(da Tavolo 4)
La condizione
delle operaie, delle lavoratrici più sfruttate viene taciuta, non se
ne parla, al massimo compare in qualche statistica di inserti dei
giornali, o in qualche inchiesta scoop, che resta appunto solo uno
'scoop' (normalmente, devono morire le lavoratrici perchè appaiano
sui giornali, o entrino in qualche reportage). Eppure le lavoratrici
stanno subendo attacchi come non mai, sono le prime vittime delle
politiche del padronato, del jobs act del governo Renzi.
Ma non se ne deve
parlare. Perchè la loro condizione mette a nudo tutto il sistema di
sfruttamento e oppressione, sul luogo di lavoro e fuori, fatto di
attacchi alle condizioni di lavoro, discriminazioni, fino ai ricatti
sessuali.
Gli stessi
sindacati confederali, tacciono o parlano solo quando la condizione
delle donne esplode, spesso tragicamente, come le braccianti
quest'estate; non organizzano le lotte, anzi le impediscono - la Fiom
al massimo esce ogni tanto con qualche utile inchiesta, ma poi
frenano le lavoratrici che agiscono, come alla Sata di Melfi, e fa di
una questione di dignità, un misero punto di una inutile
piattaforma.
MA LE LAVORATRICI NON NE POSSONO
PIU'!
Le operaie della Sata di Melfi, come
degli altri stabilimenti Fca, sono stanche dopo poche ore di lavoro,
esaurite dalla fatica. Nelle
brevi pause di 10 minuti devono decidere se andare nei bagni lontani,
dove devono sbrigarsi anche nei giorni del ciclo, o mangiare un
panino; i turni stressanti, i ritmi e i carichi di lavoro attaccano
anche la loro salute riproduttiva; gli ultramoderni sistemi di
intensificazione del lavoro di Marchionne (Ergo Uas) portano per le
operaie ad una condizione da medioevo. Devono poi sentirsi anche
offese, umiliate, se chiedono una tuta blu per evitare l'imbarazzo di
macchie nel periodo delle mestruazioni. Quando escono sfinite
dalla fabbrica, nei giorni di riposo – dicono le operaie - non
possono riposarsi, perché a casa ricominciano con le faccende
domestiche, i figli, ecc.
Le
braccianti dicono: “Ci sentiamo le schiave del terzo millennio”.
Sono
pagate
poco più di venti euro al giorno, per dieci, dodici ore di lavoro,
anche 15 nei magazzini; sono a nero o con una busta paga falsa, per
un lavoro massacrante, in piedi sotto tendoni dove d'estate si arriva
a 50 gradi, respirando prodotti tossici, o piegate per ore ed ore.
Sono selezionate come schiave dai caporali o dal moderno e “legale”
caporalato delle agenzie interinali, per i superprofitti delle grandi
aziende; devono lavorare sotto gli occhi di una “kapò” che
decide anche quando possono andare a fare pipì, ma dietro un albero;
le più giovani subiscono anche i ricatti, molestie, fino alle
violenze sessuali di caporali e padroni. E poi, stanno morendo di
fatica, come Paola e le altre di quest'estate.
Le
lavoratrici delle Coop, sempre
sotto la mannaia del licenziamento, con salari sempre più tagliati,
che
non possono ammalarsi.
Ricattate, molestate e costrette a lavorare con ritmi disumani per
aziende con milioni di fatturato; sempre rimproverate, minacciate di
trasferimento per punizione. Lavoratrici\madri discriminate e
lasciate a casa senza paga perché non servono più (colpevoli di
avere figli piccoli). Dove le operaie vengono molestate sessualmente
e licenziate se si ribellano (come le operaie della
coop. della logistica Yoox Mr Job di Bologna).
