E' successo a Bolzano. Il bimbo era arrivato dalla
Svezia il 1° ottobre, il 13enne è morto l'8 ottobre per arresto cardiaco dopo 2
ricoveri in ospedale: aveva trascorso diverse notti in strada, perché gli era
stata rifiutata accoglienza nonostante la grave malattia e nonostante la
famiglia avesse fatto domanda di protezione internazionale. L'assessore del
Comune: "Norma seguita alla lettera, a volte bisogna usare il
cervello". Dieci medici indagati
Un bambino di 13 anni che arriva dal Kurdistan
iracheno, malato di distrofia muscolare dalla nascita e costretto sulla
sedia a rotelle, non può dormire su un pavimento, né di una chiesa, né
di un albergo, né tantomeno sotto un ponte. Non nella civilissima Bolzano,
non nella provincia più ricca d’Italia. Eppure è accaduto una decina di giorni
fa al piccolo Adan, morto in ospedale una
settimana dopo il suo arrivo in Italia. È stata aperta un’inchiesta con dieci medici indagati, le associazioni di volontariato hanno denunciato e hanno accusato la Provincia di Bolzano di aver emanato una circolare, la cui applicazione ha ostacolato l’assistenza al bambino e alla sua famiglia. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha chiesto di fare chiarezza sull’accaduto, mentre la Campagna LasciateCIEntrare racconta a ilfattoquotidiano.it che in tutta Italia continuano a morire vittime invisibili della ‘mala accoglienza’.
E mentre veniva applicata la circolare della Provincia, le
istituzioni più vicine cosa facevano? ilfattoquotidiano.it lo
ha chiesto all’assessore ai Servizi Sociali del Comune, Sandro Repetto.
“È vero che ci sono comuni come il nostro che stanno vivendo una situazione di emergenza
– ha risposto – è vero anche che non possiamo accogliere tutti e che abbiamo
bisogno del sostegno dell’intero territorio, ma in questo caso c’è stata una falla
di fronte alla quale non mi tiro certo indietro. In certi casi, più che
l’applicazione di questa o quella circolare, bisogna utilizzare il cervello”.settimana dopo il suo arrivo in Italia. È stata aperta un’inchiesta con dieci medici indagati, le associazioni di volontariato hanno denunciato e hanno accusato la Provincia di Bolzano di aver emanato una circolare, la cui applicazione ha ostacolato l’assistenza al bambino e alla sua famiglia. Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha chiesto di fare chiarezza sull’accaduto, mentre la Campagna LasciateCIEntrare racconta a ilfattoquotidiano.it che in tutta Italia continuano a morire vittime invisibili della ‘mala accoglienza’.
LA STORIA DI ADAN – E bisogna sapere chi si ha di
fronte. Chi era Adan? Insieme ai genitori e ai tre fratelli più piccoli di 6,
10 e 12 anni, il bambino era scappato nel 2015 da Kirkuk, a 250 chilometri
da Baghdad ed era arrivato in Svezia, dove la sua famiglia aveva chiesto
la protezione internazionale come rifugiata. Dopo due anni di attesa, la
richiesta è stata rifiutata: o ritornavano tra le montagne del Kurdistan o
cercavano asilo in un altro Paese. Hanno scelto l’Italia e il 1° ottobre
sono arrivati a Bolzano. La prima notte Adan e la sua famiglia l’hanno passata sotto
un ponte. Il giorno dopo hanno chiesto assistenza prima al servizio Consulenza
Profughi della Caritas e poi a un’associazione di volontariato.
