sabato 11 aprile 2020

pc 11 aprile - Il capitale mette in circolo tutto, a cominciare dai virus - un contributo




Uno studio che dovete leggere per forza. Nessuna ideologia, nessuna formulazione astratta. Solo un’analisi – quasi un documentario – di come ha funzionato fin qui il nostro mondo neoliberista. Una serie di immagini che legano deforestazione, allevamenti intensivi, diminuzione delle varietà genetiche, popolazioni immuni per storia millenaria a patogeni locali che – attraverso le filiere mondiali dell’agrobusiness – porta agenti patogeni finora “a chilometro zero” in tutto il mondo, in ogni angolo del pianeta. Presso popolazioni che non hanno alcun anticorpo specifico.
La “globalizzazione” ha partorito il più letale dei meccanismi distruttivi, ma sarebbe ancora affrontabile se ci fosse un governo del mondo unitario e orientato al benessere – o almeno alla sopravvivenza – del genere umano.
Invece viviamo in un ecosistema suicidiario che mette al primo posto in profitto di alcune aziende in competizione con tutte le altre; le quali orientano molto facilmente le scelte di Stati che sono in competizione con tutti gli altri. Basta vedere come la volontà di Confindustria abbia abbattuto qualsiasi possibilità di limitare le conseguenze dell’epidemia nelle regioni più industrializzate di questo Paese. Ma è così dappertutto…
Un sistema che non può perciò affrontare una pandemia minimizzando i costi umani e persino quelli economici. Un sistema che, se pure dovesse “tornare com’era prima”, sarebbe semplicemente in attesa di una nuova pandemia più micidiale dell’attuale, con la stessa impreparazione e “minimizzazione” del suo impatto sulle popolazioni.
La rassegna del mese del Monty Review: da https://monthlyreview.org
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COVID-19, la malattia causata dal coronavirus SARS-CoV-2, è il secondo virus che dal 2002 ha portato alla diffusione di crisi respiratorie gravi (Severe Acute Respiratory Syndrome, SARS), ed ha scatenato ora una pandemia mondiale. Dalla fine di marzo, intere città sono corse ai ripari e, uno ad uno, gli ospedali stanno esplodendo.
La Cina, l’iniziale epicentro, ha passato la fase acuta, così come Singapore e Corea del Sud. L’Europa, soprattutto Italia, Spagna e Francia, ma progressivamente anche gli altri Paesi, sono in piena crisi. L’America Latina e l’Africa stanno solo adesso iniziando ad accumulare casi.
Negli Stati Uniti, l’immediato futuro appare desolante. Negli USA il picco della pandemia dovrebbe arrivare a maggio, ma già adesso gli operatori sanitari e i pazienti sono in corsa
per l’accaparramento dei dispositivi di protezione individuale. Gli infermieri, ai quali i Centri per il Controllo e la Protezione dalle Malattie (CDC) hanno spaventosamente raccomandato di usare bandane e sciarpe come alternativa alle mascherine, hanno già dichiarato che “il sistema è condannato al collasso”.
Nel frattempo, l’amministrazione USA continua a rifiutarsi di acquistare gli equipaggiamenti medici per gli Stati, lasciando un totale vuoto nel sistema di controllo centrale della pandemia. Di contro, Trump ha però annunciato un maggiore controllo alle frontiere come misura di salute pubblica mentre il virus infuria all’interno del paese.
Un team di epidemiologia all’Imperial College ha previsto che anche nel caso si attuasse la migliore campagna di quarantena e distanziamento sociale per mitigare la diffusione del virus, si arriverebbe comunque ad 1,1 milione di morti. Per limitare i morti, si dovrebbe attuare una campagna di restrizioni sociali ferree per almeno 18 mesi, il chè provocherebbe però una contrazione economica enorme.
Il team ha proposto di bilanciare le esigenze di controllo delle malattie con quelle dell’economia, attivando e disattivando la quarantena della comunità, a seconda della disponibilità di letti di terapia intensiva disponibili.
Altri modellisti hanno respinto questa ipotesi. Un gruppo guidato da Nassim Taleb ha criticato il modello dell’Imperial College perché non terrebbe conto della “mappa dei contatti” tra le persone, non tenendo conto quindi di un eventuale monitoraggio dei contagi “porta a porta”, ma la critica più forte che emerge dal gruppo di Taleb, denuncia la mancata volontà dei governi di impegnarsi nel coordinamento di un vero e proprio cordone sanitario.
