Considerando
la situazione di alcune settimane fa, può sembrare incredibile che
l’installazione dei tornelli al fine di controllare l’accesso alla
biblioteca del 36, ed il successivo ingresso della celere in università,
abbiano dato vita ad un movimento la cui estensione e partecipazione
non si vedevano, in ambito universitario, dai tempi dell’Onda.
Tuttavia,
per comprendere pienamente la funzione della limitazione all’accesso
alla biblioteca, e la determinata risposta di una parte rilevante della
comunità studentesca, è necessario comprendere la portata simbolica del
tornello.
I
tornelli, infatti, non hanno solo a che vedere con l’accesso alla
biblioteca, ma rappresentano una determinata concezione dell’università
e, di conseguenza, dello studente, del momento formativo e
dell’immaginario ad esso collegato.
Il
tornello non è solo un dispositivo securitario di controllo, che
permette di monitorare l’ingresso alla biblioteca, identificando chi vi
accede. Il tornello funge da barriera, quale strumento di separazione di
un mondo, quello accademico, dal contesto in cui questo è collocato,
ossia piazza verdi, da sempre luogo di incontro, socialità, produzione
culturale: il tornello interrompe la commistione e la connessione del
mondo universitario e dei suoi soggetti con il tessuto urbano, i suoi
problemi e le sue lotte.
Oltre
all’aspetto securitario, l’installazione del tornello (per di più in un
luogo anomalo quale il 36) ridefinisce l’idea di biblioteca, delle
attività che vi si svolgono e dei suoi frequentatori.
I
tornelli all’entrata si contrappongono all’idea di biblioteca quale
luogo di studio e apprendimento di un sapere critico che permette di
interrogare il presente e comprenderne le dinamiche, quale luogo di
incontro, di confronto, di socialità, di condivisione dei saperi non
solo tra studenti, ma anche con soggetti esterni. I tornelli si
contrappongono ad un’università aperta, che grazie alla connessione con
il tessuto sociale è (stata) una straordinaria fucina di sapere critico,
di pensiero alternativo che stravolge gli schemi precostituiti e cerca
di fornire interpretazioni approfondite del reale; un’università che,
proprio perché concentrata sull’analisi delle dinamiche del presente,
può e deve essere attraversata anche da chi non vi sia iscritto.
Il
tornello invece, simbolo di un contesto assiologico produttivista,
elitario ed escludente, rappresenta e rafforza un’idea diametralmente
opposta: l’università come luogo in cui apprendere nozioni utili
solamente al fine di trovare un lavoro, la biblioteca quale luogo di
studio nozionistico, dove i contatti con gli altri studenti si
trasformano in rapporti tra colleghi e dove l’obiettivo diviene
solamente il superamento dell’esame con il migliore voto possibile,
poiché il momento della valutazione svolge un ruolo determinante nella
procedura di selezione di coloro che saranno i più competenti ed
appetibili sul mercato. Secondo tale prospettiva, se ciò che viene
insegnato e studiato sono solo nozioni spendibili nel contesto
lavorativo, la cui acquisizione è certificata dal conseguimento della
laurea o di un master, nessun esterno può avere interesse a frequentare
una lezione od una conferenza.
Il
tornello rappresenta un’università asettica e funzionale alle esigenze
delle imprese, del tutto chiusa rispetto al contesto sociale
circostante, estranea alle dinamiche dei territori.
Il
tornello impone la privatizzazione di uno spazio, prima pubblico e
libero, ed ora accessibile solamente per chi abbia uno scopo funzionale.
Ancora,
il tornello raffigura l’esclusività dell’accesso alla biblioteca e, di
conseguenza, alla conoscenza, che viene riservato solamente a coloro che
possono pagare un’esosa retta annuale. Da questo punto di vista, il
tornello funge quale barriera tra coloro che hanno i mezzi per accedere
alla formazione universitaria e coloro che invece non li hanno: il
tornello riproduce la barriera di classe che separa coloro che possono
ambire ad una possibilità in un mondo dove domina la logica
concorrenziale e coloro che, invece, hanno già perso in partenza. Vi è
una saldatura metaforica tra il tornello ed altre barriere – non
fisiche, ma economiche e, quindi, di classe – quali l’introduzione del
numero chiuso per svariati corsi universitari, o l’aumento esponenziale
delle rette.
Questa
concezione dell’università e della conoscenza comportano altresì una
determinata visione dello studente. Lo studente non è più soggetto
attivo che partecipa ad uno scambio costante con coloro con cui
interagisce, inserito in un contesto sociale plurale e diversificato, ma
è soggetto passivo, che consuma un determinato prodotto (la formazione
universitaria) funzionale al successo nella competizione del mondo del
lavoro. Lo studente diventa consumatore, la formazione e la conoscenza
non attengono più alla sfera dei bisogni e dei diritti, ma sono
considerate come servizi.
Tramite
la ricezione acritica dei contenuti che gli vengono proposti, lo
studente deve interiorizzarne la logica ed accettare con entusiasmo un
mondo che gli viene presentato come il migliore di quelli possibili. Lo
studente diviene soggetto plasmato e funzionalizzato rispetto alla
razionalità neoliberale, abituato a pensare nei termini imprenditoriali
di costi e benefici, mosso dal criterio valutativo dell’utile. Questa
concezione dell’università, del soggetto che la frequenta e dei saperi
che essa produce è volta a disciplinare e funzionalizzare la conoscenza
rispetto alle esigenze imprenditoriali.
Tale
progettualità si rafforza tramite la narrazione di un futuro pieno di
possibilità da cogliere per i meritevoli che sappiano mettersi in gioco
in un mondo pieno di sfide e che sappiano realizzarsi nel perseguimento
di obiettivi eteroimposti, ma perfettamente interiorizzati. La
biblioteca sbarrata da un tornello trasforma il momento dello studio,
imponendo una concezione produttivista, secondo la quale occorre dare
tutte le proprie energie al fine di primeggiare al momento dell’esame:
sin dal momento della formazione lo studente viene abituato
all’accettazione acritica del presente, della sua naturalità ontologica e
della logica dei sacrifici necessari al successo, faro dell’universo
desiderante e simbolo di realizzazione personale.
È per
questi motivi che il tornello non è soltanto una noiosa porta da aprire
con un tesserino, ma porta con sé una visione dell’accademia e dei
soggetti che la frequentano fondamentali per il progetto di
ristrutturazione neoliberale ed al quale occorre opporsi con ogni mezzo,
portando un’analisi, una visione ed una progettualità politiche che
siano all’altezza della sfida.
I
tornelli vanno divelti, ma è altresì necessario combattere frontalmente
l’universo che due porte di vetro si portano dietro: è il mondo che essi
rappresentano che va abbattuto dalle fondamenta, e con esso anche la
concezione dell’università e dello studente che gli sono proprie.
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