domenica 5 aprile 2020

pc 5 aprile - Catastrofe coronavirus e rabbia sociale in Sudafrica

27 marzo 2020, township di Alexandra, a est di Johannesburg
Esercito e contractor in azione. Nel paese africano con il maggior numero di contagi il governo teme il peggio e vara misure draconiane. Militarizzate le township, vietata la vendita di alcolici e sigarette. Ma in 7 milioni lottano anche contro la fame. I guai di Eskom intanto acuiscono crisi e inquinamento

JOHANNESBURG
Lo scorso 15 marzo, il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa ha dichiarato lo stato nazionale di catastrofe, cui ha fatto seguito un lockdown destinato a durare almeno 21 giorni a partire dal 26 marzo. Le ultime cifre fanno tremare i polsi dei vertici del governo: ormai siamo a oltre 100 nuovi infetti al giorno, per un totale al 4 aprile di circa 1.500 casi e cinque decessi. Per limitare la crescita esponenziale si sta puntando forte sui controlli, con 47 mila test già effettuati e l’intenzione di eseguirne 30 mila quotidianamente. Per questo sono attive 67 unità mobili in tutto il Paese, tra i più immuno-depressi del continente, con ben 7,1 milioni di sudafricani positivi all’Hiv.
UN BLOCCO SEGNATO da misure draconiane – è stato imposto il divieto di vendita di alcolici e sigarette – e da una vasta militarizzazione, in particolare delle township, dove il distanziamento sociale appare quanto mai complesso da realizzare. Non a caso Ramaphosa ha dispiegato l’esercito e contractors privati per “aiutare” le forze dell’ordine e già dal primo giorno di chiusura totale non si sono contati gli episodi di violenza e gli abusi nei confronti della popolazione, con il ricorso fin troppo frequente a pallottole di gomma e cannoni ad acqua. Mille senza tetto sarebbero stati “presi” e rinchiusi senza troppi complimenti all’interno del vecchio stadio della capitale Pretoria, dove però dormirebbero in 10 in tende che dovrebbero ospitare non più di 2-3 persone per rispettare le norme anti-contagio.
In un paese dove la disoccupazione è al 29% e su una popolazione di 58,8 milioni di persone circa 7 soffrono la fame perché in condizioni di estrema povertà e il 20% dei cittadini ha problemi a soddisfare i bisogni di base, la tensione sociale è altissima e destinata ad aumentare qualora non si riescano a limitare la diffusione del Covid-19 e i suoi impatti sulla vita economica della nazione.
Ancor prima che fossero chiuse le frontiere ai cittadini provenienti da «paesi ad alto rischio» (compresa ovviamente l’Italia), si sono registrati episodi di intolleranza nei confronti di europei e asiatici, additati come potenziali untori. Ma sul lungo periodo i timori sono soprattutto per le già agonizzanti casse dello Stato. Le statistiche ufficiali raccontano che la contrazione dell’economia nel quarto trimestre del 2019 è stata pari all’1,4%, a fronte delle previsioni degli analisti che parlavano di un probabile calo dello 0,2%. Un crollo annunciato e che nasce da lontano.
NEI NOVE ANNI DI PRESIDENZA del predecessore di Ramaphosa, Jacob Zuma, le relazioni pericolose tra lo stesso Zuma e una famiglia originaria dello stato indiano dell’Uttar Pradesh, i Gupta, hanno infatti affogato in un mare di corruzione la principale economia africana. Nel 2016 è scoppiato il bubbone plasmato da un malaffare così esteso da essere definito State Capture. Ovvero come depredare impunemente e a piene mani i forzieri del Paese e farla franca.
