sabato 25 febbraio 2017

pc 25 febbraio - Per il dibattito sul lavoro con i migranti - Je so' pazzo Napoli

Ciao a tutti,

cerchiamo di rispondere alle sollecitazioni al dibattito che arrivano su questa mailing-list anche attraverso il lavoro che stiamo facendo. Questo perché crediamo sia estremamente utile il racconto delle concrete esperienze di lotta che si stanno portando avanti, anche al fine di cercare di capirsi sui reali processi che si stanno sviluppando e le eventuali distanze...
Per tale motivo come prima cosa giriamo i primi post a proposito dell’ultima assemblea (domenica) dei migranti ospitata e che abbiamo contribuito a organizzare all’ex-Opg “Je so’ pazzo”.
L’assemblea è stata molto partecipata e in quasi tutti gli interventi, più che le specifiche situazioni, si sono affrontati temi e rivendicazioni che... hanno riguardato il permesso di soggiorno, la necessità della lotta per i propri diritti e dell’unità, le battaglie contro il razzismo e contro i provvedimenti del Governo. Gli immigrati o migranti presenti erano sopratutto provenienti dai centri di accoglienza straordinaria e diversi che invece si trovano al di fuori del circuito dell’accoglienza.

Come questa assemblea, anche le lotte che si stanno sviluppando a Napoli e provincia dentro e fuori il sistema dell’accoglienza sono lotte che hanno a che fare con le diverse tematiche e rivendicazioni. Le principali tra queste riguardano l’ottenimento del permesso di soggiorno, i tempi di permanenza ai quali sono costretti in tali centri, i dinieghi da parte delle commissioni territoriali, le condizioni di vita nei centri di accoglienza straordinaria, ecc...
Molte delle mobilitazioni, delle proteste, delle denunce, delle rivendicazioni o delle rivolte che si sviluppano nei centri hanno a che fare con mancanze evidenti in merito alla vivibilità di tali centri,
con l’erogazione del pocket money, con la presenza di minori nei centri per adulti, con le condizioni igieniche, con l’accesso alle informazioni, con la presenza di donne in centri per uomini, con i maltrattamenti che si subiscono nei centri di accoglienza, con la mancanza di assistenza sanitaria.
Queste lotte, che ci piaccia o no, esistono e gli immigrati le stanno portando avanti. Noi, nel nostro piccolo stiamo cercando di documentarle, sostenerle e fornire loro gli strumenti (spazi fisici da utilizzare, contatti, individuazione delle responsabilità, visibilità, logistica, ecc…) per renderle più incisive e efficaci.
Gli immigrati stessi che ne sono protagonisti sanno benissimo e meglio di chiunque altro che sono battaglie che giocano su un piano diverso e subordinato a quelle legate all’ottenimento del permesso di soggiorno (e non ne vedono certo una contraddizione), ma quando per mesi si trovano a vivere condizioni degradanti e a non ricevere il pocket money e a mangiare cibo avariato e a patire il freddo nei centri, nel frattempo, si mobilitano, resistono, lottano e a volte vincono migliorando parzialmente la loro condizione.
Non parliamo qui di “verniciature dorate alle sbarre della gabbia” ma della naturale rabbia e protesta di persone che si trovano a vivere in centri che formalmente non sono detentivi, ma che esercitano una fortissima pressione repressiva (al di là di come poi effettivamente funzionino i singoli Cas).

Questo è quello che sta succedendo e non ha nulla da fare con una astratta riformabilità del sistema dell’accoglienza (che, ci teniamo a dirlo, non esiste).
Come compagni non dimentichiamo che lo Stato è il comitato d’affari della borghesia e che quindi, il semplice passaggio in mano statale della gestione del circuito dell’accoglienza non può essere un reale cambiamento radicale che metta in discussione il ruolo repressivo di tale dispositivo.
“Vogliamo appartamenti e non più alberghi, la possibilità di scegliere e cucinare il cibo che mangiamo, la possibilità di entrare ed uscire liberamente non con degli orari imposti da qualcun altro, la possibilità di stare fuori per più di tre giorni. Non vogliamo la sorveglianza, non siamo criminali, non vogliamo dipendere dal mediatore per sapere del nostro permesso, della nostra vita, non vogliamo vivere sotto il ricatto di essere cacciati se diciamo che c’è qualcosa che non va. Vogliamo chiamare il posto in cui stiamo casa e non campo.” [Per riportare le parole di uno dei migranti durante una delle giornate di monitoraggio nei centri di accoglienza come Controllo Popolare Cas].

