Nicoletta Dosio,
uno dei cinque esponenti No Tav finito nel mirino della procura
Accolto ricorso pm su Valsusa: non serve forza per
convincere operai a stop
Anche una forma di pressione non violenta ma basata
sulla "forza del numero" nei confronti degli operai, come piazzarsi davanti a
una trivella nel cantiere della Tav, spesso oggetto di contestazioni, può essere
reato. Perché, infatti, si realizzi il reato di violenza privata "non si impone
che emergano gli estremi di una palesata energia fisica, né che ricorrano
comportamenti di manifesta valenza intimidatrice".
"Uno stato di coartazione psicologica" può prodursi "in capo a chi lavori in un contesto quotidianamente soggetto ad iniziative di pressione e manifestazioni di protesta, quando il lavoratore
si trovi al cospetto di più soggetti che dimostrano il chiaro intento di interrompere le attività", pur senza esplicite minacce. Lo sottolinea la Cassazione che ha accolto il ricorso della procura di Torino contro l'ordinanza con cui il Riesame aveva annullato le misure cautelari per cinque manifestanti residente in Val di Susa indagati per aver ostacolato uno dei cantieri della Tav.
Il Tribunale del Riesame aveva annullato il divieto di dimora in Val di Susa e l'obbligo di firma disposti a vario titolo per i manifestanti, tra cui un'insegnante in pensione (Nicoletta Dosio, la pasionaria No Tav), ritenendo che non ricorresse a carico degli indagati il presupposto dei gravi indizi di colpevolezza per il reato contestato, che è concorso in violenza privata aggravata. I manifestanti si erano piazzati davanti alla trivella, e gli operai in attesa di ricevere istruzioni al telefono avevo sospeso i lavori di propria iniziativa, avendo compreso che ci sarebbero stati problemi analoghi a quelli già accaduti in altri cantieri. Secondo il Riesame non vi erano state reali intimidazioni, avendo gli operai manifestato una sorta di "rassegnazione per evitare 'grane'", e ritenendo che la loro volontà non fosse stata "coartata in modo significativo da una pensionata della scuola e da due ragazzi". Un altro episodio contestato è un sit in all'interno del cantiere, che aveva costretto i carabinieri a sollevare di peso i manifestanti per portarli via. Anche in questo caso, secondo il riesame, ciò avvenne senza fare ricorso a forme significative di intimidazione.
Secondo il ricorso della procura la violenza privata sussiste anche nel caso di "coartata sopportazione di condotta altrui", con forme di "violenza impropria", dove la coartazione non trae origine da minacce esplicite e violenze alla persona, ma semplicemente da una situazione che di fatto "restringe la libertà di autodeterminazione e azione della vittima". E anche la Cassazione (sentenza n. 48369 della quinta sezione penale) sottolinea che "la rassegnazione degli operai nel sospendere i lavori, dinanzi all'ennesima manifestazione di protesta, non vale ad escludere l'intento prevaricatore di chi, anche con la forza del numero, si pose a sedere davanti ai macchinari, fino a costringere i carabinieri intervenuti a sollevare di peso chi, all'evidenza, non si disponeva ad aderire alle richieste di rimuovere una situazione illegittima cui aveva di fatto dato causa"
"Uno stato di coartazione psicologica" può prodursi "in capo a chi lavori in un contesto quotidianamente soggetto ad iniziative di pressione e manifestazioni di protesta, quando il lavoratore
si trovi al cospetto di più soggetti che dimostrano il chiaro intento di interrompere le attività", pur senza esplicite minacce. Lo sottolinea la Cassazione che ha accolto il ricorso della procura di Torino contro l'ordinanza con cui il Riesame aveva annullato le misure cautelari per cinque manifestanti residente in Val di Susa indagati per aver ostacolato uno dei cantieri della Tav.
Il Tribunale del Riesame aveva annullato il divieto di dimora in Val di Susa e l'obbligo di firma disposti a vario titolo per i manifestanti, tra cui un'insegnante in pensione (Nicoletta Dosio, la pasionaria No Tav), ritenendo che non ricorresse a carico degli indagati il presupposto dei gravi indizi di colpevolezza per il reato contestato, che è concorso in violenza privata aggravata. I manifestanti si erano piazzati davanti alla trivella, e gli operai in attesa di ricevere istruzioni al telefono avevo sospeso i lavori di propria iniziativa, avendo compreso che ci sarebbero stati problemi analoghi a quelli già accaduti in altri cantieri. Secondo il Riesame non vi erano state reali intimidazioni, avendo gli operai manifestato una sorta di "rassegnazione per evitare 'grane'", e ritenendo che la loro volontà non fosse stata "coartata in modo significativo da una pensionata della scuola e da due ragazzi". Un altro episodio contestato è un sit in all'interno del cantiere, che aveva costretto i carabinieri a sollevare di peso i manifestanti per portarli via. Anche in questo caso, secondo il riesame, ciò avvenne senza fare ricorso a forme significative di intimidazione.
Secondo il ricorso della procura la violenza privata sussiste anche nel caso di "coartata sopportazione di condotta altrui", con forme di "violenza impropria", dove la coartazione non trae origine da minacce esplicite e violenze alla persona, ma semplicemente da una situazione che di fatto "restringe la libertà di autodeterminazione e azione della vittima". E anche la Cassazione (sentenza n. 48369 della quinta sezione penale) sottolinea che "la rassegnazione degli operai nel sospendere i lavori, dinanzi all'ennesima manifestazione di protesta, non vale ad escludere l'intento prevaricatore di chi, anche con la forza del numero, si pose a sedere davanti ai macchinari, fino a costringere i carabinieri intervenuti a sollevare di peso chi, all'evidenza, non si disponeva ad aderire alle richieste di rimuovere una situazione illegittima cui aveva di fatto dato causa"
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