Se non è zuppa e pan bagnato. Il populismo in tutte le sue forme prima o poi si dimostra ingannapolo.
L'asse Renzi/Bellanova - Salvini/PD/Di Maio - padroni/sindacati confederali, è tutto dalla parte dei Mittal
Questo vuol dire esuberi - immunità penale ai padroni rafforzata - proroga dei tempi dei lavori dell'Altoforno 2 - Taglio dell'affitto a Mittal.
E' inutile dire che gli effetti di queste misure concordate da padroni/governo e sindacati confederali sarebbero devastanti per gli operai dell'appalto e all'interno della fabbrica prevarrebbe ancor più una linea del massimo sfruttamento, trasferimenti, demansionalizzazione, terziarizzazione, riduzioni dei diritti dei lavoratori, della libertà di sciopero e delle libertà sindacali.
Non ci sono alternative a una lotta vera e senza sconti degli operai e delle masse popolari della città in maniera prolungata e con tutte le forme di lotte necessarie:
Nessun esubero - piano per rientro dei cassintegrati in CIGS - salvaguardia di lavoro, salari e diritti nelle ditte dell'appalto – sicurezza in fabbrica con una postazione ispettiva permanente sotto controllo operaio dentro l’area ArcelorMittal e appalto – estensione dei benefici amianto anche con una legge speciale tenendo conto della fabbrica delle morti sul lavoro e inquinante - reale bonifica e ambientalizzazione della fabbrica a tappe forzate, con un utilizzo generale dei lavoratori – che così rientrano al lavoro tutti.
Sul fronte della salute, emergenza ambientale e sanitaria, bonifiche del territorio si può e si deve fare di più. Servono nuovi fondi dello Stato a sostegno - torniamo agli 8 miliardi necessari indicati nel 2012 dall'inchiesta Todisco.
Questa piattaforma va imposta sia a Mittal se resta, ma anche nei confronti di una azienda commissariata o nazionalizzata dallo Stato, sia a un nuovo padrone diverso da Mittal.
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Ex Ilva, Conte-ArcelorMittal: trattativa al ribasso?
Sul tavolo dimezzamento esuberi, ripristino tutele legali, lo scoglio di
Afo 2, l'ingresso dello Stato nel capitale sociale, i debiti dei
creditori
Il giorno dopo la venuta del premier Conte, a Taranto è calato un silenzio sinistro per tutto il weekend, come spesso accade anche nei momenti più tragici della sua storia. Tutti attendono gli eventi della settimana che inizia domani: che potrebbe essere o meno cruciale, visto che i trenta giorni che concluderanno il passaggio annunciato da ArcelorMittal alla struttura commissariale di impianti e dei lavoratori, scadranno il prossimo 5 dicembre.
Tra i tanti mini incontri effettuati dal premier Conte nella giornata di venerdì, c’è stato anche quello in Prefettura con una delegazione di Confindustria Taranto, alla quale Conte avrebbe confidato di aver avuto nuovi contatti con i vertici di ArcelorMittal, che dovrebbero portare ad un nuovo incontro nella giornata di domani o martedì a Palazzo Chigi. O comunque da tenere nei prossimi giorni.
Del resto, trattare con i vertici della multinazionale, al momento appare l’unica via percorribile. Anche perché al momento, anche solo una parvenza di alternativa alla multinazionale guidata dalla famiglia Mittal, di fatto non c’è. Lo stesso Conte ha candidamente ammesso di “non avere una soluzione in tasca”. Ed era anche ora che il governo ammettesse la realtà dei fatti. Ad oggi, a
prescindere dalle voci, dalle indiscrezioni e dalle ipotesi più fantasiose, la previsione che più si avvicina alla realtà, parlerebbe di un accoglimento parziale da parte del governo delle richieste di ArcelorMittal: non tout court, ovviamente. E non senza un’eventuale contropartita.