Quella stessa notte Adan è stato portato all’ospedale San Maurizio di Bolzano
per problemi di respirazione e dolori in tutto il corpo. Il giorno dopo, il 3
ottobre, il padre e gli altri tre figli sono andati in Questura per la richiesta
protezione internazionale. La notte loro hanno dormito in albergo, grazie
all’associazione SOS Bozen che ha pagato la stanza, mentre Adan ha
dormito in ospedale assieme alla madre. Mercoledì, dopo una visita, Adan è
stato dimesso dall’ospedale e alla madre è stato detto che il ragazzino non
aveva in quel momento problemi cardiaci. Lasciata la struttura sanitaria, la
famiglia ha trascorso la giornata e quelle a seguire nel parco della
stazione di Bolzano. Per la notte, con l’aiuto delle associazioni di volontariato,
hanno trovato posto in un albergo, che però non era dotato di ascensore. E
poiché Adan non poteva salire in camera, lui e il padre hanno dormito sul
pavimento di una sala di un centro giovanile. Poi, di giorno, di nuovo nel
parco della stazione e la notte su un altro pavimento, quello della chiesa
evangelica, “l’unica – hanno denunciato le associazioni – ad aver aperto le
porte”.
GLI ULTIMI GIORNI – Venerdì 6 ottobre è stata
formalizzata la richiesta di protezione internazionale, ma in assenza di un
mediatore linguistico-culturale. Dopo aver lasciato la Questura, mentre la
famiglia si dirigeva alla mensa Caritas, a mettersi contro il destino di Adan
anche le barriere architettoniche. Il bambino è caduto dalla sedia a
rotelle ed è stato ricoverato in ospedale. E si è scoperto che era in atto
un’infezione. Il 7 ottobre Adan è stato trasferito dal reparto di Rianimazione
a quello di Pediatria chirurgica, sotto morfina, ingessato a entrambe le gambe.
Niente mediatore neppure in ospedale. Quella notte la febbre è salita e Adan è
stato riportato in Rianimazione. I polmoni si sono riempiti di sangue. Poi non
ha potuto più respirare ed è morto per arresto cardiaco alle 2.
L’INCHIESTA E LA DENUNCIA DELLE
ASSOCIAZIONI – Sono
dieci i medici dell’ospedale di Bolzano iscritti nel registro degli indagati
per la morte di Adan. L’inchiesta della procura segue due filoni: oltre a
quello per omicidio colposo che riguarda i due ricoveri in ospedale del
13enne e che vede indagati 10 medici dell’ospedale San Maurizio, si
indaga anche per l’ipotesi di reato di omissione d’atti d’ufficio e la mancata
accoglienza della famiglia in strutture ufficiali. Da subito le
associazioni SOS Bozen e Antenne Migranti hanno denunciato che
“il servizio Consulenza Profughi della Caritas ha segnalato alle istituzioni
(Servizio integrazione sociale, commissariato del Governo, Provincia) la
situazione della famiglia, ma l’unica risposta è stata che non potevano
ricevere accoglienza a causa di una circolare firmata un anno fa dal
direttore Ripartizione politiche sociali della Provincia Luca Critelli.
Con questa circolare la Provincia ha revocato la possibilità di essere accolti
a tutti quelli che, benché vulnerabili, arrivano sul territorio dopo aver già
fatto richiesta di asilo in altri Paesi. Insomma a tutti quelli non inviati
direttamente dal Ministero. Sulla carta la famiglia di Adan, avendo scelto
volontariamente di non rientrare in Kurdistan, non sarebbe più potuta rientrare
nel circuito dell’assistenza. Ma in pratica era una famiglia con quattro
bambini, di cui uno malato.