Ci sono le ultraprecarie lavoratrici
delle pulizie, dal nord al sud, sempre a rischio licenziamento,
da appalti ad appalti sempre più al massimo ribasso, lavorano per
misere ore e ancor più miseri salari, troppo spesso neanche pagati
E
c'è l'ultimo “anello della catena”, le
migranti, le "schiave della monnezza",
come le lavoratrici di Monselice (PD) licenziate dalla coop perché
protestano per le condizioni inumane di lavoro. Donne
marocchine, piegate otto ore sui rifiuti a caccia della plastica
riciclabile. Un business ecologico fondato sullo sfruttamento
selvaggio delle donne migranti. E devono sopportare anche insulti
razzisti e ricatti brutali.
ECC, ECC, ECC...
Sono solo alcune delle tante realtà
simbolo della condizione delle donne lavoratrici, in cui è in atto
da parte dei padroni, a volte multinazionali, un “moderno
medioevo”, che ogni giorno mostra l'intreccio tra attacchi di
classe e attacchi schifosi in quanto donne. Una condizione che non ha
respiro, perchè la pesantezza, il ricatto della condizione sui posti
di lavoro viene portato in casa e la pesantezza in casa, i problemi
della maternità, dei figli, della mancanza di servizi sociali, ecc.
pesano come altrettanti macigni sulle condizioni e le stesse
possibilità di lavoro per le donne.
Una condizione che il governo Renzi ha
peggiorato due volte: con il Jobs act ha istituzionalizzato la
precarietà a vita, il libero licenziamento che per prima colpisce
proprio le donne, spesso con la scusa della maternità; poi con la
miseria dei bonus, ha scaricato ancora di più sulle donne il
peso/mancanza dei servizi sociali.
Ma in alcune delle realtà che abbiamo
riportato, vi è anche altro. Vi è la ribellione, a volte lotte,
scioperi, proteste delle lavoratrici: dalla battaglia contro le tute
bianche a Melfi delle operaie, alla denuncia coraggiosa delle
braccianti, alla protesta delle operaie di Bologna contro i
licenziamenti e i porci padroni, alla forte lotta delle immigrate.
Ma queste lotte e tante altre delle
donne ancora non hanno vinto.
Le lotte delle operaie, delle
lavoratrici più sfruttate non escono dall'isolamento, le donne
operaie, le lavoratrici non sono unite, autorganizzate in una
battaglia nazionale, che deve porre con forza la condizione delle
donne, di doppio sfruttamento e di oppressione, che sta in ogni lotta
singola ma va oltre le singole lotte, perchè richiede un cambiamento
a 360°.
L'ARMA CHE ABBIAMO E DOBBIAMO USARE
E' LO SCIOPERO DELLE DONNE!
La situazione oggettiva mostra con
mille fatti che è tempo di dire “Basta”, che è tempo di un
nuovo forte sciopero delle donne. Ancora non c'è una altrettanta
coscienza soggettiva, ma occorre cominciare.
Questo sciopero delle donne, il secondo
dopo quello del 25 novembre del 2013, ha al centro proprio le
operaie, le lavoratrici più sfruttate e oppresse. Che tutte le altre
donne si uniscano!
In primo luogo le lavoratrici della
scuola che hanno fatto grandi lotte e nello sciopero del 2013 furono
grandi, scendendo in lotta in 12 mila.
Ma sono le lavoratrici delle fabbriche,
delle campagne, dei luoghi di lavoro più “neri”, le immigrate
schiavizzate quelle che mostrano fino a che punto arriva il moderno
medioevo del sistema del capitale che si prende e distrugge tutta la
vita, a 360°, e che è il capintesta del maschilismo/sessismo
organizzato, istituzionalizzato.
L'8 marzo cominciamo la marcia dello
sciopero delle donne. Esso deve continuare anche dopo l'8 marzo,
perchè via via diventi grande e si estenda dappertutto. Costruendo
insieme, nello sciopero, una rete delle realtà di lavoro delle
donne, delle lotte, e una piattaforma dal basso
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
Lavoratrici dello Slai cobas per il sindacato di classe
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