domenica 5 aprile 2020

pc 5 aprile - Ma quale immunità sui responsabili della strage e del disastro sanità! Un documento dei medici ...

"O cambia la situazione o ci troveremo nella condizione di scegliere se continuare a stare in corsia"

Scudo sul mascherine-gate, Salvini ci aveva provato. Ritirato un emendamento a prima firma del capo leghista. Come quelli del gruppo di Toti e di Fratelli d’Italia avrebbe sollevato da ogni responsabilità per non aver protetto i medici i dirigenti sanitari e «i soggetti preposti alla gestione della crisi». Governatori compresi.

Lo Slai Cobas sc INT Milano condivide e fa propria questa sfida, da rilanciare tra tutti gli operatori, dagli infermieri agli oss, dal servizio pulizie alla ristorazione, in primis per pretendere tutti gli ausili di protezione, per unire le energie di tutti noi che siamo in trincea a mani nude e per organizzarci per presentargli il conto, molto salato, che si meritano.
cobasint@tiscali.it

Il documento in quattro punti che inchioda le responsabilità delle dirigenze e delle istituzioni sanitarie

Il numero degli operatori sanitari contagiati ha oramai superato i 10.000 casi. Il 20% circa sono medici. Molti sono ricoverati in Rianimazione. In questa settimana abbiamo superato i 65 casi e nella prossima saliremo certamente ancora più in alto in questa scala del dolore. Se le norme e gli indirizzi fin quqi adottati "non saranno cambiati rapidamente - si legge in un documento in cui vengono messe in fila una per una le cause del disastro nel SSN - dovremo rassegnarci al fatto che sempre di più dalla prima linea salga la richiesta di applicazione dell’articolo 44 del D.Lgs 81/2008 che disciplina il “diritto di resistenza” del lavoratore a fronte di un pericolo per la propria salute “grave”, “immediato” ed “inevitabile”". L'Anaao-Assomed fa un'analisi in quattro punti molto chiari. 
1. La tardiva attivazione delle misure di contenimento (lockdown) e la palese impreparazione, anche per problemi strutturali negli ospedali, soprattutto nei Pronto Soccorso, e nel territorio nell’azione di prevenzione e contenimento del “rischio biologico”, che rappresenta il livello più alto (III) nella
graduazione presente nel Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 2016/425. "Ci siamo dimenticati dell’insegnamento di Carlo Urbani - si legge nel documento - che aveva combattuto la Sars in Vietnam ed è morto a causa dell’infezione il 26 marzo 2003 raccomandandoci di isolare strettamente i pazienti contagiati e proteggere con ogni mezzo gli operatori sanitari che rappresentano il bene più prezioso nella lotta contro l’espansione dell’epidemia". Inoltre, è mancata, o è stata inadeguata, l’attuazione di quanto già scritto nei Piani Pandemici Nazionali (ultimo del 2006) e Regionali (2007) e nelle specifiche sul contenimento della diffusione del contagio previste dal D.Lgs 81/2008: ex percorsi puliti/sporchi, aree pulite/sporche con apposite zone filtro, sistemi di ventilazione a pressione negativa, docce per il personale, sanificazione etc.
2. Gravissima, poi, è risultata la carenza, o assoluta mancanza in alcuni casi ed inadeguatezza in altri, dei DPI per categoria di rischio III, quali maschere FFP2 e FFP3, occhiali o visiere, sovracamici/tute, guanti, calzari, copricapo. Semplicemente non risultavano stoccati, in palese contrasto con quanto prevede la normativa vigente. Carenza coperta con norme di legge ad hoc con cui si è innalzata a dignità di DPI la semplice mascherina chirurgica (vedi articolo 34 del DL 9/2020) in aperta contraddizione con le disposizioni previgenti in Italia, con le linee guida delle Società scientifiche internazionali e i Regolamenti europei. Si è accettato pedissequamente le tutele minime che l’OMS ha dettato in data 27/2/2020 anche per aree flagellate da guerre e carestie. Ma l’Italia non può essere messa sullo stesso piano di un paese del Corno d’Africa.
3. Anche l’obbligo di sorveglianza della sicurezza per il personale sanitario è stato omesso. Tale grave omissione è stata favorita addirittura da indirizzi legislativi, come l’articolo 7 del DL 14/2020, con cui si è escluso il personale sanitario dal dovere dell’isolamento fiduciario in caso di esposizione non protetta a Covid-19, precedentemente prevista per tutti i cittadini con le misure del Dpcm n.6 del 23/02/2020. Una sorta di Comma 22 per il personale sanitario, non esonerato dal continuare il proprio lavoro, per il rischio di chiudere alcuni servizi data la carenza cronica di personale, ma costretto alla quarantena al termine del servizio per non rischiare di diffondere il possibile contagio ai propri cari. Condizione angosciante che ha spinto molti ad evitare il ritorno a casa.
4. È stata disattesa l’indicazione e la tempistica, anche questa prevista da una normativa specifica, all’esecuzione dei tamponi naso faringei con conseguente mancata messa in sicurezza di tutto il personale che garantisce i servizi pubblici essenziali, in primis quello sanitario. Si è voluto limitare la procedura diagnostica ai soli sanitari con evidenti sintomi respiratori dimenticando l’ampio spettro clinico e sintomatologico del Covid-19 e la possibilità di casi asintomatici o pauci-sintomatici. Le omissioni e i ritardi hanno trasformato molti sanitari venuti a contatto con pazienti Covid-19 in super diffusori di virus sia nelle proprie famiglie che nei luoghi di lavoro.
"In tutta evidenza siamo di fronte ad una lesione dell’articolo 32 della Costituzione - si legge ancora - che inquadra il diritto fondamentale alla salute quale interesse generale della collettività e diritto di ogni singolo individuo, valido pertanto per il personale sanitario come per tutte le altre categorie a cui viene chiesto uno sforzo ulteriore nel lavoro in quanto fornitori di servizi essenziali e irrinunciabili per la popolazione". Esiste a questo punto un rischio di importanti effetti collaterali per il SSN in seguito alle scelte adottate. La possibilità, nonostante le nuove assunzioni, di ritrovarsi progressivamente con meno personale per il diffondersi tra di esso di una forma clinica manifesta per la mancata adozione di tutte le procedure note per circoscrivere il contagio e per salvaguardare la salute degli operatori. Sotto il profilo deontologico, viene leso il principio del primum non nocere . Di fatto il medico potenzialmente contagiato e non collocato in quarantena e nemmeno sottoposto a tampone fino all’insorgere conclamato della sintomatologia, diventa possibile vettore di diffusione del virus proprio a coloro che è tenuto a curare.

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