A
questo principio si ispira ormai da trent’anni il movimento NO TAV
e, da sempre, rispondono le lotte sociali e ambientali, in tante
parti del paese e del mondo.
Contro
tale resistenza, il sistema ha messo in campo leggi, eserciti,
tribunali e carceri.
I territori, le persone, la natura sono più che
mai materia bruta di sfruttamento da parte di un capitale che, nella
sua arroganza dimentica di ogni limite, in nome del profitto
infinito, accumula sulla propria strada morti e rovine, fino a
mettere in discussione la sopravvivenza stessa del Pianeta. Anche in
Valle di Susa l’opposizione popolare che, forte della memoria
operaia e resistenziale, ha deciso di dire NO al TAV, grande, mala,
inutile, costosissima opera, e al modello di vita che la produce, sta
pagando tale resistenza ad un prezzo altissimo, a livello
giudiziario, economico, esistenziale, con centinaia di condanne
penali e civili, multe, fogli di via, revoche di permessi,
militarizzazione del territorio. Il tutto con la complicità attiva
dei governi passati e presenti, espressione istituzionale del partito
trasversale degli affari, e con il supporto dei mass media di regime.
Per denunciare tutto questo e per ribadire la
dignità di una lotta collettiva che non si piegherà, ho deciso di
non chiedere sconti al potere invidioso e vendicativo che, con i tre
gradi di giudizio dei suoi
tribunali, ha condannato al carcere me e
altri undici attivisti, per “ violenza privata e interruzione di
pubblico servizio”.
Denuncio inoltre le storture e l’iniquità di un
sistema poliziesco e giudiziario che, lungi dal garantire i diritti
di tutti e soprattutto dei più deboli, si è piegato ad altri e
diversi interessi, rendendosi complice del tentativo di silenziare
con la violenza chi lotta per la giustizia sociale e ambientale.
Come me, sono state condannate ormai centinaia di
persone e, in particolare, i nostri migliori giovani, che si sono
visti infliggere pene abnormi per aver esercitato un diritto
garantito dalla costituzione: condanne per cui essi oggi rischiano di
perdere il lavoro, il diritto allo studio, la famiglia, la casa, il
futuro.
Erano i primi giorni di marzo 2012, giornate di
rabbia e di mobilitazione: la nostra piccola baita – presidio in
Clarea occupata a suon di manganellate dalle “forze dell’ordine”
dopo gli otto mesi di resistenza che seguirono alla presa della
Libera repubblica della Maddalena e all’occupazione militare del
territorio. Luca, uno di noi, in ospedale a lottare tra la vita e la
morte dopo che un poliziotto l’aveva fatto cadere dal traliccio su
cui si era arrampicato per sfuggire alle botte: Le dichiarazioni
provocatorie del governo Monti a favore del TAV e contro la
resistenza di un’intera popolazione al progetto.
Salimmo in manifestazione sull’autostrada con uno
striscione su cui era scritto “ Oggi paga Monti” ed alzammo le
barriere dei caselli, permettendo la libera circolazione su una delle
strutture autostradali più devastanti e costose d’Italia.
Non me ne pento e sarei pronta a rifarlo. Non
chiedo per me misure alternative al carcere perché, per ottenerle,
dovrei riconoscere il disvalore della mia condotta: non sono
disponibile ed esercito così, ancora una volta, la mia libertà.
So di avere con me il sostegno delle mie sorelle e
dei miei fratelli di una lotta bella e irriducibile, perché porta
nelle sue mani la memoria del passato, l’indignazione per la
precarietà presente, la necessità di un futuro più giusto e
vivibile per tutti.
Se andrò in carcere, non me ne pentirò, perché,
come scrisse Rosa Luxemburg, dalla cella dove scontava la sua ferma
opposizione alla guerra, “mi
sento a casa mia in tutto il mondo, ovunque ci siano nubi, e uccelli,
e lacrime umane”.
Nicoletta Dosio
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