Si parla innanzitutto di dimezzare le unità da porre in esubero, che finirebbero nel perimetro di Ilva in Amministrazione Straordinaria. Si scenderebbe quindi dalle 5mila alle 2-2,5mila unità. Anche qui, è giusto dire la verità: il numero sugli esuberi non è stato messo inizialmente sul tavolo da ArcelorMittal, ma è stata la risposta alla domanda del premier Conte, nell’incontro della scorsa settimana, sul quanto ammonterebbe eventualmente il monte esuberi a fronte di una revisione strutturale dei termini produttivi da parte dell’azienda. Che può sembrare la stessa cosa ma così non è. Tra l’altro, i numeri su cui si ragiona, non si discosterebbero moltissimo dalle 2.300 unità che inizialmente, prima dell’accordo del 6 settembre 2018, la stessa multinazionale aveva previsto non rientrassero nel perimetro delle assunzioni che la stessa avrebbe voluto effettuare.
Dunque, in Ilva in AS potrebbero confluire altri 2,5mila operai, che si andrebbero a sommare agli attuali 1.660 già in cigs. Struttura commissariale che avrebbe dunque bisogno di maggiori fondi da parte dello Stato: non è un caso, evidentemente, se già ieri si è diffusa la notizia che i ministeri del Lavoro e del Sud, starebbero lavorando all’istituzione di un fondo pluriennale che partirebbe con 5-10 milioni, da destinare alla riqualificazione e reinserimento nel mondo del lavoro dei lavoratori già attualmente in Cig. Fondi da destinare eventualmente anche alle operazioni di bonifica per l’amianto.
Questo ‘aiuto‘ da parte del governo però, potrebbe prevedere come contropartita, la richiesta da parte del governo dell’ingresso dello Stato nel capitale sociale di AM InvestCo Italy (la newco attraverso la quale ArcelorMittal controlla il gruppo ex Ilva, e dove è presente con una quota pari al 5,6% Banca Intesa Sanpaolo), per controllare più da vicino l’attuazione futura del Piano Ambientale e del Piano Industriale. Che l’ingresso avvenga tramite Cassa Depositi e Prestiti (soluzione invocata da molti ma al momento non delle più semplici da percorrere, visto che il fondo del Ministero del Tesoro interviene per finanziare progetti e non può entrare in società in perdita per aggiustarne i conti), o attraverso Invitalia o altri soggetti sarà da vedere. Ammesso e non concesso che la multinazionale accetti tale contropartita.
Sullo sfondo un’altra ipotesi di cui parlammo settimane fa: la possiiblità che ArcelorMittal lasci l’intera area a caldo allo Stato, lasciando così il compito di effettuare gli interventi previsti dal Piano Ambientale, utilizzando soltanto l’area a freddo, in attesa di rientrarne in possesso degli impianti produttivi. Possibilità al momento tra le più remote.
Il secondo punto dirimente della eventuale trattativa, passerà inevitabilmente da un nuovo provvedimento legislativo, per ripristinare le tutele legali. Che sia focalizzato unicamente sulla vicenda dell’ex Ilva o meno, interessa marginalmente. Che sia una maggiore specificazione dell’art. 51 del Codice di Procedura Penale, anche. L’argomento è sin troppo banale per non riuscire a comprenderlo: e lo evidenziammo in tempi non sospetti all’ex ad Jehl nel giorno della conferenza stampa che sancì l’insediamento della multinazionale nel novembre del 2018. Proprio chi scrive pose una domanda molto chiara all’ex ad: ovvero su come intendessero procedere in merito alla questione riguardante il fatto che l’attuazione del Piano Ambientale, passasse inevitabilmente dal dover operare su impianti sotto sequestro giudiziario. Avevano intenzione di chiederne il dissequestro? Oppure erano tranquilli perché tutelati dalla famosa esimente penale? L’ex ad Jehl mi rispose con un laconico “stiamo lavorando su questa problematica e sicuramente avvieremo una proficua interlocuzione con la Procura di Taranto“. Abbiamo visto tutti com’è andata a finire.
