La
determinazione del corteo ha sbattuto in faccia alla questura di Prato
la sua ingenuità nel pensare che 700 metri sarebbero bastati ad una
marcia per la quale sono arrivati diversi pullman da tutta Italia. In
maniera spontanea, tranquilla e determinata, una volta arrivati alla
piazza a due passi dalla stazione, dove per il questore ci si sarebbe
dovuti fermare, si è presa una svolta e ci si è diretti verso la piazza
del centro, termine vero dell’iniziativa, posta nel cuore della città,
in mezzo alle strade percorse da gente prevalentemente ignara di
un’ingiustizia strutturale che le stesse autorità di rappresentanza
cercano di invisibilizzare.
Nel
presidio finale della piazza del comune, la cima delle scalinate del
palazzo pretorio si è riempita di striscioni contro lo sfruttamento, le
multe, i licenziamenti, contro cui i lavoratori di Prato si sono trovati
periodicamente a lottare davanti ai cancelli delle tintorie, piuttosto
che della Coop. I numerosi interventi hanno ribadito l’importanza dello
sciopero come arma lecita contro i padroni e un sistema del profitto che
si gioca sulla loro pelle, l’importanza di essere uniti contro le leggi
ingiuste, razziste e discriminatorie che la politica strumentale al
profitto produce e legittima ad ogni livello di rappresentanza. Come
sfogo alla frustrazione per non aver influito sulle sorti della giornata
o forse per produrre briciole da dare in pasto a qualche giornaletto
affiliato, la polizia decide di caricare a manganellate la piazza mentre
questa si stava già svuotando. Nonostante le persone stessero defluendo
spontaneamente verso la stazione, un massiccio cordone di polizia si è
accodata spingendo violentemente gli ultimi rimasti, in un dispiegamento
di forza totalmente fine a se stessa, che riflette l’impotenza dei suoi
attori.
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