È probabile che i governi vedranno questa ipotesi come davvero necessaria solo quando il picco sarà al suo apice, o quando i morti inizieranno a diminuire. Come diceva un buffone: “Il coronavirus è troppo radicale. L’America ha bisogno di un virus più moderato a cui per rispondere in modo adeguato.

Il gruppo di Taleb rileva il rifiuto della squadra dell’Imperial College di indagare in quali condizioni il virus può essere sconfitto, non in termini di “casi zero”, ma almeno una strategia (quella dell’isolamento), che possa essere sufficiente a bloccare nuove catene di infezione.
Il team Taleb preferisce il programma di controllo della Cina, che ha permesso di andare abbastanza veloce verso l’uscita dalla pandemia, attraverso il controllo della malattia e garantendo l’economia anche in assenza di manodopera.
L’epidemiologo matematico Rodrick Wallace invece, stravolge completamente la discussione sui modelli. Nella modellistica delle emergenze, infatti, manca  il tema del “quando” e del “dove” l’emergenza ha inizio, e quindi dell’analisi delle cause strutturali che fanno parte dell’emergenza. Includerli ci aiuta a capire come rispondere al meglio andando oltre il semplice riavvio della stessa economia che ha prodotto il danno.
“Se ai pompieri vengono fornite risorse sufficienti”, scrive Wallace, “in condizioni normali, la maggior parte degli incendi, il più delle volte, può essere contenuta con perdite minime e distruzione della proprietà. Tuttavia, tale contenimento dipende in modo critico anche dai costanti e  continui sforzi normativi che limitino i pericoli di incendio, come la manutenzione e la conservazione dell’edificio a tutti ai livelli necessari, e il rispetto delle regole. Il contesto conta per l’infezione da pandemia, e le attuali strutture politiche che consentono alle imprese agricole multinazionali di privatizzare i progetti esternalizzando i costi, devono diventare soggette a “applicazione del codice” che reinternalizza tali costi se si vuole evitare una malattia pandemica nell’immediato futuro!”.
L’incapacità di prepararsi allo scoppio della pandemia è dovuta anche al fatto che tutti i Paesi del mondo non hanno reagito in tempo, una volta che il COVID-19 è uscito da Wuhan. Negli Stati Uniti, ad esempio, non è successo quando Trump ha smantellato il team di sicurezza nazionale che lavorava alla preparazione sulla pandemia, né quando i federali non hanno agito in base ai risultati di una simulazione pandemica del 2017, che mostrava chiaramente come il Paese sarebbe stato impreparato.
Non è iniziato nemmeno quando, come afferma Reuters, gli Stati Uniti “hanno rifiutato il lavoro di esperti CDC dalla Cina“, né tanto meno quando si è presa la decisione di non utilizzare i kit di test già disponibili forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità. Una serie di errori, che sono e saranno decisivi nella gestione della pandemia oggi, e che saranno responsabili della morte, probabilmente, di migliaia di persone.
Ma questi fallimenti sono frutto di una politica decennale in cui i beni comuni della sanità pubblica sono stati contemporaneamente trascurati e monetizzati. Un paese catturato da un regime di epidemiologia individualizzata e puntuale – una contraddizione assoluta – con letti ospedalieri e attrezzature a malapena sufficienti per le normali operazioni, non è per definizione in grado di mettere in campo le risorse necessarie per perseguire il modello cinese di gestione dell’emergenza.
Seguendo il punto del team di Taleb sugli approcci ai modelli previsionali, in termini più esplicitamente politici, l’ecologo Luis Fernando Chaves, facendo riferimento ai biologi dialettici Richard Levins e Richard Lewontin, afferma che “lasciare parlare i numeri” rischia a volte di dimenticare l’assunto di partenza. Modelli come lo studio dell’Imperial College limitano esplicitamente la portata dell’analisi a domande inquadrate nell’ordine sociale dominante, non riuscendo ad andare oltre e ad inquadrare gli aspetti più generali della questione.
Consapevolmente o meno, le proiezioni risultanti pongono al secondo posto la protezione della salute, comprese le migliaia di persone tra le più vulnerabili che sarebbero rimaste uccise se un paese passasse dal controllo delle malattie all’economia.