LA CIRCOLARE – Ma cosa dice la circolare? “Sono
escluse dall’accoglienza temporanea quali soggetti ‘vulnerabili’ le persone
presenti in altri Stati, europei e non, nei quali era presente la possibilità
di chiedervi asilo, nonché le persone per le quali sia riscontrabile una
presenza anche temporanea in altre regioni italiane”. Ecco fatto, chiuse le
porte. Eppure nella circolare si legge: “Nel caso di famiglie o genitori
singoli la possibilità di accoglienza è data in presenza di bambini di età
inferiore a 14 anni”. Adan ne aveva 13. E ancora: “Per le altre
situazioni di vulnerabilità previste dalla normativa i requisiti per lo status
di soggetto vulnerabile andranno adeguatamente verificati e documentati
nella proposta di accoglienza”. Già, verificati. Un accertamento che non c’è
stato. Serviva altro tempo, che a Adan non è stato concesso. Un anno fa su
questa circolare Sel depositò anche una interrogazione parlamentare. La Campagna
LasciateCIEntrare continua a chiederne l’immediata revoca da parte della
Provincia di Bolzano: “In questo caso si trattava di soggetti vulnerabili che
dovevano essere accolti in ottemperanza alla normativa nazionale ed europea”. L’Unhcr
ha chiesto che vengano chiarite le responsabilità nella gestione
dell’accoglienza a livello locale e che venga abrogata la circolare Critelli
che limita il diritto all’accoglienza, in particolare per le persone
vulnerabili, “in palese violazione della normativa sull’accoglienza delle
persone portatrici di esigenze specifiche”. L’agenzia Onu ha fatto
appello alla Provincia di Bolzano e al Commissariato di governo affinché
vengano definitivamente chiarite le responsabilità nella gestione
dell’accoglienza a livello locale.
L’ASSESSORE AI SERVIZI SOCIALI: “È VERO,
C’È STATA UNA FALLA” – ilfattoquotidiano.it ha
chiesto all’assessore alle Politiche sociali del Comune di Bolzano che opinione
si sia fatto della situazione. “La circolare – ha detto – è una interpretazione
restrittiva della normativa nazionale. Capisco le ragioni da cui parte,
dato che le città di frontiera subiscono le conseguenze di richieste di asilo
respinte da altri Paesi europei, ma è chiaro che in questa circostanza c’è
stata una falla. Una serie di circostanze ed errori che hanno portato a
drammatiche conseguenze”. Un caso estremo? “Sì lo era, ma andava verificato
e non è stato fatto. Anche perché è stata applicata alla lettere la circolare,
mentre bastava guardare le condizioni di Adan per comprenderne la
vulnerabilità. È chiaro che qualcosa va rivisto”. Una storia drammatica che dà
il polso di ciò che accade. “Il rischio è che questa
diventi un’altra Ventimiglia – spiega Repetto -. Per questo abbiamo
chiesto un aiuto a tutto il territorio della provincia dove ci sono più
possibilità, rispetto al capoluogo, di accogliere queste persone. Pensiamo all’agricoltura
piuttosto che al turismo”. In questi giorni c’è stato un incontro con la
Provincia “con l’obiettivo di individuare uno sportello unico, anche
attraverso la Questura e le associazioni di volontariato, per la gestione dei casi
vulnerabili”.
NON SOLO ADAN – “Quella di Adan è sicuramente una
storia particolare – spiega a ilfattoquotidiano.it Gabriella
Guido, portavoce della Campagna LasciateCIEntrare – ma che si
inserisce in una situazione purtroppo ordinaria, perché quanto accaduto a Adan
in termini di mancata risposta da parte delle istituzioni, accade a molti”.
Nelle ultime settimane sono almeno altri due i casi di ragazzi, soggetti
vulnerabili, che hanno perso la vita a causa della mala accoglienza. “È
successo in Calabria a un ragazzo affetto da tumore e in Puglia,
a un altro giovane ospite di un centro che si lamentava da giorni. Sono stati
abbandonati a loro stessi. Sono morti invisibili. E dato che non erano
minorenni la loro scomparsa non ha fatto clamore”. Impossibile fare un
censimento “perché molti non sono neppure registrati ed è facile per le
istituzioni locali appellarsi alle leggi nazionali di riferimento e lavarsene
le mani”. Queste storie ricordano quella di Ibrahim
Manneh, un ragazzo ivoriano di 24 anni, morto la scorsa estate per ‘addome
acuto’ all’ospedale Loreto Mare di Napoli, dopo un vero e proprio calvario
tra visite in ospedale e farmacie, fino al rifiuto di un tassista di
accompagnarlo all’ospedale senza l’autorizzazione della polizia. Tanto che il
fratello e gli amici hanno dovuto caricarlo sulle spalle fino alla guardia medica.
Da qui la corsa in ambulanza per raggiungere l’ospedale dove si è morto poco
dopo.
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