Libia: scontri a Tripoli e pozzi petroliferi chiusi il giorno dopo la Conferenza di Berlino
Roma, 20 gen 17:02 - (Agenzia Nova) - Il giorno dopo
la conferenza internazionale sulla crisi libica tenuta ieri a Berlino
sotto l’egida delle Nazioni Unite, la produzione petrolifera nel paese
Opec è praticamente azzerata mentre a Tripoli si continua a combattere.
Nuovi scontri sono scoppiati all’alba di oggi tra le forze del Governo
di accordo nazionale (Gna) e dell'Esercito nazionale libico (Lna) in
diverse aree nella periferia sud di Tripoli. Secondo diversi media
libici, le forze del generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della
Cirenaica che assedia Tripoli dal 4 aprile, hanno lanciato una vasta
offensiva per controllare l'area di Al Qassi e altre zone a sud della
capitale come Sidra e Khalatat. Fonti locali riferiscono di un attacco
su vasta scala per controllare l'area a sud della capitale. Le forze del
Gna hanno denunciato ripetute violazioni del cessate il fuoco da parte
delle forze di Haftar presso Khalatat Street, annunciando al tempo
stesso di aver colpito “un carro armato nemico” in questi scontri. Da
parte sua, l'Lna ha spiegato che le forze del Gna hanno effettuato
ripetuti attacchi lungo Khalatat Street e nel quartiere di Salah al Din,
costringendo a rispondere "nonostante l’impegno a rispettare la
tregua". Proseguono, dunque, gli scontri a Tripoli nonostante l’impegno
per un cessate il fuoco ribadito ieri nella Conferenza di Berlino sulla
crisi libica sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Un articolo utile a comprendere quello che è successo a Berlino
La fissazione di un cessate il fuoco permanente tra le parti in conflitto e l'auspicio di rilanciare il processo politico sono i due punti centrali della dichiarazione finale uscita dalla conferenza internazionale sulla Libia, tenutasi a Berlino ieri 19 gennaio 2020. Altri punti contenuti nel documento, che ricalca in buona sostanza la bozza ottenuta in esclusiva da "Agenzia Nova" tre giorni prima della conferenza, riguardano la smobilitazione e il disarmo delle milizie, l'embargo sulle armi,
la lotta al terrorismo, l'unificazione dell'apparato di sicurezza, il ripristino delle strutture economiche, un nuovo governo di accordo nazionale in Libia che sia rappresentativo di tutto il paese, l’istituzione di un meccanismo internazionale di “follow-up”. Otto punto iniziali, nove sezioni (cessate il fuoco, embargo sulle armi, ritorno al processo politico, riforma del settore di sicurezza, riforma economica e finanziaria, rispetto del diritto internazionale umanitario, follow-up) per un totale di sei pagine: tutti i partecipanti al vertice di oggi hanno firmato il documento finale, frutto di settimane di paziente lavoro diplomatico e di compromessi. Non sono mancati momenti di tensione, con un duro confronto tra la Turchia da una parte, Emirati Arabi Uniti ed Egitto dall’altra.
Sia Sarraj che Haftar sono peraltro rimasti a Berlino: il primo ha tenuto incontri con i delegati della Cina, mentre sull'agenda del secondo non sono emersi dettagli. Una fonte dell'Lna ha riferito a "Nova" che il generale della Cirenaica si trova ancora nella capitale tedesca, senza tuttavia fornire ulteriori indicazioni. Dal Cremlino, intanto, fanno sapere che un incontro di Haftar con il presidente russo Vladimir Putin "non è in agenda" questa settimana. Fonti diplomatiche hanno riferito all'agenzia di stampa "Sputnik" che il comandante dell'Lna "si è comportato in modo strano" ieri durante il vertice, smettendo di rispondere al telefono e lasciando i lavori anzitempo senza avvertire nessuno.