La visione foucaultiana di uno Stato che agisce su una popolazione secondo i suoi propri interessi rappresenta solo un aggiornamento, anche se più benigno, della spinta maltusiana per l’immunità di gregge che il governo britannico Tory e ora i Paesi Bassi hanno proposto, lasciando che il virus falci la popolazione senza ostacoli.
Esistono poche prove oltre la speranza ideologica che l’immunità di gregge garantirebbe di fermare l’epidemia. Il virus può facilmente evolversi sotto la coperta immunitaria della popolazione.

INTERVENTO

Cosa si dovrebbe fare invece?
Dobbiamo nazionalizzare gli ospedali come ha fatto la Spagna in risposta all’esplosione del virus.
Dobbiamo potenziare i test come ha fatto il Senegal.
Dobbiamo socializzare i prodotti farmaceutici.
Dobbiamo applicare le massime protezioni per il personale medico per rallentare che il personale si ammali.
Dobbiamo garantire il diritto alla riparazione di ventilatori e altri macchinari medici.
Dobbiamo iniziare a produrre in serie cocktail di antivirali e qualsiasi altro farmaco che appaia promettente, mentre conduciamo test clinici.
Un sistema di pianificazione dovrebbe essere implementato per (1) forzare le aziende a produrre i ventilatori necessari e le attrezzature di protezione personale richieste dagli operatori sanitari e (2) dare priorità all’assegnazione dei beni necessari li dove ce n’è più bisogno.
Dobbiamo stabilire un massiccio piano di intervento e di manodopera sanitaria pronta a rispondere all’impatto del virus. Fare in modo che il carico di lavoro, e la disponibilità di attrezzature e letti necessari sia adeguato alle necessità.
Dobbiamo assumere abbastanza persone per identificare COVID-19 casa per casa in questo momento e dotare i malati delle attrezzature di protezione necessarie, come le mascherine. E dobbiamo attuare una politica di esproprio, per fare in modo che tutte le persone possano sopravvivere nel modo adeguato.
Fino a quando un tale programma non verrà attuato, la popolazione sarà in pericolo. Anche se lo Stato deve essere richiamato alle sue responsabilità, le persone comuni dovrebbero unirsi ai gruppi di mutuo soccorso e alle brigate di quartiere.
L’insistenza a parlare di tutto ciò, in termini di pianificazione dell’emergenza, ci offre una chiave per fare un passo avanti nella protezione delle persone prima dei profitti.
Dobbiamo mantenere lo shock che abbiamo avuto quando abbiamo appreso che un altro virus SARS è emerso dalla fauna selvatica e nel giro di otto settimane si è trasferito all’uomo.
Ma in che modo il settore alimentare esotico è arrivato ad incrociarsi con il mercato delle carni tradizionali, nel più grande mercato di Wuhan? Gli animali non venivano venduti sul retro di un camion o in un vicolo. A livello geografico, la regione di Wuhan comprende zone confinarie ricche di fauna selvatica.
Qui, mentre la produzione industriale avanza distruggendo boschi, avanza anche il mercato della carne e degli animali selvatici, ed è così che il più “esotico” dei patogeni, in questo caso SARS-2 ospitato inizialmente dai pipistrelli, può iniziare a viaggiare, dal pipistrello ad altri animali, fino ad essere trasportato in un camion dall’altra parte della regione, e infettare quindi anche l’uomo.

INFILTRAZIONE

Il collegamento richiede un’elaborazione, tanto nell’aiutarci a pianificare il futuro durante questa emergenza, quanto nel capire come l’umanità abbia posto le condizioni per mettersi in trappola da sola.
Vediamo come alcuni agenti patogeni nascano proprio nei centri di produzione; ci vengono in mente batteri di origine alimentare come Salmonella e Campylobacter. Molti, come il COVID-19, hanno origine, però, da quelle che riconosciamo come le frontiere della produzione di capitale.
In effetti, almeno il 60% dei nuovi agenti patogeni umani si verifica con il passaggio dagli animali selvatici alle comunità umane locali, ancor prima che quelli di maggior successo si diffondano al resto del mondo.
Un certo numero di luminari nel campo dell’ecosanità, alcuni dei quali in parte finanziati dalla Colgate-Palmolive e dalla Johnson & Johnson, aziende chiave dell’avanguardistico agribusiness e della deforestazione, hanno stilato una mappa globale basata sulle epidemie a partire dal 1940, che mostra la probabilità che in futuro compaiano nuovi agenti patogeni.