Perchè la questione di tutto, è sempre lì. In fabbrica le prime linee e i dirigenti si rifiutano di operare in mancanza di una tutela che li preservi da un’eventuale rischio di finire nella rete della magistratura. Lo stesso avevano preteso i vecchi commissari straordinari di Ilva, così come ArcelorMittal e l’altra concorrente Jindal. Cosa che tutti coloro che sponsorizzano ancora oggi l’altra cordata, che non esiste più da oltre un anno oramai, si guardano bene dal dire. Così come le tutele legali valevano per gli attuali commissari che non risulta ne abbiano chiesto la sospensione.
Terzo punto altrettanto centrale, la questione che ruota attorno all’altoforno 2. Venerdì pomeriggio Conte ha incontrato a lungo il procuratore capo della Procura di Taranto, Carlo Maria Capristo. Il che spiegherebbe anche il ritardo con cui il premier sia arrivato in fabbrica. Appare al momento concreta la possibilità che la Procura accolga una nuova richiesta di proroga da parte dei commissari straordinari, per completare i lavori sull’altoforno 2, che altrimenti andrebbe spento entro il 13 dicembre. Vedremo cosa risponderà il giudice incaricato. Ma i commissari straordinari hanno già preannunciato la possibilità di rivolgersi nuovamente al tribunale del Riesame. Anche su questa vicenda, che ha visto la tragica morte di un giovane operaio, in tantissimi hanno speculato parecchio. Eppure, ancora oggi manca chiarezza su cosa sia successo effettivamente, e se l’incidente fu causato da un malfunzionamento dell’impianto (tesi della Procura e del custode giudiziario Valenzano) o se da un’operazione abituale al di fuori del protocollo aziendale andata male (tesi della struttura commissariale).
Appare invece più complicato che il governo possa accettare l’idea di rivedere la somma inerente l’affitto degli impianti del gruppo. Come abbiamo già avuto modo di evidenziare infatti, qualora l’addio di ArcelorMittal si concretizzasse, bisognerà fare i conti con il risarcimento dei creditori della procedura di amministrazione straordinaria per il fallimento dell’ex Ilva. Difatti, gli 1,8 miliardi di euro che ArcelorMittal si era impegnata a corrispondere per l’acquisto degli asset industriali del gruppo Ilva, erano completamente destinati al pagamento dei creditori sui 3,91 miliardi di euro accumulati negli anni dall’Ilva (tra commissariamento e amministrazione straordinaria). A cominciare dai 300 milioni di euro per ripagare il prestito dello Stato del 2015, per proseguire con i 230 milioni di euro del debito ipotecario con ipoteca sugli impianti. Tra gli 1,2 e gli 1,27 miliardi di euro dovevano servire a coprire prededuzione, TFR, e altri debiti privilegiati: vale a dire i lavoratori, i professionisti e le agenzie che hanno effettuato prestazioni lavorative all’interno dell’azienda. Per gli altri debitori la cifra a disposizione era compresa invece intorno ai 70 e più milioni di euro.
I mancati risarcimenti potrebbero portare ad aprire una nuova procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea per aiuti di stato, che la firma del contratto aveva disinnescato. Anche qui, facciamo chiarezza: l’eventuale nazionalizzazione dell’ex Ilva, potrebbe avvenire soltanto a prezzo di mercato: questo significa che lo Stato italiano potrebbe ‘comprare‘ l’ex Ilva soltanto per una cifra molto vicina agli 1,8 miliardi di euro.
Tra i tanti mini incontri effettuati dal premier Conte nella giornata di venerdì, c’è stato anche quello in Prefettura con una delegazione di Confindustria Taranto, alla quale Conte avrebbe confidato di aver avuto nuovi contatti con i vertici di ArcelorMittal, che dovrebbero portare ad un nuovo incontro nella giornata di domani o martedì a Palazzo Chigi. O comunque da tenere nei prossimi giorni.
