Si è svolta al Tribunale di Napoli la prima udienza del
processo contro nove antirazzisti napoletani accusati di devastazione e
saccheggio (art. 419 del cp).*Secondo gli accusatori questi reati
sarebbero stati commessi durante la manifestazione dell’11 marzo 2017
contro la venuta di Matteo Salvini a Napoli, che in quel periodo si
muoveva in lungo e largo l’Italia in vista delle elezioni politiche del
2018. Ricordiamo in particolare come Salvini girava tra la gente dei
territori propinando i suoi discorsi fuorvianti rispetto alle cause del
malcontento sociale e soprattutto istigando le masse contro gli immigrati con la retorica da quattro soldi di “prima gli italiani”.
malcontento sociale e soprattutto istigando le masse contro gli immigrati con la retorica da quattro soldi di “prima gli italiani”.
Da
diversi giorni il movimento antirazzista e antifascista napoletano si
preparava ad affrontare con spirito di solidarietà l’ennesimo assurdo
processo contro elementi combattivi del proletariato e la parola
d’ordine che è stata assunta senza esitare è stata “l’11 marzo c’eravamo
tutti”. Sì, proprio così!
Questo
processo di fatti non è solo un processo contro nove individui ma
contro tutte quelle migliaia di persone che quel giorno sfilarono da
piazza Sannazzaro a Piazzale Tecchio, luogo del Palacongressi della
Mostra d’oltremare dove il capo dei leghisti si esibiva, per dire ad
alta voce “Salvini vattene, non ti vogliamo”.
Il
dibattimento che si è svolto in Tribunale ha visto
preliminarmente il costituirsi parte civile di alcuni poliziotti e
dell’azienda ASIA, ovvero l’azienda municipalizzata di nettezza urbana
di Napoli. E’ evidente che il costituirsi parte civile di questi
soggetti serve a dare una pezza d’appoggio alla Questura e al Pubblico
Ministero per sostenere l’accusa di devastazione e saccheggio.
Tale
piega si è vista subito nel momento in cui è stato chiamato a
testimonianza contro i nove imputati,al momento assenti, l’allora
dirigente della DIGOS (ora Dirigente superiore presso la Questura di
Benevento) che seguiva le fasi di quella che fu una coloratissima,
imponente e combattiva manifestazione contro il razzismo. La tesi che il
PM portava avanti con le sue domande e le risposte che l’ex dirigente
DIGOS di Napoli forniva, erano appunto quelle che sostengono l’esistenza
nel corteo dell’11 marzo, di una frangia di facinorosi di provenienza
ultras che erano lì per creare gratuitamente gli scontri con le forze
dell’ordine.
A
contrastare tale tesi sono state invece le domande poste dagli avvocati
degli imputati che chiaramente hanno messo al centro dell’attenzione la
poca consistenza dell’accusa a partire dagli episodi realmente accaduti
che erano poco più di una situazione di vivace agitazione. Ma ancora
più importante la difesa ha spostato l’attenzione sugli antefatti di
quella manifestazione. Ossia, la kermesse di Salvini che nonostante i
forti segnali provenienti dall’opinione pubblica di non volere ospitare
uno sfrontato razzista a Napoli, il governo, per tramite del ministro
degli Interni, avevano spinto la Prefettura partenopea a emanare
l’ordinanza, sulla base dell’art. 2 del TULPS, a che il comizio di
Salvini si facesse ad ogni costo, nonostante l’amministrazione del
Palacongressi aveva rescisso il contratto con gli organizzatori leghisti
avendo in concreto recepito il malcontento popolare. Tale decisione del
governo difatti non fu altro che un vero atto di arroganza e
autoritarismo contro la critica popolare.
il movimento antirazzista e antifascista napoletano ha voluto
essere presente in forze dinnanzi al tribunale, ma anche all’interno
dell’aula in cui si è svolta la prima scena del teatrino dell’accusa.
Con la mobilitazione si è voluto ricordare l’indignazione popolare
contro Salvini e il governo di allora, si è inteso dire chiaro e forte
che le lotte non si processano. Il comizio che si è tenuto a conclusione
del processo che è stato aggiornato ad una seconda udienza il 13
febbraio prossimo, ha voluto naturalmente denunciare soprattutto il
contesto generale di repressione che monta da tempo nel Paese.
Non
è un caso che proprio in contemporanea allo svolgimento del processo ai
nove antirazzisti si svolgevano nel medesimo tribunale due udienze
preliminari contro numerosi disoccupati organizzati della lista “7
novembre”, rei di lottare peril diritto al lavoro. Ma a ulteriore
riprova della situazione generale di persecuzione penale delle lotte
politiche e sociali sono stati ricordati gli ultimi arresti di fine anno
di alcuni attivisti NOTAV, tra questi in particolare quello più ignobile
di Nicoletta Dosio. Ma sono migliaia i processi, le condanne carcerarie
e pecuniarie legate al conflitto sociale, al punto che possiamo dire
che c’è una nuova schiera di prigionieri e perseguitati politici che
sono il frutto degli ultimi venti anni di scontro sociale. Prigionieri e
perseguitati politici che vanno ad aggiungersi a quelli ancora restanti
del ciclo di lotta di classe degli anni ’70-80.
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