domenica 19 gennaio 2020

pc 19 gennaio - Solidarietà ai nove antirazzisti processati a Napoli - Soccorso Rosso Proletario

Accusati di devastazione e saccheggio.


Si è svolta al Tribunale di Napoli la prima udienza del processo contro nove antirazzisti napoletani accusati di devastazione e saccheggio (art. 419 del cp).*Secondo gli accusatori questi reati sarebbero stati commessi durante la manifestazione dell’11 marzo 2017 contro la venuta di Matteo Salvini a Napoli, che in quel periodo si muoveva in lungo e largo l’Italia in vista delle elezioni politiche del 2018. Ricordiamo in particolare come Salvini girava tra la gente dei territori propinando i suoi discorsi fuorvianti rispetto alle cause del
malcontento sociale e soprattutto istigando le masse contro gli immigrati con la retorica da quattro soldi di “prima gli italiani”.
Da diversi giorni il movimento antirazzista e antifascista napoletano si preparava ad affrontare con spirito di solidarietà l’ennesimo assurdo processo contro elementi combattivi del proletariato e la parola d’ordine che è stata assunta senza esitare è stata “l’11 marzo c’eravamo tutti”. Sì, proprio così!
Questo processo di fatti non è solo un processo contro nove individui ma contro tutte quelle migliaia di persone che quel giorno sfilarono da piazza Sannazzaro a Piazzale Tecchio, luogo del Palacongressi della Mostra d’oltremare dove il capo dei leghisti si esibiva, per dire ad alta voce “Salvini vattene, non ti vogliamo”.
Il dibattimento che si è svolto  in Tribunale ha visto preliminarmente il costituirsi parte civile di alcuni poliziotti e dell’azienda ASIA, ovvero l’azienda municipalizzata di nettezza urbana di Napoli. E’ evidente che il costituirsi parte civile di questi soggetti serve a dare una pezza d’appoggio alla Questura e al Pubblico Ministero per sostenere l’accusa di devastazione e saccheggio.
Tale piega si è vista subito nel momento in cui è stato chiamato a testimonianza contro i nove imputati,al momento assenti, l’allora dirigente della DIGOS (ora Dirigente superiore presso la Questura di Benevento) che seguiva le fasi di quella che fu una coloratissima, imponente e combattiva manifestazione contro il razzismo. La tesi che il PM portava avanti con le sue domande e le risposte che l’ex dirigente DIGOS di Napoli forniva, erano appunto quelle che sostengono l’esistenza nel corteo dell’11 marzo, di una frangia di facinorosi di provenienza ultras che erano lì per creare gratuitamente gli scontri con le forze dell’ordine.
A contrastare tale tesi sono state invece le domande poste dagli avvocati degli imputati che chiaramente hanno messo al centro dell’attenzione la poca consistenza dell’accusa a partire dagli episodi realmente accaduti che erano poco più di una situazione di vivace agitazione. Ma ancora più importante la difesa ha spostato l’attenzione sugli antefatti di quella manifestazione. Ossia, la kermesse di Salvini che nonostante i forti segnali provenienti dall’opinione pubblica di non volere ospitare uno sfrontato razzista a Napoli, il governo, per tramite del ministro degli Interni, avevano spinto la Prefettura partenopea a emanare l’ordinanza, sulla base dell’art. 2 del TULPS, a che il comizio di Salvini si facesse ad ogni costo, nonostante l’amministrazione del Palacongressi aveva rescisso il contratto con gli organizzatori leghisti avendo in concreto recepito il malcontento popolare. Tale decisione del governo difatti non fu altro che un vero atto di arroganza e autoritarismo contro la critica popolare.
 il movimento antirazzista e antifascista napoletano ha voluto essere presente in forze dinnanzi al tribunale, ma anche all’interno dell’aula in cui si è svolta la prima scena del teatrino dell’accusa. Con la mobilitazione si è voluto ricordare l’indignazione popolare contro Salvini e il governo di allora, si è inteso dire chiaro e forte che le lotte non si processano. Il comizio che si è tenuto a conclusione del processo che è stato aggiornato ad una seconda udienza il 13 febbraio prossimo, ha voluto naturalmente denunciare soprattutto il contesto generale di repressione che monta da tempo nel Paese.
Non è un caso che proprio in contemporanea allo svolgimento del processo ai nove antirazzisti si svolgevano nel medesimo tribunale due udienze preliminari contro numerosi disoccupati organizzati della lista “7 novembre”, rei di lottare peril diritto al lavoro. Ma a ulteriore riprova della situazione generale di persecuzione penale delle lotte politiche e sociali sono stati ricordati gli ultimi arresti di fine anno di alcuni attivisti NOTAV, tra questi in particolare quello più ignobile di Nicoletta Dosio. Ma sono migliaia i processi, le condanne carcerarie e pecuniarie legate al conflitto sociale, al punto che possiamo dire che c’è una nuova schiera di prigionieri e perseguitati politici che sono il frutto degli ultimi venti anni di scontro sociale. Prigionieri e perseguitati politici che vanno ad aggiungersi a quelli ancora restanti del ciclo di lotta di classe degli anni ’70-80.

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