Del resto, trattare con i vertici della multinazionale, al momento appare l’unica via percorribile. Anche perché al momento, anche solo una parvenza di alternativa alla multinazionale guidata dalla famiglia Mittal, di fatto non c’è. Lo stesso Conte ha candidamente ammesso di “non avere una soluzione in tasca”. Ed era anche ora che il governo ammettesse la realtà dei fatti. Ad oggi, a
prescindere dalle voci, dalle indiscrezioni e dalle ipotesi più fantasiose, la previsione che più si avvicina alla realtà, parlerebbe di un accoglimento parziale da parte del governo delle richieste di ArcelorMittal: non tout court, ovviamente. E non senza un’eventuale contropartita.
Si parla innanzitutto di dimezzare le unità da porre in esubero, che finirebbero nel perimetro di Ilva in Amministrazione Straordinaria. Si scenderebbe quindi dalle 5mila alle 2-2,5mila unità. Anche qui, è giusto dire la verità: il numero sugli esuberi non è stato messo inizialmente sul tavolo da ArcelorMittal, ma è stata la risposta alla domanda del premier Conte, nell’incontro della scorsa settimana, sul quanto ammonterebbe eventualmente il monte esuberi a fronte di una revisione strutturale dei termini produttivi da parte dell’azienda. Che può sembrare la stessa cosa ma così non è. Tra l’altro, i numeri su cui si ragiona, non si discosterebbero moltissimo dalle 2.300 unità che inizialmente, prima dell’accordo del 6 settembre 2018, la stessa multinazionale aveva previsto non rientrassero nel perimetro delle assunzioni che la stessa avrebbe voluto effettuare.
Dunque, in Ilva in AS potrebbero confluire altri 2,5mila operai, che si andrebbero a sommare agli attuali 1.660 già in cigs. Struttura commissariale che avrebbe dunque bisogno di maggiori fondi da parte dello Stato: non è un caso, evidentemente, se già ieri si è diffusa la notizia che i ministeri del Lavoro e del Sud, starebbero lavorando all’istituzione di un fondo pluriennale che partirebbe con 5-10 milioni, da destinare alla riqualificazione e reinserimento nel mondo del lavoro dei lavoratori già attualmente in Cig. Fondi da destinare eventualmente anche alle operazioni di bonifica per l’amianto.
Questo ‘aiuto‘ da parte del governo però, potrebbe prevedere come contropartita, la richiesta da parte del governo dell’ingresso dello Stato nel capitale sociale di AM InvestCo Italy (la newco attraverso la quale ArcelorMittal controlla il gruppo ex Ilva, e dove è presente con una quota pari al 5,6% Banca Intesa Sanpaolo), per controllare più da vicino l’attuazione futura del Piano Ambientale e del Piano Industriale. Che l’ingresso avvenga tramite Cassa Depositi e Prestiti (soluzione invocata da molti ma al momento non delle più semplici da percorrere, visto che il fondo del Ministero del Tesoro interviene per finanziare progetti e non può entrare in società in perdita per aggiustarne i conti), o attraverso Invitalia o altri soggetti sarà da vedere. Ammesso e non concesso che la multinazionale accetti tale contropartita.
Sullo sfondo un’altra ipotesi di cui parlammo settimane fa: la possiiblità che ArcelorMittal lasci l’intera area a caldo allo Stato, lasciando così il compito di effettuare gli interventi previsti dal Piano Ambientale, utilizzando soltanto l’area a freddo, in attesa di rientrarne in possesso degli impianti produttivi. Possibilità al momento tra le più remote.
Il secondo punto dirimente della eventuale trattativa, passerà inevitabilmente da un nuovo provvedimento legislativo, per ripristinare le tutele legali. Che sia focalizzato unicamente sulla vicenda dell’ex Ilva o meno, interessa marginalmente. Che sia una maggiore specificazione dell’art. 51 del Codice di Procedura Penale, anche. L’argomento è sin troppo banale per non riuscire a comprenderlo: e lo evidenziammo in tempi non sospetti all’ex ad Jehl nel giorno della conferenza stampa che sancì l’insediamento della multinazionale nel novembre del 2018. Proprio chi scrive pose una domanda molto chiara all’ex ad: ovvero su come intendessero procedere in merito alla questione riguardante il fatto che l’attuazione del Piano Ambientale, passasse inevitabilmente dal dover operare su impianti sotto sequestro giudiziario. Avevano intenzione di chiederne il dissequestro? Oppure erano tranquilli perché tutelati dalla famosa esimente penale? L’ex ad Jehl mi rispose con un laconico “stiamo lavorando su questa problematica e sicuramente avvieremo una proficua interlocuzione con la Procura di Taranto“. Abbiamo visto tutti com’è andata a finire.