Commentando i risultati della conferenza, l’ex inviato speciale in Libia dell’amministrazione statunitense guidata da Barack Obama, Jonathan M. Winer, ha detto che la dichiarazione finale firmata ieri a Berlino sulla crisi in Libia “dice tutte cose giuste”, ma il suo reale impatto sul terreno “dipende dai paesi che hanno alimentato la guerra civile e da Khalifa Haftar”. La dichiarazione finale di Berlino è stata firmata ieri dai rappresentanti di Algeria, Cina, Egitto, Francia, Germania, Italia,
Russia, Turchia, Repubblica del Congo, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti e dai massimi esponenti delle Nazioni Unite, dell'Unione africana, dell'Unione europea e della Lega degli Stati arabi. “Il comunicato di Berlino dice tutte cose giuste, ma il suo impatto dipende dal comportamento futuro dei paesi che finora hanno alimentato la guerra civile libica e da quello di Khalifa Haftar, che ha cominciato il conflitto: finora loro hanno deciso di cambiare strada, lui non l’ha fatto”, afferma Winer.
Nel documento è assente, come anticipato da “Nova”, ogni riferimento alla possibilità di inviare una missione dell'Unione europea, finanziata dagli Stati membri, per il monitoraggio del cessate il fuoco in Libia. Un passo avanti da questo punto di vista però c’è stato: il premier del Governo di accordo nazionale, Fayez al Sarraj, e il generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), hanno concordato di formare un comitato militare congiunto nel formato 5+5 incaricato di monitorare il cessate il fuoco in Libia. Nella dichiarazione finale del vertice, in effetti, si fa riferimento “all'istituzione immediata di comitati tecnici per monitorare e verificare l'attuazione del cessate il fuoco”: questo passaggio in particolare era in forse fino all'ultimo per via della mancata nomina dei cinque membri nominati da Haftar. Una prima riunione di questo comitato dovrebbe tenersi a Ginevra nei prossimi giorni, secondo quanto dichiarato in conferenza stampa dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Che tipo missione di monitoraggio del cessate il fuoco sarà schierata in Libia (europea, araba, internazionale) dipenderà dai colloqui dell'Onu con i dieci delegati libici. Il documento approvato ieri, ha aggiunto il numero uno dell’Onu, richiederà comunque un passaggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Secondo Jalel Harchaoui, research fellow del think tank olandese Clingendael Institute, la crisi libica è intrappolata in un cerchio senza fine. “Dobbiamo ricordare da dove siamo partiti: all’inizio della crisi non c’era affatto una mancanza di regole, procedure, risoluzioni, leggi internazionali, convenzioni umanitarie e buone intenzioni da parte della Comunità internazionale. Fare oggi un’altra dichiarazione di questo tipo non aiuta affatto”, commenta Harchaoui ad “Agenzia Nova. Secondo l’analista, ci sono due ragioni principali per cui le Nazioni Unite hanno scelto di coinvolgere la Germania. “La prima è che Berlino è neutrale in Libia, eppure genuinamente interessata a fermare la guerra, il caos e la distruzione. La seconda è perché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è totalmente bloccato dal 4 aprile scorso (data dell’avvio dell’offensiva del generale Khalifa Haftar), quindi c’era la necessità di percorrere nuove strade”, spiega Harchaoui. Il più grande ostacolo alla risoluzione del conflitto in Libia, aggiunge l’analista, è la totale impunità. “Se si vuole risolvere la crisi, bisogna avviare un meccanismo in grado di introdurre misure spiacevoli per chi viola le regole e le risoluzioni. Ipotizziamo che gli Emirati Arabi Uniti mandino un drone che uccide dei civili in Libia, oppure che i turchi facciano lo stesso, peraltro inviando armi in violazione dell’embargo. Nessun libico o attore esterno oggi ne subirebbe le conseguenze. C’è una totale assenza di punizioni”, continua l’analista, sottolineando che ieri a Berlino “non stato fatto niente da questo punto di vista”.
Harchaoui definisce “lodevole” la disponibilità di Germania e Italia a inviare truppe in Libia per monitorare un eventuale cessate il fuoco, ma ritiene che queste misure siano osteggiate dagli sponsor esterni del generale Haftar. “Se un soldato italiano o tedesco dovesse rimanere ucciso si creerebbe un bel problema. Questa è la ragione per cui gli sponsor esteri di Haftar hanno fatto di tutto, diplomaticamente parlando, per evitare la firma di un cessate il fuoco e per far sì che che non ci sia alcun ostacolo alla guerra. Adesso Haftar è a pochi metri dal traguardo: se si fa la pace (Haftar) perde, ma loro vogliono che lui vinca”, riferisce ancora il ricercatore dell’istituto olandese. Questa è tra l’altro la ragione principale per cui a Berlino, secondo il ricercatore, non si è discusso in modo concreto di sanzioni. “Ci sono solo riferimento molti vaghi a risoluzioni del Consiglio di sicurezza, ma si tratta di un vicolo ceco e di un ritorno al punto di partenza”, spiega l’analista.