Ecco noi intendiamo questo, non vogliamo che quello che c’è ora venga semplicemente gestito dallo Stato. Chiediamo alloggi dignitosi, servizi e diritti, di certo non vincolati alla repressione come contropartita.
Ovviamente è sotto gli occhi di tutti che nessun immigrato vuole stare nei centri a meno che non ne sia costretto “direttamente” tramite la coercizione e il ricatto del permesso di soggiorno o “indirettamente” non avendo altro posto dove andare. Questo è chiaro a chiunque abbia a che fare realmente con le lotte che gli immigrati stessi sviluppano nei centri. Come è stato scritto “quello che vogliono è ben altro”.
Nel frattempo però, quando si trovano in centri di accoglienza gestiti dalla Camorra o da associazioni che si spacciano per essere di “sinistra” ma che si rivelano profondamente razziste e repressive, quando le loro condizioni di vita in quei centri vengono considerate inaccettabili, si organizzano e lottano per il miglioramento delle loro condizioni di vita e per l’ottenimento dei propri diritti.

Preso atto di ciò e dato che mi pare che si fa confusione su tante cose, cerchiamo di dire le cose nella maniera più chiara possibile. Non esiste un “diritto all’accoglienza” in termini astratti.
Esiste l’imperialismo che fa sì che migliaia di persone raggiungano le nostre coste e esistono le lotte per far sì che, nel quadro attuale, il nostro paese le accolga. Il diritto all’accoglienza è quindi una parola che ha a che fare con il diritto al permesso di soggiorno, al lavoro, alla casa, alla mediazione linguistica, ai servizi sociali, alla residenza, alla salute e non certo con il sistema dell’accoglienza e le sue articolazioni repressive sul territorio...

Non stiamo qui parlando della riformabilità del sistema dell’accoglienza, ma la possibilità per gli immigrati che sono nel nostro paese di accedere ai diritti e lottare per un loro progressivo ampliamento. Ampliamento che non può che avere a che fare con la lotta per la demolizione del sistema dell’accoglienza stesso per come lo conosciamo...
Al massimo “siamo pronte ad ascoltare i bisogni e sostenere le mobilitazioni che partono dai centri d'accoglienza nel rispetto dell'autonomia dei soggetti interessati e ripudiando qualsiasi soluzione “umanitaria” e assistenzialistica.” E questo sta avvenendo con le assemblee e i presidi su permesso di soggiorno, condizioni nei centri, maltrattamenti, ecc…

Nei centri d’accoglienza si lotta nella situazione concreta a proposito delle contraddizioni che emergono in quel contesto. Alcune di queste battaglie passano per l’ottenimento di alcune piccole\grandi vittorie (chiusura dei centri peggiori, cercare di togliere alla malavita la gestione di alcuni centri, ottenimento di alcune rivendicazioni interne – pocket money, cibo, acqua calda, calore – capacità di controllo e monitoraggio di tali situazioni, ecc..). Ciò non toglie che il sistema dell’accoglienza deve essere eliminato per come lo conosciamo e sostituito con abitazioni dignitose, accesso reale al sistema sanitario, mediazione e apprendimento linguistico, assistenza medica, ecc.
Come è possibile vedere contraddizione tra le due cose?

La possibilità che alcune lotte sul territorio modifichino in meglio le condizioni di vita dei migranti nei centri di accoglienza non centra nulla con un presunto “aspetto umanitario”, così come le lotte per l’aumento del salario non sono certo il “volto umanitario” della lotta per l’abolizione del lavoro salariato...
Per chiudere. “Per noi si tratta di un sistema di controllo e gestione che spesso abbiamo descritto come una "gabbia dorata", nella quale tutte le persone che fanno ingresso nella penisola sono obbligate a passare, tranne quelle direttamente espulse.” Non possiamo che essere d’accordo. E quindi?