Più è caldo il colore sulla mappa, più alta è la probabilità della comparsa in quel determinato territorio. Questa mappa (rossa in Cina, India, Indonesia e parti dell’America Latina e dell’Africa) ha mancato un punto critico: concentrarsi sulle zone in cui si verificano i focolai porta ad  ignorare il ruolo degli attori economici globali nel modellare le epidemie.
Gli interessi del capitale a sostegno dei cambiamenti causati dallo sviluppo e dalla produzione nell’uso del territorio e nella comparsa di malattie, nelle parti sottosviluppate del globo, premiano gli sforzi che attribuiscono la responsabilità delle epidemie alle popolazioni indigene e alle loro cosiddette “sporche” pratiche culturali.
Preparare la carne di animali selvatici e le sepolture domestiche sono due pratiche ritenute responsabili della comparsa di nuovi agenti patogeni. Al contrario, tracciare geografie relazionali trasforma improvvisamente New York, Londra e Hong Kong, principali fonti del capitale globale, in tre dei peggiori focolai del mondo.
Nel frattempo, le zone di contagio non sono più organizzate secondo i sistemi tradizionali. Un diseguale scambio ecologico, che reindirizza i danni dell’agricoltura industriale a sud del mondo, si è trasformato dall’esclusivo saccheggio delle località di risorse e nuovi complessi su scala e materie prime da parte dell’imperialismo di Stato.
L’Agribusiness sta riconfigurando le proprie operazioni estrattive in reti spazialmente discontinue su territori di diversa scala. Una serie di “Repubbliche della soia” basate sulla subordinazione ad una multinazionale, ad esempio, ora spadroneggia in Bolivia, Paraguay, Argentina e Brasile.
La nuova geografia è incarnata dai cambiamenti nelle strutture manageriali delle aziende: capitalizzazione, subappalti, sostituzioni della catena di approvvigionamento, leasing e la messa in comune transnazionale dei terreni.
A cavallo dei confini nazionali, questi “paesi delle materie prime”, inseriti in modo flessibile attraverso le ecologie e i confini politici, stanno lasciando nuove epidemie lungo la strada.
Per esempio, nonostante uno spostamento generale della popolazione dalle aree rurali mercificate alle baraccopoli urbane che vediamo ad oggi in tutto il mondo, il divario rurale-urbano che guida gran parte della discussione intorno all’emergenza sanitaria omette la manodopera destinata all’agricoltura e la rapida crescita di città rurali in desakotas periurbane (villaggi di città) o zwischenstadt (città di mezzo).
Mike Davis e altri hanno identificato come questi paesaggi di nuova urbanizzazione agiscano sia come centri di mercati locali, sia come centri di passaggio di materie prime agricole verso mercati più a larga scala. Alcune di tali regioni sono anche andate oltre l’agricoltura. Di conseguenza, le dinamiche delle malattie forestali, le fonti primordiali degli agenti patogeni, non sono più vincolate al solo entroterra. Le loro epidemiologie associate si sono trasformate in relazionali, attraverso il tempo e lo spazio, e si possono quindi diffondere in modo molto veloce dalle periferie al centro.
Gli ecosistemi in cui tali virus “selvatici” erano in parte controllati dalle complessità della foresta tropicale sono stati drasticamente colpiti dalla deforestazione per mano del capitale e dallo sviluppo periurbano. Mentre molti agenti patogeni selvatici stanno morendo a causa della specie ospite, un sottoinsieme di infezioni che un tempo bruciavano abbastanza rapidamente nella foresta, alle volte a causa di un tasso irregolare di incontro con la tipica specie ospite, si  propagano ora attraverso le popolazioni umane, più sensibili all’infezione.
Anche di fronte a vaccini efficaci, i focolai che ne derivano sono caratterizzati da una maggiore estensione, durata e slancio. Quello che un tempo erano fenomeni locali, ora sono epidemie che si fanno strada attraverso reti globali di viaggi e scambi.
Con questo effetto di parallasse, a causa del cambiamento nel contesto ambientale, vecchi virus come Ebola, Zika, malaria, e febbre gialla si sono trasformate in minacce “regionali”, mentre gli animali selvatici, si stanno dimostrando veicoli molto più pericolosi. Già frammentata dalla deforestazione, ad esempio, la popolazione di scimmie autoctone del Nuovo Mondo, sensibile alla febbre gialla selvatica a cui sono esposte da almeno un secolo, stanno perdendo la loro immunità di gregge e stanno morendo a centinaia di migliaia.