Intanto la parziale chiusura dei giacimenti onshore presenti in Libia ha ridotto al minimo la produzione petrolifera del paese nordafricano dall’agosto 2011. Secondo le stime della stessa compagnia libica National Oil Corporation (Noc), una chiusura prolungata di giacimenti, oleodotti e terminal potrebbe portare l’output petrolifero a soli 72 mila barili al giorno (rispetto agli 1,2 milioni registrati nel mese di dicembre 2019) una volta che saranno riempiti completamente i serbatoi di stoccaggio. La situazione in Libia, unita alla crisi in corso nel sud dell’Iraq, ha portato a un rialzo dell’1 per cento dei prezzi del petrolio che oggi, in apertura delle contrattazioni, hanno superato i 65 dollari al barile. L'ultimo, duro colpo all’industria petrolifera libica è avvenuto ieri con la chiusura dell’oleodotto Hamada-Zawiya da parte del movimento di protesta “Rabbia del Fezzan”. Secondo quanto riferito dalla Noc, la stazione di Hamada è uno snodo per gli oleodotti della Mellitah Oil e della Akakus, rispettivamente gli operatori dei giacimenti di Sharara e di El Feel, che sono state costrette a ridurre drasticamente la produzione petrolifera. Quanto accaduto ieri, segue il blocco dei terminal petroliferi di Brega, Ras Lanuf, Hariga, Zueitina, Sidra e di oltre cinquanta giacimenti petroliferi nel bacino di Sirte, iniziato lo scorso 17 gennaio da parte di un gruppo di leader tribali della Cirenaica, presenti nella regione della Mezzaluna petrolifera. L’azione del gruppo di leader tribali, legati generale Khalifa Haftar, ha costretto la Noc a dichiarare lo stato di "force majeure", cioè l'incapacità di poter operare, annunciando una potenziale perdita di 800.000 barili di petrolio al giorno.
Secondo Harchaoui, il blocco delle esportazioni petrolifere in Libia “non è un problema” per la Francia. “Il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto un discorso ieri (dopo la Conferenza di Berlino sulla crisi libica) e non ha fatto alcuna menzione del blocco, quindi per loro va bene così”, afferma Harchaoui. L’analista ricorda come il comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), il generale Khalifa Haftar, si sia impadronito di tutti i pozzi della Libia già nel febbraio del 2019. “Ora sta ricordando al mondo intero che lui è il vero boss”, afferma ancora l’analista, secondo cui "gli Stati che sostengono Hafar non importano petrolio dalla Libia". Il ricercatore ha poi escluso possibili ripercussioni sulla produzione di elettricità nel paese nordafricano. “La National Oil Corporation (Noc) importa molti prodotti dall’estero: quando c’è una crisi elettrica c’è sempre la possibilità di utilizzare prodotti importati. Non credo che ci sarà una interruzione dell’elettricità”.
La fissazione di un cessate il fuoco permanente tra le parti in conflitto e l'auspicio di rilanciare il processo politico sono i due punti centrali della dichiarazione finale uscita dalla conferenza internazionale sulla Libia, tenutasi a Berlino ieri 19 gennaio 2020. Altri punti contenuti nel documento, che ricalca in buona sostanza la bozza ottenuta in esclusiva da "Agenzia Nova" tre giorni prima della conferenza, riguardano la smobilitazione e il disarmo delle milizie, l'embargo sulle armi,
la lotta al terrorismo, l'unificazione dell'apparato di sicurezza, il ripristino delle strutture economiche, un nuovo governo di accordo nazionale in Libia che sia rappresentativo di tutto il paese, l’istituzione di un meccanismo internazionale di “follow-up”. Otto punto iniziali, nove sezioni (cessate il fuoco, embargo sulle armi, ritorno al processo politico, riforma del settore di sicurezza, riforma economica e finanziaria, rispetto del diritto internazionale umanitario, follow-up) per un totale di sei pagine: tutti i partecipanti al vertice di oggi hanno firmato il documento finale, frutto di settimane di paziente lavoro diplomatico e di compromessi. Non sono mancati momenti di tensione, con un duro confronto tra la Turchia da una parte, Emirati Arabi Uniti ed Egitto dall’altra.
