal pipistrello ad altri
animali, fino ad essere trasportato in un camion dall’altra parte della
regione, e infettare quindi anche l’uomo.
INFILTRAZIONE
Il
collegamento richiede un’elaborazione, tanto nell’aiutarci a
pianificare il futuro durante questa emergenza, quanto nel capire come
l’umanità abbia posto le condizioni per mettersi in trappola da sola.
Vediamo
come alcuni agenti patogeni nascano proprio nei centri di produzione;
ci vengono in mente batteri di origine alimentare come Salmonella e
Campylobacter. Molti, come il COVID-19, hanno origine, però, da quelle
che riconosciamo come le frontiere della produzione di capitale.
In
effetti, almeno il 60% dei nuovi agenti patogeni umani si verifica con
il passaggio dagli animali selvatici alle comunità umane locali, ancor
prima che quelli di maggior successo si diffondano al resto del mondo.
Un
certo numero di luminari nel campo dell’ecosanità, alcuni dei quali in
parte finanziati dalla Colgate-Palmolive e dalla Johnson & Johnson,
aziende chiave dell’avanguardistico agribusiness e della deforestazione,
hanno stilato una mappa globale basata sulle epidemie a partire dal
1940, che mostra la probabilità che in futuro compaiano nuovi agenti
patogeni.
Più
è caldo il colore sulla mappa, più alta è la probabilità della comparsa
in quel determinato territorio. Questa mappa (rossa in Cina, India,
Indonesia e parti dell’America Latina e dell’Africa) ha mancato un punto
critico: concentrarsi sulle zone in cui si verificano i focolai porta
ad ignorare il ruolo degli attori economici globali nel modellare le
epidemie.
Gli
interessi del capitale a sostegno dei cambiamenti causati dallo
sviluppo e dalla produzione nell’uso del territorio e nella comparsa di
malattie, nelle parti sottosviluppate del globo, premiano gli sforzi che
attribuiscono la responsabilità delle epidemie alle popolazioni
indigene e alle loro cosiddette “sporche” pratiche culturali.
Preparare
la carne di animali selvatici e le sepolture domestiche sono due
pratiche ritenute responsabili della comparsa di nuovi agenti patogeni.
Al contrario, tracciare geografie relazionali trasforma
improvvisamente New York, Londra e Hong Kong, principali fonti del
capitale globale, in tre dei peggiori focolai del mondo.
Nel
frattempo, le zone di contagio non sono più organizzate secondo i
sistemi tradizionali. Un diseguale scambio ecologico, che reindirizza i
danni dell’agricoltura industriale a sud del mondo, si è trasformato
dall’esclusivo saccheggio delle località di risorse e nuovi complessi su
scala e materie prime da parte dell’imperialismo di Stato.
L’Agribusiness
sta riconfigurando le proprie operazioni estrattive in reti
spazialmente discontinue su territori di diversa scala. Una serie di
“Repubbliche della soia” basate sulla subordinazione ad una
multinazionale, ad esempio, ora spadroneggia in Bolivia, Paraguay,
Argentina e Brasile.
La
nuova geografia è incarnata dai cambiamenti nelle strutture manageriali
delle aziende: capitalizzazione, subappalti, sostituzioni della catena
di approvvigionamento, leasing e la messa in comune transnazionale dei
terreni.
A
cavallo dei confini nazionali, questi “paesi delle materie prime”,
inseriti in modo flessibile attraverso le ecologie e i confini politici,
stanno lasciando nuove epidemie lungo la strada.
Per
esempio, nonostante uno spostamento generale della popolazione dalle
aree rurali mercificate alle baraccopoli urbane che vediamo ad oggi in
tutto il mondo, il divario rurale-urbano che guida gran parte della
discussione intorno all’emergenza sanitaria omette la manodopera destinata all’agricoltura e la rapida crescita di città rurali in desakotas periurbane (villaggi di città) o zwischenstadt (città di mezzo).