PROPAGAZIONE

Solo per la sua propagazione globale, l’agricoltura delle materie prime funge sia da propulsione che da connessione attraverso cui gli agenti patogeni migrano dai bacini più remoti ai centri urbani più internazionali. È qui, lungo questo cammino, che i nuovi patogeni si infiltrano nelle comunità agricole chiuse.
Più lunghe sono le catene di fornitura associate e maggiore è l’entità della deforestazione aggiuntiva, tanto più diversi (ed esotici) saranno i patogeni zootecnici che entrano nella catena alimentare.
Tra i recenti agenti patogeni di origine alimentare di aziende agricole emergenti e riemergenti, provenienti da tutto il dominio antropogenico, ci sono febbre suina africana, Campylobacter, Cryptosporidium, Cyclospora, Ebola Reston, E. coli O157:H7, malattia piedi e bocca, epatite E, Listeria, virus Nipah, febbre Q, Salmonella, Vibrio, Yersinia ed una quantità di nuove varianti influenzali incluso H1N1 (2009), H1N2v, H3N2v, H5N1, H5N2, H5Nx, H6N1, H7N1, H7N3, H7N7, H7N9, and H9N2.
Tuttavia, non intenzionalmente, il complesso della linea produzione è organizzato intorno a pratiche che accelerano l’evoluzione della virulenza patogena e della trasmissione che ne consegue. Le monocolture genetiche in aumento – animali e vegetali per industria alimentare con genomi quasi identici – abbattono quelle barriere difensive immunitarie che nelle popolazioni più diverse rallentano la diffusione.
Adesso i patogeni possono evolversi rapidamente attorno ai comuni genotipi immunitari dell’ospite. Nel frattempo le condizioni di affollamento abbassano la risposta immunitaria. La maggiore dimensione e densità della popolazione animale da allevamento nelle fattorie industriali facilita una più ampia trasmissione ed infezione. Far alloggiare molti animali insieme premia la condivisione e diffusione del virus. È probabile che la riduzione dell’età da macello – fino a sei settimane nei polli – selezioni quei patogeni in grado di sopravvivere ai sistemi immunitari più robusti.
L’allungamento dell’estensione geografica di commercio ed esportazione di animali vivi ha incrementato la diversità dei segmenti genomici scambiati dai loro patogeni associati, aumentando la velocità con cui gli agenti patogeni esplorano le loro possibilità evolutive.
Mentre i missili dell’evoluzione patogena si trasmettono in tutti questi modi, ci sono dall’altro lato pochi o inesistenti interventi di controllo, se non quelli necessari a salvaguardare i margini fiscali trimestrali dall’improvvisa emergenza di un focolaio.
La tendenza va verso minori ispezioni governative in aziende ed impianti di trasformazione, leggi “contro” la sorveglianza governativa. Nonostante le recenti vittorie legali contro pesticidi e l’inquinamento derivato dai maiali, il comando privato della produzione rimane interamente focalizzato sul profitto.
I danni causati dalle epidemie che ne derivano sono esternalizzati al bestiame, alle colture, alla fauna selvatica, ai lavoratori, ai governi locali o nazionali, ai sistemi di sanità pubblica e agli agrosistemi alternativi all’estero come una questione di priorità nazionale. Negli Stati Uniti il CDC riferisce che le epidemie di origine alimentare sono in espansione.
Quindi l’alienazione del capitale si sta evolvendo a favore dei patogeni. Mentre l’interesse pubblico viene filtrato e arrestato alle porte dell’azienda agricola e dell’industria alimentare, i patogeni fuoriescono oltre i limiti della biosicurezza per cui l’industria è disposta a pagare e vengono restituiti al pubblico.
Ogni giorno la produzione rappresenta un lucroso rischio morale che si consuma attraverso nostri beni comuni condivisi.

LIBERAZIONE

C’è una ironia rivelatrice a New York, una delle più grandi città del mondo, che si rifugia sul posto contro COVID-19, in un emisfero lontano dalle origini del virus.
Milioni di newyorkesi si nascondono nel patrimonio immobiliare che fino a poco tempo fa era controllato da Alicia Glen, vicesindaco della città fino al 2018. Glen è una ex dirigente di Goldman Sachs che ha supervisionato il gruppo Urban Investment Group.