I Gupta si sono infiltrati in tutti i gangli dello stato, arraffando contratti per le loro società e condizionando l’operato di grandi imprese pubbliche come Transnet ed Eskom. Quest’ultima, la multi-utility energetica più importante d’Africa e per anni il fiore all’occhiello del governo di Pretoria, con 27 miliardi di euro di debiti era già sull’orlo del fallimento prima che entrasse in scena il Coronavirus. Ora lo Stato potrebbe non avere più la forza economica per salvare dalla bancarotta una compagnia che dà lavoro a oltre 40mila persone ma che per quasi due decenni è stata contraddistinta da una gestione a dir poco “inadeguata”.
Le South African National Defence Forces prendono posizione di fronte a un caseggiato di Alexandra (Ap)
Sui conti dell’Eskom pesano “errori” legati alla realizzazione delle mastodontiche centrali a carbone di Kusile e Medupi, ma anche un altro buco nero, il mega-impianto idroelettrico di Ingula, al confine tra il Free State e KwaZulu-Natal, che abbiamo avuto modo di visitare nella seconda parte del 2019. Un «prodigio ingegneristico» realizzato dalle imprese italiane Salini-Impregilo e Cmc di Ravenna, composto da due dighe collegate da tunnel sotterranei lunghi oltre due chilometri nei quali passa l’acqua che, tramite quattro mega-turbine collocate in una centrale a 400 metri di profondità, dovrebbe permettere di generare 1,2 gigawatt di energia. Peccato che per stessa ammissione del committente, l’Eskom, la produzione al momento non superi il 25% di quella stimata.
Al momento si sa che nel 2005, data di inizio lavori, l’opera sarebbe dovuta costare 8,9 miliardi di rand (554 milioni di euro), mentre a oggi siamo a oltre 36 miliardi (circa 2,3 miliardi di euro), in attesa di ulteriori lavori di adeguamento menzionati dall’Eskom nel suo annual report ufficiale.
L’INNALZAMENTO DEI COSTI si è registrato già dai primi mesi, come ci ha illustrato un ex dipendente del consorzio costruttore, Mike Hall, che abbiamo incontrato a Johannesburg nei mesi passati. «Mai vista una cosa del genere, appena si verificava un problema i costruttori si rivalevano su Eskom, che pagava senza fiatare anche quando le colpe erano del consorzio (e quindi di Cmc e Salini, ndr)». Nel novembre del 2013, si è verificato un gravissimo incidente, in cui hanno perso la vita 6 operai. Secondo Hall, una tragedia che si poteva evitare e che sarebbe da imputare al consorzio per la mancata adozione di varie misure di sicurezza. Ma per il quale Salini-Impregilo e Cmc hanno lo stesso preteso dei pagamenti dalla Eskom, il cui debito nel frattempo lievitava. Val la pena ricordare che la Cmc, indagata in Kenya per un caso di corruzione internazionale, aveva iniziato la campagna sudafricana grazie alle buone relazioni con il magnate del settore costruzioni Philani Mavundla, a sua volta “grande amico” dell’ex presidente Zuma. Mavundla si era aggiudicato l’appalto per Ingula, poi condiviso con le due imprese italiane.
Il matrimonio Cmc-Mavundla ha avuto qualche intoppo in merito a un altro progetto da centinaia di milioni di euro, quello per l’espansione del più grande terminal africano per container nella città portuale di Durban, che a inizio 2019 è stato bloccato per accuse di frode nell’ambito di una gara d’appalto che coinvolgerebbero la Cmi Emtateni, una joint venture composta proprio dalla Cmc di Ravenna e da una società denominata Cmi Infrastructures, di cui è condirettore Mavundla. Pure nel caso del porto di Durban il committente è un’impresa pubblica, la Transnet, anch’essa pesantemente indebitata.
Ma oltre ad acuire la crisi economica, il dramma coronavirus rischia di esacerbare ulteriormente la crisi ambientale.
In un Paese il cui mix energetico dipende al 77% dal carbone, si parla già di annacquare gli attuali standard di controllo delle emissioni per fare un favore alla traballante Eskom. «Così l’inquinamento non diminuirà e ci saranno almeno 3.300 morti premature in più l’anno», ha commentato la Life After Coal Campaign.

da il manifesto 5 aprile

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