Mike
Davis e altri hanno identificato come questi paesaggi di nuova
urbanizzazione agiscano sia come centri di mercati locali, sia come
centri di passaggio di materie prime agricole verso mercati più a larga
scala. Alcune di tali regioni sono anche andate oltre l’agricoltura. Di
conseguenza, le dinamiche delle malattie forestali, le fonti primordiali
degli agenti patogeni, non sono più vincolate al solo entroterra. Le
loro epidemiologie associate si sono trasformate in relazionali, attraverso il tempo e lo spazio, e si possono quindi diffondere in modo molto veloce dalle periferie al centro.
Gli
ecosistemi in cui tali virus “selvatici” erano in parte controllati
dalle complessità della foresta tropicale sono stati drasticamente
colpiti dalla deforestazione per mano del capitale e dallo sviluppo
periurbano. Mentre molti agenti patogeni selvatici stanno morendo a
causa della specie ospite, un sottoinsieme di infezioni che un tempo
bruciavano abbastanza rapidamente nella foresta, alle volte a causa di
un tasso irregolare di incontro con la tipica specie ospite, si
propagano ora attraverso le popolazioni umane, più sensibili
all’infezione.
Anche
di fronte a vaccini efficaci, i focolai che ne derivano sono
caratterizzati da una maggiore estensione, durata e slancio. Quello che
un tempo erano fenomeni locali, ora sono epidemie che si fanno strada
attraverso reti globali di viaggi e scambi.
Con
questo effetto di parallasse, a causa del cambiamento nel contesto
ambientale, vecchi virus come Ebola, Zika, malaria, e febbre gialla si
sono trasformate in minacce “regionali”, mentre gli animali selvatici,
si stanno dimostrando veicoli molto più pericolosi. Già frammentata
dalla deforestazione, ad esempio, la popolazione di scimmie autoctone
del Nuovo Mondo, sensibile alla febbre gialla selvatica a cui sono
esposte da almeno un secolo, stanno perdendo la loro immunità di gregge e
stanno morendo a centinaia di migliaia.
PROPAGAZIONE
Solo
per la sua propagazione globale, l’agricoltura delle materie prime
funge sia da propulsione che da connessione attraverso cui gli agenti
patogeni migrano dai bacini più remoti ai centri urbani più
internazionali. È qui, lungo questo cammino, che i nuovi patogeni si
infiltrano nelle comunità agricole chiuse.
Più
lunghe sono le catene di fornitura associate e maggiore è l’entità
della deforestazione aggiuntiva, tanto più diversi (ed esotici) saranno i
patogeni zootecnici che entrano nella catena alimentare.
Tra
i recenti agenti patogeni di origine alimentare di aziende agricole
emergenti e riemergenti, provenienti da tutto il dominio antropogenico,
ci sono febbre suina africana, Campylobacter, Cryptosporidium,
Cyclospora, Ebola Reston, E. coli O157:H7, malattia piedi e bocca,
epatite E, Listeria, virus Nipah, febbre Q, Salmonella, Vibrio, Yersinia
ed una quantità di nuove varianti influenzali incluso H1N1 (2009),
H1N2v, H3N2v, H5N1, H5N2, H5Nx, H6N1, H7N1, H7N3, H7N7, H7N9, and H9N2.
Tuttavia,
non intenzionalmente, il complesso della linea produzione è organizzato
intorno a pratiche che accelerano l’evoluzione della virulenza patogena
e della trasmissione che ne consegue. Le monocolture genetiche in
aumento – animali e vegetali per industria alimentare con genomi quasi
identici – abbattono quelle barriere difensive immunitarie che nelle
popolazioni più diverse rallentano la diffusione.
Adesso
i patogeni possono evolversi rapidamente attorno ai comuni genotipi
immunitari dell’ospite. Nel frattempo le condizioni di affollamento
abbassano la risposta immunitaria. La maggiore dimensione e densità
della popolazione animale da allevamento nelle fattorie industriali
facilita una più ampia trasmissione ed infezione. Far alloggiare molti
animali insieme premia la condivisione e diffusione del virus. È
probabile che la riduzione dell’età da macello – fino a sei settimane
nei polli – selezioni quei patogeni in grado di sopravvivere ai sistemi
immunitari più robusti.
L’allungamento
dell’estensione geografica di commercio ed esportazione di animali vivi
ha incrementato la diversità dei segmenti genomici scambiati dai loro
patogeni associati, aumentando la velocità con cui gli agenti patogeni
esplorano le loro possibilità evolutive.
