domenica 17 novembre 2019

pc 17 novembre - Speciale ARCELROMITTAL - Un'interessante discussione alla proiezione del docufilm "Mittal, il volto oscuro dell'impero"

Presto in uscita un nostro importante dossier che documenta non solo chi è Mittal e come ha costruito il suo impero ma anche le lotte e le resistenze che ha incontrato ai disastri che provoca.
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Oltre che l’occasione per rivedere il bel film documentario di Jérôme Fritel, la proiezione di “Mittal, il volto oscuro dell’impero” di giovedì scorso a Taranto all’Auditorium Tarentum ci ha dato l’opportunità di assistere a un interessante dibattito.
Forse con la sorpresa di qualcuno degli organizzatori, una riflessione critica sulla posizione di chiusura della fabbrica senza se e senza ma dell’ambientalismo piccolo borghese tarantino è venuta proprio dall’ospite che gli organizzatori avevano invitato, l’ex operaio, sindacalista ed europarlamentare Édouard Martin.
Riportiamo alcuni stralci delle sue risposte durante il dibattito a fine proiezione.

Non sono qui per dire a voi per quale futuro lottare. Questa e una cosa che dovete decidere discutendo tra voi nella vostra comunità. Ma voglio chiarire che il senso del film, e la posizione mia personale, non è contro l’industria. Anzi, io personalmente credo occorre difendere l’industria, non così com’è, ma un’industria rispettosa dell’ambiente del diritto alla salute di chi vi lavora e vive vicino. Ho proposto anche al Parlamento Europeo una dichiarazione di principio in questo senso, ma tutti i gruppi e i capi di governo eurpei, hanno voltato lo sguardo dall’altra parte.
Nella mia regione, la Lorraine, negli anni 60 e 70 c’erano 100.000 a lavorare nel settore siderurgico. Oggi, alla fine della storia che il film racconta, sono rimasti 5000 e questo ha significato la devastazione economica e sociale della regione. Diversa è invece l’esperienza del bacino della Saar, regione vicina alla mia, appena oltre il confine con la Germania, dove grazie a un diverso assetto proprietario degli impianti, in mano a delle fondazioni in parte pubbliche, i grandi profitti fatti negli anni di espansioni non sono andati a ingrossare i dividendi degli azionisti ma sono stati investiti in manutenzione, innovazione tecnologica e ambientalizzazione e oggi quella regione e quelle industrie sono ancora economicamente vive e vitali….”
[Replicando a chi aveva commentato il film come “uno sprono per noi a liberarci di Mittal, della fabbrica che soffoca il futuro della città, impresa non facile, ma dobbiamo provarci”]

Né io né nessuno può prevedere con certezza se davvero Mittal abbandonerà Taranto. Quello che
so, e che il film ha ben documentato, è che Mittal è un predatore, pronto a approfittare di ogni occasione e a prendere ogni decisione gli procuri profitti ingenti e immediati, senza preoccuparsi troppo del futuro lungo termine delle sue stesse aziende né tanto meno delle conseguenze per chi lavora nelle sue fabbriche e le loro comunità. In questo senso so che Mittal è prontissimo ad abbandonare lo stabilimento al suo destino se non otterrà quello che chiede e che ritiene possa dargli profitti ingenti. Badate bene: profitti ingenti e immediati. A Mittal non interessa semplicemente fare profitti, è un predatore che pretende profitti ingenti e immediati, altrimenti molla la preda e va a caccia di un’altra. Se proprio dovessi fare una previsione, temo che alla fine il governo italiano, come tutti gli altri prima di lui in Europa, farà di tutto per accontentare Mittal...”
[In risposta a chi gli aveva chiesto come secondo lui sarebbe andata a finire l’attuale controversia col governo italiano.]

Attenzione! Riconversione e reindustrializzazione non sono cose facili e scontate, una volta chiusi gli impianti. Occorrono progetti accurati, lavori prolungati di anni se non decenni e investenti giganteschi. Se prima non è ben chiaro e stabilito chi e come decide i progetti, chi e come li realizza e soprattutto chi e come li finanzia, le chiusure delle fabbriche non aprono magicamente un futuro diverso ma provocano quello che è successo nella mia città, dove la fabbrica, chiusa, è ancora lì, tale e quale a prima, l’ambiente è devastato come prima e non c’è stata alcuna bonifica né creazione di nuovo lavoro. Solo la lotta di tutta una comunità può impedire un esito di questo tipo, se si lascia decidere alla trattativa tra capitalisti e governi, va a finire come il film racconta.”
[Rispondendo a chi citava non meglio precisati “studi della stessa Confindustria sulla reindustrializzazione” secondo cui “per ogni miliardo speso in reindustralizzazione si generano 500 milioni di ritorno fiscale per lo Stato, e 2 miliardi di ricavi, con un numero di nuovi posti di lavoro corrispondente a queste cifre".]

Infine, a chi gli ha domandato: “Come mai hai fiducia nello Stato in caso di nazionalizzazione, come nel caso della Saar, ma non in caso di bonifica e riconversione?”, ha risposto:

Mai parlato di fiducia nello Stato o tanto meno nei governi. Mi fido dello Stato solo se lo Stato siete voi, siamo noi, le comunità. Solo le comunità unite e combattive possono scrivere una pagina diversa per il loro futuro”

Una comunità unita e combattiva - aggiungiamo noi - che deve avere gli operai protagonisti, non denigrarli e accusarli di pensare solo a sé se difendono il loro lavoro. I lavoratori sono il primo nemico e bersaglio dei piani di Mittal e governi e, se uniti e coscienti e determinati, liberati dall’influenza degli ingannapopolo e dal sindacalismo aziendalista, sono l’unica forza che può batterli. Chi non lotta e lavora per questo, nei fatti fa il gioco di Mittal e governi, non quello della città.

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