Sia Sarraj che Haftar sono peraltro rimasti a Berlino: il primo ha tenuto incontri con i delegati della Cina, mentre sull'agenda del secondo non sono emersi dettagli. Una fonte dell'Lna ha riferito a "Nova" che il generale della Cirenaica si trova ancora nella capitale tedesca, senza tuttavia fornire ulteriori indicazioni. Dal Cremlino, intanto, fanno sapere che un incontro di Haftar con il presidente russo Vladimir Putin "non è in agenda" questa settimana. Fonti diplomatiche hanno riferito all'agenzia di stampa "Sputnik" che il comandante dell'Lna "si è comportato in modo strano" ieri durante il vertice, smettendo di rispondere al telefono e lasciando i lavori anzitempo senza avvertire nessuno.
Commentando i risultati della conferenza, l’ex inviato speciale in Libia dell’amministrazione statunitense guidata da Barack Obama, Jonathan M. Winer, ha detto che la dichiarazione finale firmata ieri a Berlino sulla crisi in Libia “dice tutte cose giuste”, ma il suo reale impatto sul terreno “dipende dai paesi che hanno alimentato la guerra civile e da Khalifa Haftar”. La dichiarazione finale di Berlino è stata firmata ieri dai rappresentanti di Algeria, Cina, Egitto, Francia, Germania, Italia,
Russia, Turchia, Repubblica del Congo, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti e dai massimi esponenti delle Nazioni Unite, dell'Unione africana, dell'Unione europea e della Lega degli Stati arabi. “Il comunicato di Berlino dice tutte cose giuste, ma il suo impatto dipende dal comportamento futuro dei paesi che finora hanno alimentato la guerra civile libica e da quello di Khalifa Haftar, che ha cominciato il conflitto: finora loro hanno deciso di cambiare strada, lui non l’ha fatto”, afferma Winer.
Nel documento è assente, come anticipato da “Nova”, ogni riferimento alla possibilità di inviare una missione dell'Unione europea, finanziata dagli Stati membri, per il monitoraggio del cessate il fuoco in Libia. Un passo avanti da questo punto di vista però c’è stato: il premier del Governo di accordo nazionale, Fayez al Sarraj, e il generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), hanno concordato di formare un comitato militare congiunto nel formato 5+5 incaricato di monitorare il cessate il fuoco in Libia. Nella dichiarazione finale del vertice, in effetti, si fa riferimento “all'istituzione immediata di comitati tecnici per monitorare e verificare l'attuazione del cessate il fuoco”: questo passaggio in particolare era in forse fino all'ultimo per via della mancata nomina dei cinque membri nominati da Haftar. Una prima riunione di questo comitato dovrebbe tenersi a Ginevra nei prossimi giorni, secondo quanto dichiarato in conferenza stampa dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Che tipo missione di monitoraggio del cessate il fuoco sarà schierata in Libia (europea, araba, internazionale) dipenderà dai colloqui dell'Onu con i dieci delegati libici. Il documento approvato ieri, ha aggiunto il numero uno dell’Onu, richiederà comunque un passaggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Secondo Jalel Harchaoui, research fellow del think tank olandese Clingendael Institute, la crisi libica è intrappolata in un cerchio senza fine. “Dobbiamo ricordare da dove siamo partiti: all’inizio della crisi non c’era affatto una mancanza di regole, procedure, risoluzioni, leggi internazionali, convenzioni umanitarie e buone intenzioni da parte della Comunità internazionale. Fare oggi un’altra dichiarazione di questo tipo non aiuta affatto”, commenta Harchaoui ad “Agenzia Nova. Secondo l’analista, ci sono due ragioni principali per cui le Nazioni Unite hanno scelto di coinvolgere la Germania. “La prima è che Berlino è neutrale in Libia, eppure genuinamente interessata a fermare la guerra, il caos e la distruzione. La seconda è perché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è totalmente bloccato dal 4 aprile scorso (data dell’avvio dell’offensiva del generale Khalifa Haftar), quindi c’era la necessità di percorrere nuove strade”, spiega Harchaoui. Il più grande ostacolo alla risoluzione del conflitto in Libia, aggiunge l’analista, è la totale impunità. “Se si vuole risolvere la crisi, bisogna avviare un meccanismo in grado di introdurre misure spiacevoli per chi viola le regole e le risoluzioni. Ipotizziamo che gli Emirati Arabi Uniti mandino un drone che uccide dei civili in Libia, oppure che i turchi facciano lo stesso, peraltro inviando armi in violazione dell’embargo. Nessun libico o attore esterno oggi ne subirebbe le conseguenze. C’è una totale assenza di punizioni”, continua l’analista, sottolineando che ieri a Berlino “non stato fatto niente da questo punto di vista”.
