Lo scorso 15 marzo, il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa
ha dichiarato lo stato nazionale di catastrofe, cui ha fatto seguito un lockdown
destinato a durare almeno 21 giorni a partire dal 26 marzo. Le ultime
cifre fanno tremare i polsi dei vertici del governo: ormai siamo a oltre
100 nuovi infetti al giorno, per un totale al 4 aprile di circa 1.500
casi e cinque decessi. Per limitare la crescita esponenziale si sta
puntando forte sui controlli, con 47 mila test già effettuati e
l’intenzione di eseguirne 30 mila quotidianamente. Per questo sono
attive 67 unità mobili in tutto il Paese, tra i più immuno-depressi del
continente, con ben 7,1 milioni di sudafricani positivi all’Hiv. UN BLOCCO SEGNATO da misure draconiane – è stato
imposto il divieto di vendita di alcolici e sigarette – e da una vasta
militarizzazione, in particolare delle township, dove il distanziamento
sociale appare quanto mai complesso da realizzare. Non a caso Ramaphosa
ha dispiegato l’esercito e contractors privati per “aiutare” le
forze dell’ordine e già dal primo giorno di chiusura totale non si sono
contati gli episodi di violenza e gli abusi nei confronti della
popolazione, con il ricorso fin troppo frequente a pallottole di gomma e
cannoni ad acqua. Mille senza tetto sarebbero stati “presi” e rinchiusi
senza troppi complimenti all’interno del vecchio stadio della capitale
Pretoria, dove però dormirebbero in 10 in tende che dovrebbero ospitare
non più di 2-3 persone per rispettare le norme anti-contagio.
In un paese dove la disoccupazione è al 29% e
su una popolazione di 58,8 milioni di persone circa 7 soffrono la fame
perché in condizioni di estrema povertà e il 20% dei cittadini ha
problemi a soddisfare i bisogni di base, la tensione sociale è altissima
e destinata ad aumentare qualora non si riescano a limitare la
diffusione del Covid-19 e i suoi impatti sulla vita economica della
nazione.
Ancor prima che fossero chiuse le frontiere ai cittadini provenienti
da «paesi ad alto rischio» (compresa ovviamente l’Italia), si sono
registrati episodi di intolleranza nei confronti di europei e asiatici,
additati come potenziali untori. Ma sul lungo periodo i timori sono
soprattutto per le già agonizzanti casse dello Stato. Le statistiche
ufficiali raccontano che la contrazione dell’economia nel quarto
trimestre del 2019 è stata pari all’1,4%, a fronte delle previsioni
degli analisti che parlavano di un probabile calo dello 0,2%. Un crollo
annunciato e che nasce da lontano. NEI NOVE ANNI DI PRESIDENZA del predecessore di
Ramaphosa, Jacob Zuma, le relazioni pericolose tra lo stesso Zuma e una
famiglia originaria dello stato indiano dell’Uttar Pradesh, i Gupta,
hanno infatti affogato in un mare di corruzione la principale economia
africana. Nel 2016 è scoppiato il bubbone plasmato da un malaffare così
esteso da essere definito State Capture. Ovvero come depredare
impunemente e a piene mani i forzieri del Paese e farla franca.
I Gupta si sono infiltrati in tutti i gangli dello stato, arraffando
contratti per le loro società e condizionando l’operato di grandi
imprese pubbliche come Transnet ed Eskom. Quest’ultima, la multi-utility
energetica più importante d’Africa e per anni il fiore all’occhiello
del governo di Pretoria, con 27 miliardi di euro di debiti era già
sull’orlo del fallimento prima che entrasse in scena il Coronavirus. Ora
lo Stato potrebbe non avere più la forza economica per salvare dalla
bancarotta una compagnia che dà lavoro a oltre 40mila persone ma che per
quasi due decenni è stata contraddistinta da una gestione a dir poco
“inadeguata”. Le South African National Defence Forces prendono posizione di fronte a un caseggiato di Alexandra (Ap)
Sui conti dell’Eskom pesano “errori” legati alla realizzazione delle
mastodontiche centrali a carbone di Kusile e Medupi, ma anche un altro
buco nero, il mega-impianto idroelettrico di Ingula, al confine tra il
Free State e KwaZulu-Natal, che abbiamo avuto modo di visitare nella
seconda parte del 2019. Un «prodigio ingegneristico» realizzato dalle
imprese italiane Salini-Impregilo e Cmc di Ravenna, composto da due
dighe collegate da tunnel sotterranei lunghi oltre due chilometri nei
quali passa l’acqua che, tramite quattro mega-turbine collocate in una
centrale a 400 metri di profondità, dovrebbe permettere di generare 1,2
gigawatt di energia. Peccato che per stessa ammissione del committente,
l’Eskom, la produzione al momento non superi il 25% di quella stimata.
Al momento si sa che nel 2005, data di inizio lavori, l’opera sarebbe
dovuta costare 8,9 miliardi di rand (554 milioni di euro), mentre a
oggi siamo a oltre 36 miliardi (circa 2,3 miliardi di euro), in attesa
di ulteriori lavori di adeguamento menzionati dall’Eskom nel suo annual report ufficiale. L’INNALZAMENTO DEI COSTI si è registrato già dai
primi mesi, come ci ha illustrato un ex dipendente del consorzio
costruttore, Mike Hall, che abbiamo incontrato a Johannesburg nei mesi
passati. «Mai vista una cosa del genere, appena si verificava un
problema i costruttori si rivalevano su Eskom, che pagava senza fiatare
anche quando le colpe erano del consorzio (e quindi di Cmc e Salini, ndr)».
Nel novembre del 2013, si è verificato un gravissimo incidente, in cui
hanno perso la vita 6 operai. Secondo Hall, una tragedia che si poteva
evitare e che sarebbe da imputare al consorzio per la mancata adozione
di varie misure di sicurezza. Ma per il quale Salini-Impregilo e Cmc
hanno lo stesso preteso dei pagamenti dalla Eskom, il cui debito nel
frattempo lievitava. Val la pena ricordare che la Cmc, indagata in Kenya
per un caso di corruzione internazionale, aveva iniziato la campagna
sudafricana grazie alle buone relazioni con il magnate del settore
costruzioni Philani Mavundla, a sua volta “grande amico” dell’ex
presidente Zuma. Mavundla si era aggiudicato l’appalto per Ingula, poi
condiviso con le due imprese italiane.
Il matrimonio Cmc-Mavundla ha avuto qualche intoppo in merito a un
altro progetto da centinaia di milioni di euro, quello per l’espansione
del più grande terminal africano per container nella città portuale di
Durban, che a inizio 2019 è stato bloccato per accuse di frode
nell’ambito di una gara d’appalto che coinvolgerebbero la Cmi Emtateni,
una joint venture composta proprio dalla Cmc di Ravenna e da una società
denominata Cmi Infrastructures, di cui è condirettore Mavundla. Pure
nel caso del porto di Durban il committente è un’impresa pubblica, la
Transnet, anch’essa pesantemente indebitata.
Ma oltre ad acuire la crisi economica, il dramma coronavirus rischia di esacerbare ulteriormente la crisi ambientale.
In un Paese il cui mix energetico dipende al 77% dal carbone, si
parla già di annacquare gli attuali standard di controllo delle
emissioni per fare un favore alla traballante Eskom. «Così
l’inquinamento non diminuirà e ci saranno almeno 3.300 morti premature
in più l’anno», ha commentato la Life After Coal Campaign.
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