Tre anni prima di diventare vicesindaco, in seguito a una crisi abitativa e alla Grande Recessione, il suo ex datore di lavoro, insieme a JPMorgan, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo & Co. e Morgan Stanley, prese il 63% del prestito di emergenza federale.
Goldman Sachs, liberatasi dalle spese generali, è passata alla diversificazione delle sue partecipazioni dopo la crisi. Ha acquisito il 60% delle azioni di Shuanghui Investment and Development, parte della gigantesca industria agroalimentare cinese che ha acquistato la Smithfield Foods, con sede negli Stati Uniti, il più grande produttore di maiali al mondo.
Per 300 milioni di dollari, ha anche ottenuto la proprietà totale di dieci allevamenti di pollame nel Fujian e Hunan, una provincia della regione di Wuhan. Ha investito inoltre fino ad altri 300 milioni di dollari insieme a Deutsche Bank nel mercato del maiale, nelle stesse province.
Per ironia o meno, i collegi elettorali di Glen, in tutta la città, oggi sono i più duramente colpiti dal COVID-19.
Il dito nazionalista e razzista di Trump contro il “virus cinese” oscura le direzioni globali interconnesse dello stato e del capitale. “Fratelli nemici”, li descrisse Karl Marx.
La morte e il danno sopportati dai lavoratori sul campo di battaglia, nell’economia, e ora sui loro divani mentre lottano contro il virus letale, manifestano sia la competizione tra le élite che manovrano per ridurre le risorse naturali, sia gli strumenti utilizzati per dividere e conquistare la massa dell’umanità intrappolata negli ingranaggi di queste macchinazioni.
Una pandemia che nasce dal modo di produzione capitalista e che lo Stato dovrebbe gestire, può offrire un’opportunità.
A metà febbraio, cinque senatori statunitensi e venti membri della Camera hanno scaricato dal proprio portafogli milioni di dollari in azioni di industrie che avrebbero potuto subire danni a seguito della pandemia imminente. I politici hanno quindi fondato i propri comportamenti di trading su informazioni non pubbliche, anche se alcuni dei rappresentanti hanno continuato a ripetere pubblicamente, come da direttiva, che la pandemia “non avrebbe causato alcuna minaccia”.
Al di là di tale prendi-e-fuggi, la corruzione statale è sistemica, e quando il capitale incassa in questo modo è indicativo della fine del ciclo di accumulazione statunitense. Ma secondo la stessa Goldman Sachs, la pandemia, come le crisi precedenti, offre “spazio per crescere”:
“Condividiamo l’ottimismo dei vari esperti di vaccini e ricercatori delle aziende biotecnologiche sulla base dei buoni progressi che sono stati fatti finora su diverse terapie e vaccini. Crediamo che la paura si abbasserà alla prima significativa evidenza di tale progresso. Cercare di operare verso un possibile obiettivo al ribasso, quando l’obiettivo di fine anno è sostanzialmente più alto, è appropriato per alcuni gestori di fondi speculativi, ma non per gli investitori a lungo termine. Dall’altro lato, non vi è alcuna garanzia che il mercato raggiunga i livelli più bassi che possono essere utilizzati come giustificazione per la vendita di oggi. Siamo insomma più fiduciosi che il mercato alla fine raggiungerà l’obiettivo più alto data la resilienza e la preminenza dell’economia statunitense. Infine, pensiamo che i livelli attuali offrano l’opportunità di aumentare lentamente i livelli di rischio a livello di portafoglio. Per coloro che possono contare su liquidità in eccesso e hanno capacità di resistenza tramite la giusta allocazione strategica delle attività, questo è il momento di iniziare incrementalmente a investire sulle azioni dello S&P.”
Sconvolta dagli effetti letali di questa pandemia, la gente di tutto il mondo trae conclusioni diverse. I circuiti di capitale e di produzione che gli agenti patogeni segnano con marcatori radioattivi uno dopo l’altro sono ritenuti inconcepibili.
Come definire tali sistemi oltre lo sporadico e il circostanziale, come fatto sopra?
Il nostro gruppo è sta cercando di derivare un modello che superi gli sforzi della moderna medicina coloniale, basata sull’ecosanità e sul concetto del One Health, che continua a incolpare gli indigeni e piccoli proprietari terrieri locali per la deforestazione che porta alla comparsa di malattie mortali.