Mentre
i missili dell’evoluzione patogena si trasmettono in tutti questi modi,
ci sono dall’altro lato pochi o inesistenti interventi di controllo, se non quelli necessari a salvaguardare i margini fiscali trimestrali dall’improvvisa emergenza di un focolaio.
La
tendenza va verso minori ispezioni governative in aziende ed impianti
di trasformazione, leggi “contro” la sorveglianza governativa.
Nonostante le recenti vittorie legali contro pesticidi e l’inquinamento
derivato dai maiali, il comando privato della produzione rimane
interamente focalizzato sul profitto.
I
danni causati dalle epidemie che ne derivano sono esternalizzati al
bestiame, alle colture, alla fauna selvatica, ai lavoratori, ai governi
locali o nazionali, ai sistemi di sanità pubblica e agli agrosistemi
alternativi all’estero come una questione di priorità nazionale. Negli
Stati Uniti il CDC riferisce che le epidemie di origine alimentare sono
in espansione.
Quindi
l’alienazione del capitale si sta evolvendo a favore dei patogeni.
Mentre l’interesse pubblico viene filtrato e arrestato alle porte
dell’azienda agricola e dell’industria alimentare, i patogeni
fuoriescono oltre i limiti della biosicurezza per cui l’industria è
disposta a pagare e vengono restituiti al pubblico.
Ogni giorno la produzione rappresenta un lucroso rischio morale che si consuma attraverso nostri beni comuni condivisi.
LIBERAZIONE
C’è
una ironia rivelatrice a New York, una delle più grandi città del
mondo, che si rifugia sul posto contro COVID-19, in un emisfero lontano
dalle origini del virus.
Milioni
di newyorkesi si nascondono nel patrimonio immobiliare che fino a poco
tempo fa era controllato da Alicia Glen, vicesindaco della città fino al
2018. Glen è una ex dirigente di Goldman Sachs che ha supervisionato il
gruppo Urban Investment Group.
Tre
anni prima di diventare vicesindaco, in seguito a una crisi abitativa e
alla Grande Recessione, il suo ex datore di lavoro, insieme a JPMorgan,
Bank of America, Citigroup, Wells Fargo & Co. e Morgan Stanley,
prese il 63% del prestito di emergenza federale.
Goldman
Sachs, liberatasi dalle spese generali, è passata alla diversificazione
delle sue partecipazioni dopo la crisi. Ha acquisito il 60% delle
azioni di Shuanghui Investment and Development, parte della gigantesca
industria agroalimentare cinese che ha acquistato la Smithfield Foods,
con sede negli Stati Uniti, il più grande produttore di maiali al mondo.
Per
300 milioni di dollari, ha anche ottenuto la proprietà totale di dieci
allevamenti di pollame nel Fujian e Hunan, una provincia della regione
di Wuhan. Ha investito inoltre fino ad altri 300 milioni di dollari
insieme a Deutsche Bank nel mercato del maiale, nelle stesse province.
Per ironia o meno, i collegi elettorali di Glen, in tutta la città, oggi sono i più duramente colpiti dal COVID-19.
Il
dito nazionalista e razzista di Trump contro il “virus cinese” oscura
le direzioni globali interconnesse dello stato e del capitale. “Fratelli
nemici”, li descrisse Karl Marx.
La
morte e il danno sopportati dai lavoratori sul campo di battaglia,
nell’economia, e ora sui loro divani mentre lottano contro il virus
letale, manifestano sia la competizione tra le élite che manovrano per
ridurre le risorse naturali, sia gli strumenti utilizzati per dividere e
conquistare la massa dell’umanità intrappolata negli ingranaggi di
queste macchinazioni.
Una pandemia che nasce dal modo di produzione capitalista e che lo Stato dovrebbe gestire, può offrire un’opportunità.
A
metà febbraio, cinque senatori statunitensi e venti membri della Camera
hanno scaricato dal proprio portafogli milioni di dollari in azioni di
industrie che avrebbero potuto subire danni a seguito della pandemia
imminente. I politici hanno quindi fondato i propri comportamenti di
trading su informazioni non pubbliche, anche se alcuni dei
rappresentanti hanno continuato a ripetere pubblicamente, come da
direttiva, che la pandemia “non avrebbe causato alcuna minaccia”.