Harchaoui definisce “lodevole” la disponibilità di Germania e Italia a inviare truppe in Libia per monitorare un eventuale cessate il fuoco, ma ritiene che queste misure siano osteggiate dagli sponsor esterni del generale Haftar. “Se un soldato italiano o tedesco dovesse rimanere ucciso si creerebbe un bel problema. Questa è la ragione per cui gli sponsor esteri di Haftar hanno fatto di tutto, diplomaticamente parlando, per evitare la firma di un cessate il fuoco e per far sì che che non ci sia alcun ostacolo alla guerra. Adesso Haftar è a pochi metri dal traguardo: se si fa la pace (Haftar) perde, ma loro vogliono che lui vinca”, riferisce ancora il ricercatore dell’istituto olandese. Questa è tra l’altro la ragione principale per cui a Berlino, secondo il ricercatore, non si è discusso in modo concreto di sanzioni. “Ci sono solo riferimento molti vaghi a risoluzioni del Consiglio di sicurezza, ma si tratta di un vicolo ceco e di un ritorno al punto di partenza”, spiega l’analista.
Intanto la parziale chiusura dei giacimenti onshore presenti in Libia ha ridotto al minimo la produzione petrolifera del paese nordafricano dall’agosto 2011. Secondo le stime della stessa compagnia libica National Oil Corporation (Noc), una chiusura prolungata di giacimenti, oleodotti e terminal potrebbe portare l’output petrolifero a soli 72 mila barili al giorno (rispetto agli 1,2 milioni registrati nel mese di dicembre 2019) una volta che saranno riempiti completamente i serbatoi di stoccaggio. La situazione in Libia, unita alla crisi in corso nel sud dell’Iraq, ha portato a un rialzo dell’1 per cento dei prezzi del petrolio che oggi, in apertura delle contrattazioni, hanno superato i 65 dollari al barile. L'ultimo, duro colpo all’industria petrolifera libica è avvenuto ieri con la chiusura dell’oleodotto Hamada-Zawiya da parte del movimento di protesta “Rabbia del Fezzan”. Secondo quanto riferito dalla Noc, la stazione di Hamada è uno snodo per gli oleodotti della Mellitah Oil e della Akakus, rispettivamente gli operatori dei giacimenti di Sharara e di El Feel, che sono state costrette a ridurre drasticamente la produzione petrolifera. Quanto accaduto ieri, segue il blocco dei terminal petroliferi di Brega, Ras Lanuf, Hariga, Zueitina, Sidra e di oltre cinquanta giacimenti petroliferi nel bacino di Sirte, iniziato lo scorso 17 gennaio da parte di un gruppo di leader tribali della Cirenaica, presenti nella regione della Mezzaluna petrolifera. L’azione del gruppo di leader tribali, legati generale Khalifa Haftar, ha costretto la Noc a dichiarare lo stato di "force majeure", cioè l'incapacità di poter operare, annunciando una potenziale perdita di 800.000 barili di petrolio al giorno.
Secondo Harchaoui, il blocco delle esportazioni petrolifere in Libia “non è un problema” per la Francia. “Il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto un discorso ieri (dopo la Conferenza di Berlino sulla crisi libica) e non ha fatto alcuna menzione del blocco, quindi per loro va bene così”, afferma Harchaoui. L’analista ricorda come il comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), il generale Khalifa Haftar, si sia impadronito di tutti i pozzi della Libia già nel febbraio del 2019. “Ora sta ricordando al mondo intero che lui è il vero boss”, afferma ancora l’analista, secondo cui "gli Stati che sostengono Hafar non importano petrolio dalla Libia". Il ricercatore ha poi escluso possibili ripercussioni sulla produzione di elettricità nel paese nordafricano. “La National Oil Corporation (Noc) importa molti prodotti dall’estero: quando c’è una crisi elettrica c’è sempre la possibilità di utilizzare prodotti importati. Non credo che ci sarà una interruzione dell’elettricità”.
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