La nostra teoria generale riguardante la comparsa di emergenze sanitarie, Cina compresa, combina:
  1. circuiti globali di capitale;
  2. diffusione del suddetto capitale che distrugge la complessità ambientale regionale e che mantiene la crescita virulenta dei patogeni;
  3. il conseguente aumento delle aliquote e la larghezza tassonomica di eventi di fuoriuscita;
  4. l’espansione dei circuiti periurbani delle materie prime  e il relativo trasporto di questi nuovi agenti patogeni nel bestiame e nel lavoro, dall’entroterra più profondo alle città;
  5. i viaggi globali in crescita (e il commercio di bestiame): reti che trasportano gli agenti patogeni da dette città al resto del mondo in tempi record;
  6. i modi in cui queste reti abbassano le difficoltà di trasmissione, selezionando per l’evoluzione di un agente patogeno dalla maggiore letalità sia nel bestiame sia nelle persone;
  7. la scarsità di riproduzione in loco nel bestiame industriale, eliminando la selezione naturale come un servizio ecosistemico che fornisce in tempo reale la protezione delle malattie.
La premessa operativa di base è che la causa del COVID-19 e di altri agenti patogeni non si trova solo nell’oggetto di un agente infettivo o nel suo andamento clinico, ma anche nel campo delle relazioni ecosistemiche che il capitale e altre cause strutturali hanno sfruttato a proprio vantaggio.
L’ampia varietà di agenti patogeni, che rappresentano diversi taxa, ospiti, modalità di trasmissione, corsi clinici, ed esiti epidemiologici, tutte le risorse che ci fanno correre ai nostri motori di ricerca ad ogni epidemia, segnano parti e percorsi diversi  lungo gli stessi tipi di circuiti di uso del territorio e accumulo di valore.
Un programma generale d’intervento va in parallelo e ben oltre un particolare virus.
Per evitare i peggiori risultati, la dis-alienazione offre la prossima grande transizione umana: abbandonare le ideologie coloniche, reintrodurre l’umanità nei cicli di rigenerazione della Terra e riscoprire il nostro senso di coscienza di massa, che va ben oltre il capitale e lo Stato.
Tuttavia, l’economicismo, la convinzione che tutte le cause siano solo economiche, non sarà sufficiente per la liberazione. Il capitalismo globale è un’idra a più teste, che appropria, interiorizza e ordina molteplici strati della relazione sociale. Il capitalismo opera su terreni complessi e interconnessi di razza, classe e genere nel corso della realizzazione di regimi di valore regionale da luogo in luogo.
A rischio di accettare i precetti che la storica Donna Haraway liquidò come storia della salvezza – “possiamo disinnescare la bomba in tempo?” – la dis-alienazione deve smantellare queste molteplici gerarchie di oppressione e i modi locali specifici in cui interagiscono con l’accumulo.
Lungo la strada, dobbiamo uscire dalle espansive riappropriazioni del capitale attraverso materialismi produttivi, sociali e simbolici. Il capitalismo mercifica tutto, l’esplorazione di Marte qui, dormire lì, lagune di litio, riparazione dei ventilatori, persino la sostenibilità stessa, e così via; queste molte permutazioni si trovano ben oltre la fabbrica e la fattoria.
Tutti i modi in cui quasi tutti sono soggetti al mercato, che in un periodo come questo è sempre più antropomorfizzato dai politici, non potrebbero essere più chiari.
In sintesi, un intervento riuscito che mantiene uno qualsiasi dei tanti agenti patogeni in coda attraverso il circuito agroeconomico, uccidendo un miliardo di persone, deve passare da uno scontro globale con il capitale e i suoi rappresentanti locali, qualsiasi soldato della borghesia, Glen tra loro, tenta di mitigare i danni. Come il nostro gruppo descrive in alcuni dei nostri ultimi lavori, l’agrobusiness è in guerra con la salute pubblica.
E la salute pubblica sta perdendo.
Se, tuttavia, una maggiore umanità dovesse vincere un tale conflitto generazionale, possiamo reinserirci in un metabolismo planetario che, per quanto diversamente espresso, riconnette le nostre ecologie e le nostre economie.
Proteggiamo la complessità della foresta che impedisce agli agenti patogeni mortali di mettere in fila gli ospiti così da avere un colpo ben mirato quando sono inseriti nella rete globale. Reintroduciamo le diversità del bestiame e delle colture, e riduciamo l’allevamento animale e le colture a scale che impediscono agli agenti patogeni di dilagare in virulenza e estensione geografica.