Le lotte si sviluppano anche nelle gabbie e contro le gabbie più o meno dorate o insanguinate che siano e pensiamo sia importante sostenerle tanto nelle loro rivendicazioni più generali e strutturali che nelle rivendicazioni immediate che vi si sviluppano. Che centra questo con l’irriformabilità dell’esistente?

Sul dibattito sullo Stato, sulla necessità della rottura rivoluzionaria e sulla dialettica tra tale rottura e le lotte “parziali” possono pure esistere alcune differenze che non nascono oggi, e per tale motivo ci sembra difficile che troviamo la quadra in questa mailing-list. Se su questo ci sono delle differenze che restano, far passare per umanitari i compagni è profondamente scorretto.

Ciao a tutti,
ex-Opg di Napoli – “Je so’ pazzo


ps: sempre al fine di essere esaurienti, qualche mese fa stilammo anche il cosidetto programma post-elettorale che, attraverso le varie attività che portiamo avanti all’ex-OPG (immigrazione, doposcuola, sanità, lavoro, ecc…) ha cercato di elaborare una serie di punti che potessero essere una piattaforma rivendicativa da portare sul piano locale all’amministrazione che è uscita vittoriosa dalle ultime elezioni comunali qui a Napoli e in varie municipalità cittadine.

Dato che non aveva molto senso chiedere in una piattaforma che nasceva dal lavoro delle attività sociali e che era rivolta alle municipalità e al Comune di una città, rivendicazioni del tipo “Lavoro: abolizione del lavoro salariato; Immigrazione: abolizione della Bossi-Fini e dei confini; Scuola: gratuita per tutti e abolizione della Buona-scuola”, si è cercato di elaborare insieme alle persone che utilizzano i nostri spazi, che partecipano alle nostre attività sociali e con le quali portiamo avanti le nostre battaglie un programma che potesse, anche sul piano locale, ottenere dei miglioramenti e delle vittorie e che permettessero a tali lotte di dotarsi di ulteriori strumenti utili a rilanciare su un piano più generale, complessivo e radicale.

Per questo scrivevamo che “Noi invece vogliamo una città che pratichi la solidarietà e l’antirazzismo” e cercavamo di elaborare strumenti che potessero portare al potenziamento del lavoro di monitoraggio e controllo sulle condizioni dei centri di accoglienza del territorio napoletano attraverso la costruzione di comitati in cui collettivi, associazioni di immigrati, singoli ecc, potessero avere una ulteriore arma da utilizzare contro il circuito dell’accoglienza e verso un suo definitivo scardinamento (che difficilmente è possibile che avvenga isolatamente solo all’ombra del Vesuvio). Solo un nuovo e ulteriore strumento per ottenere: “un’assistenza sanitaria e un’assistenza legale efficiente, adeguati mediatori culturali, l’erogazione del pocket money, il rispetto di condizioni igienico-sanitarie consone, raccogliere segnalazioni di eventuali malfunzionamenti o denunce di maltrattamenti, controllare se effettivamente vengono garantiti i diritti elementari dei migranti, e vigilare costantemente affinchè sia trasparente la gestione dei fondi pubblici destinati ai centri”.

Con alcuni rapporti di forza o condizioni oggettive presenti sul locale è possibile anche ottenere che il sistema di gestione emergenziale dei centri di accoglienza (che sempre più mostra la sua feroce realtà) sia ridimensionato rispetto a quello degli Sprar (senza che per questo si pensi che l’Italia debba mettere tutti gli immigrati negli Sprar), o che la gestione delle cooperative, tutta tesa al profitto, possa essere parzialmente sostituita e contrastata da una gestione presa in mano dal Comune di Napoli e che sicuramente ne garantirebbe standar di vivibilità più elevati e il fatto che siano tolte di mezzo alcune delle cooperative “peggiori”.

Nessuna nazionalizzazione dell’accoglienza, solo rivendicazioni che erano calate all’interno delle contraddizioni che si sviluppano nel sistema dell’accoglienza.

In ogni caso torniamo a pensare che questo dibattito rischia di essere astratto se non è calato nell’analisi delle reali lotte e ribellioni concrete che gli immigrati sviluppano e senza ragionare sul ruolo dell’imperialismo e del contrasto allo stesso rispetto alle questioni dell’immigrazione.

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