Al
di là di tale prendi-e-fuggi, la corruzione statale è sistemica, e
quando il capitale incassa in questo modo è indicativo della fine del
ciclo di accumulazione statunitense. Ma secondo la stessa Goldman Sachs,
la pandemia, come le crisi precedenti, offre “spazio per crescere”:
“Condividiamo
l’ottimismo dei vari esperti di vaccini e ricercatori delle aziende
biotecnologiche sulla base dei buoni progressi che sono stati fatti
finora su diverse terapie e vaccini. Crediamo che la paura si abbasserà
alla prima significativa evidenza di tale progresso. Cercare di operare
verso un possibile obiettivo al ribasso, quando l’obiettivo di fine anno
è sostanzialmente più alto, è appropriato per alcuni gestori di fondi
speculativi, ma non per gli investitori a lungo termine. Dall’altro
lato, non vi è alcuna garanzia che il mercato raggiunga i livelli più
bassi che possono essere utilizzati come giustificazione per la vendita
di oggi. Siamo insomma più fiduciosi che il mercato alla fine
raggiungerà l’obiettivo più alto data la resilienza e la preminenza
dell’economia statunitense. Infine, pensiamo che i livelli attuali
offrano l’opportunità di aumentare lentamente i livelli di rischio a
livello di portafoglio. Per coloro che possono contare su liquidità in
eccesso e hanno capacità di resistenza tramite la giusta allocazione
strategica delle attività, questo è il momento di iniziare
incrementalmente a investire sulle azioni dello S&P.”
Sconvolta
dagli effetti letali di questa pandemia, la gente di tutto il mondo
trae conclusioni diverse. I circuiti di capitale e di produzione che gli
agenti patogeni segnano con marcatori radioattivi uno dopo l’altro sono
ritenuti inconcepibili.
Come definire tali sistemi oltre lo sporadico e il circostanziale, come fatto sopra?
Il
nostro gruppo è sta cercando di derivare un modello che superi gli
sforzi della moderna medicina coloniale, basata sull’ecosanità e sul
concetto del One Health, che continua a incolpare gli indigeni e piccoli
proprietari terrieri locali per la deforestazione che porta alla
comparsa di malattie mortali.
La nostra teoria generale riguardante la comparsa di emergenze sanitarie, Cina compresa, combina:
-
circuiti globali di capitale;
-
diffusione del suddetto capitale che distrugge la complessità ambientale regionale e che mantiene la crescita virulenta dei patogeni;
-
il conseguente aumento delle aliquote e la larghezza tassonomica di eventi di fuoriuscita;
-
l’espansione dei circuiti periurbani delle materie prime e il relativo trasporto di questi nuovi agenti patogeni nel bestiame e nel lavoro, dall’entroterra più profondo alle città;
-
i viaggi globali in crescita (e il commercio di bestiame): reti che trasportano gli agenti patogeni da dette città al resto del mondo in tempi record;
-
i modi in cui queste reti abbassano le difficoltà di trasmissione, selezionando per l’evoluzione di un agente patogeno dalla maggiore letalità sia nel bestiame sia nelle persone;
-
la scarsità di riproduzione in loco nel bestiame industriale, eliminando la selezione naturale come un servizio ecosistemico che fornisce in tempo reale la protezione delle malattie.
La
premessa operativa di base è che la causa del COVID-19 e di altri
agenti patogeni non si trova solo nell’oggetto di un agente infettivo o
nel suo andamento clinico, ma anche nel campo delle relazioni ecosistemiche che il capitale e altre cause strutturali hanno sfruttato a proprio vantaggio.
L’ampia
varietà di agenti patogeni, che rappresentano diversi taxa, ospiti,
modalità di trasmissione, corsi clinici, ed esiti epidemiologici, tutte
le risorse che ci fanno correre ai nostri motori di ricerca ad ogni
epidemia, segnano parti e percorsi diversi lungo gli stessi tipi di
circuiti di uso del territorio e accumulo di valore.