Permettiamo ai nostri animali destinati all’alimentazione di riprodursi in loco, riavviando la selezione naturale che permette l’evoluzione immunitaria per rintracciare gli agenti patogeni in tempo reale. Nel quadro generale, smettiamo di trattare la natura e la comunità, così piena di tutto quello che ci serve per sopravvivere, come un altro concorrente che viene cacciato dal mercato.
La via d’uscita è la nascita di un mondo (o, forse, più lungo la linea del ritorno sulla Terra). Aiuterà anche a risolvere, tirandosi su le maniche, molti dei nostri problemi più urgenti.
Nessuno di noi, bloccati nei nostri salotti da New York a Pechino, o, peggio, piangendo i nostri morti, vuole affrontare di nuovo un’epidemia del genere. Sì, le malattie infettive, rimarranno una minaccia, così come per la maggior parte della storia umana sono state una delle maggiori cause di mortalità.
Ma dato il bestiario di agenti patogeni ora in circolazione, saremo probabilmente di fronte a un’altra pandemia in tempo molto più breve rispetto alla tregua avuta dal 1918. Fondamentalmente possiamo regolare le modalità di appropriazione della natura e arrivare a una tregua con queste infezioni?

Note

  1. Max Roser, Hannah Ritchie, and Esteban Ortiz-Ospina, “Coronavirus Disease (COVID-19)—Statistics and Research,” Our World in Data, accessed March 22, 2020.
  2. Brian M. Rosenthal, Joseph Goldstein, and Michael Rothfeld, “Coronavirus in N.Y.: ‘Deluge’ of Cases Begins Hitting Hospitals,” New York Times, March 20, 2020.
  3. Hannah Rappleye, Andrew W. Lehren, Laura Stricklet, and Sarah Fitzpatrick, “’The System Is Doomed’: Doctors, Nurses, Sound off in NBC News Coronavirus Survey,” NBC News, March 20, 2020.
  4. Eliza Relman, “The Federal Government Outbid States on Critical Coronavirus Supplies After Trump Told Governors to Get Their Own Medical Equipment,” Business Insider, March 20, 2020; David Oliver, “Trump Announces U.S.-Mexico Border Closure to Stem Spread of Coronavirus,” USA Today, March 19, 2020.
  5. Neil M. Ferguson et al. on behalf of the Imperial College COVID-19 Response Team, “Impact of Non-Pharmaceutical Interventions (NPIs) to Reduce COVID-19 Mortality and Healthcare Demand,” March 16, 2020.
  6. Nassim Nicholas Taleb, The Black Swan (New York: Random House, 2007); Chen Shen, Nassim Nicholas Taleb, and Yaneer Bar-Yam, “Review of Ferguson et al. ‘Impact of Non-Pharmaceutical Interventions,’” New England Complex Systems Institute, March 17, 2020.
  7. NewTmrw, Twitter post, March 21, 2020.
  8. Rodrick Wallace, “Pandemic Firefighting vs. Pandemic Fire Prevention” (unpublished manuscript, March 20, 2020). Available upon request.
  9. Jonathan Allen, “Trump’s Not Worried About Coronavirus: But His Scientists Are,” NBC News, February 26, 2020; Deb Riechmann, “Trump Disbanded NSC Pandemic Unit That Experts Had Praised,” AP News, March 14, 2020.
  10. David E. Sanger, Eric Lipton, Eileen Sullivan, and Michael Crowley, “Before Virus Outbreak, a Cascade of Warnings Went Unheeded,” New York Times, March 19, 2020.
  11. Marisa Taylor, “Exclusive: U.S. Axed CDC Expert Job in China Months Before Virus Outbreak,” Reuters, March 22, 2020.
  12. Howard Waitzkin, ed., Health Care Under the Knife: Moving Beyond Capitalism for Our Health (New York: Monthly Review Press, 2018).
  13. Richard Lewontin and Richard Levins, “Let the Numbers Speak,” International Journal of Health Services 30, no. 4 (2000): 873–77.
  14. Owen Matthews, “Britain Drops Its Go-It-Alone Approach to Coronavirus,” Foreign Policy, March 17, 2020; Rob Wallace, “Pandemic Strike,” Uneven Earth, March 16, 2020; Isabel Frey, “‘Herd Immunity’ Is Epidemiological Neoliberalism,” Quarantimes, March 19, 2020.
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