Perchè la questione di tutto, è sempre lì. In fabbrica le prime linee e i dirigenti si rifiutano di operare in mancanza di una tutela che li preservi da un’eventuale rischio di finire nella rete della magistratura. Lo stesso avevano preteso i vecchi commissari straordinari di Ilva, così come ArcelorMittal e l’altra concorrente Jindal. Cosa che tutti coloro che sponsorizzano ancora oggi l’altra cordata, che non esiste più da oltre un anno oramai, si guardano bene dal dire. Così come le tutele legali valevano per gli attuali commissari che non risulta ne abbiano chiesto la sospensione.
Terzo punto altrettanto centrale, la questione che ruota attorno all’altoforno 2. Venerdì pomeriggio Conte ha incontrato a lungo il procuratore capo della Procura di Taranto, Carlo Maria Capristo. Il che spiegherebbe anche il ritardo con cui il premier sia arrivato in fabbrica. Appare al momento concreta la possibilità che la Procura accolga una nuova richiesta di proroga da parte dei commissari straordinari, per completare i lavori sull’altoforno 2, che altrimenti andrebbe spento entro il 13 dicembre. Vedremo cosa risponderà il giudice incaricato. Ma i commissari straordinari hanno già preannunciato la possibilità di rivolgersi nuovamente al tribunale del Riesame. Anche su questa vicenda, che ha visto la tragica morte di un giovane operaio, in tantissimi hanno speculato parecchio. Eppure, ancora oggi manca chiarezza su cosa sia successo effettivamente, e se l’incidente fu causato da un malfunzionamento dell’impianto (tesi della Procura e del custode giudiziario Valenzano) o se da un’operazione abituale al di fuori del protocollo aziendale andata male (tesi della struttura commissariale).
Appare invece più complicato che il governo possa accettare l’idea di rivedere la somma inerente l’affitto degli impianti del gruppo. Come abbiamo già avuto modo di evidenziare infatti, qualora l’addio di ArcelorMittal si concretizzasse, bisognerà fare i conti con il risarcimento dei creditori della procedura di amministrazione straordinaria per il fallimento dell’ex Ilva. Difatti, gli 1,8 miliardi di euro che ArcelorMittal si era impegnata a corrispondere per l’acquisto degli asset industriali del gruppo Ilva, erano completamente destinati al pagamento dei creditori sui 3,91 miliardi di euro accumulati negli anni dall’Ilva (tra commissariamento e amministrazione straordinaria). A cominciare dai 300 milioni di euro per ripagare il prestito dello Stato del 2015, per proseguire con i 230 milioni di euro del debito ipotecario con ipoteca sugli impianti. Tra gli 1,2 e gli 1,27 miliardi di euro dovevano servire a coprire prededuzione, TFR, e altri debiti privilegiati: vale a dire i lavoratori, i professionisti e le agenzie che hanno effettuato prestazioni lavorative all’interno dell’azienda. Per gli altri debitori la cifra a disposizione era compresa invece intorno ai 70 e più milioni di euro.
I mancati risarcimenti potrebbero portare ad aprire una nuova procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea per aiuti di stato, che la firma del contratto aveva disinnescato. Anche qui, facciamo chiarezza: l’eventuale nazionalizzazione dell’ex Ilva, potrebbe avvenire soltanto a prezzo di mercato: questo significa che lo Stato italiano potrebbe ‘comprare‘ l’ex Ilva soltanto per una cifra molto vicina agli 1,8 miliardi di euro.
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