Un programma generale d’intervento va in parallelo e ben oltre un particolare virus.
Per
evitare i peggiori risultati, la dis-alienazione offre la prossima
grande transizione umana: abbandonare le ideologie coloniche,
reintrodurre l’umanità nei cicli di rigenerazione della Terra e
riscoprire il nostro senso di coscienza di massa, che va ben oltre il
capitale e lo Stato.
Tuttavia,
l’economicismo, la convinzione che tutte le cause siano solo
economiche, non sarà sufficiente per la liberazione. Il capitalismo
globale è un’idra a più teste, che appropria, interiorizza e ordina
molteplici strati della relazione sociale. Il capitalismo opera su
terreni complessi e interconnessi di razza, classe e genere nel corso
della realizzazione di regimi di valore regionale da luogo in luogo.
A
rischio di accettare i precetti che la storica Donna Haraway liquidò
come storia della salvezza – “possiamo disinnescare la bomba in tempo?” –
la dis-alienazione deve smantellare queste molteplici gerarchie di
oppressione e i modi locali specifici in cui interagiscono con
l’accumulo.
Lungo
la strada, dobbiamo uscire dalle espansive riappropriazioni del
capitale attraverso materialismi produttivi, sociali e simbolici. Il
capitalismo mercifica tutto, l’esplorazione di Marte qui, dormire lì,
lagune di litio, riparazione dei ventilatori, persino la sostenibilità
stessa, e così via; queste molte permutazioni si trovano ben oltre la
fabbrica e la fattoria.
Tutti
i modi in cui quasi tutti sono soggetti al mercato, che in un periodo
come questo è sempre più antropomorfizzato dai politici, non potrebbero
essere più chiari.
In
sintesi, un intervento riuscito che mantiene uno qualsiasi dei tanti
agenti patogeni in coda attraverso il circuito agroeconomico, uccidendo
un miliardo di persone, deve passare da uno scontro globale con il
capitale e i suoi rappresentanti locali, qualsiasi soldato della
borghesia, Glen tra loro, tenta di mitigare i danni. Come il nostro
gruppo descrive in alcuni dei nostri ultimi lavori, l’agrobusiness è in
guerra con la salute pubblica.
E la salute pubblica sta perdendo.
Se,
tuttavia, una maggiore umanità dovesse vincere un tale conflitto
generazionale, possiamo reinserirci in un metabolismo planetario che,
per quanto diversamente espresso, riconnette le nostre ecologie e le
nostre economie.
Proteggiamo
la complessità della foresta che impedisce agli agenti patogeni mortali
di mettere in fila gli ospiti così da avere un colpo ben mirato quando
sono inseriti nella rete globale. Reintroduciamo le diversità del
bestiame e delle colture, e riduciamo l’allevamento animale e le colture
a scale che impediscono agli agenti patogeni di dilagare in virulenza e
estensione geografica.
Permettiamo
ai nostri animali destinati all’alimentazione di riprodursi in loco,
riavviando la selezione naturale che permette l’evoluzione immunitaria
per rintracciare gli agenti patogeni in tempo reale. Nel quadro
generale, smettiamo di trattare la natura e la comunità, così piena di
tutto quello che ci serve per sopravvivere, come un altro concorrente
che viene cacciato dal mercato.
La
via d’uscita è la nascita di un mondo (o, forse, più lungo la linea del
ritorno sulla Terra). Aiuterà anche a risolvere, tirandosi su le
maniche, molti dei nostri problemi più urgenti.
Nessuno
di noi, bloccati nei nostri salotti da New York a Pechino, o, peggio,
piangendo i nostri morti, vuole affrontare di nuovo un’epidemia del
genere. Sì, le malattie infettive, rimarranno una minaccia, così come
per la maggior parte della storia umana sono state una delle maggiori
cause di mortalità.
Ma dato il bestiario di
agenti patogeni ora in circolazione, saremo probabilmente di fronte a
un’altra pandemia in tempo molto più breve rispetto alla tregua avuta
dal 1918. Fondamentalmente possiamo regolare le modalità di
appropriazione della natura e arrivare a una tregua con queste
infezioni?
Note
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