Eni sotto processo per danni ambientali, i legali: "Se
condannati a rischio presenza a Gela"
Oggi l'udienza del tribunale civile sulla richiesta di 500
cittadini che vogliono 15 milioni di risarcimento. Il Comune chiede altri 80
milioni di euro per gli operai ammalati
10 febbraio 2016
"Se il ricorso cautelativo d'urgenza per il presunto
danno da inquinamento ambientale venisse accolto, salterebbe il protocollo
d'intesa e i 2 miliardi e 200 milioni di euro di investimenti previsti per il
sito di Gela. Nonché la presenza di Eni in città". E' il rischio maggiore
che sottolinea il principe del foro Lotario Dittrich, uno dei legali del team
di avvocati a difesa dell'Eni a fronte della richiesta di
risarcimenti presentata dagli avvocati gelesi Luigi e Giuseppe Fontanella, coadiuvati da Laura Vassallo. "Non è un ricatto ma una constatazione. Il provvedimento va perciò contro gli interessi della cittadinanza ed è improponibile per i costi che avrebbe". "La richiesta di sequestro degli impianti per un asserito inquinamento ambientale al fine di affidarne la gestione a custodi nominati dal giudice - aggiunge l'Eni in una successiva precisazione - di cui si discuteva proprio nell'udienza odierna, non solo è infondata in fatto e diritto ma se concessa sarebbe in danno della comunità locale prima ancora che di Eni. Questo in quanto la indisponibilità dei beni industriali non permetterebbe alle società locali di Eni neppure di far fronte al Protocollo d'Intesa siglato di recente. In tal senso il legale Eni, pur sottolineando che le società Eni sono serene sul fatto che la situazione di inquinamento ambientale a base della richiesta non sussiste o comunque non sia a loro riconducibil - conclude la nota - fa presente che il rischio di misure cautelari ove concesse determinerebbero sì un danno alla comunità oltre che ad Eni".
risarcimenti presentata dagli avvocati gelesi Luigi e Giuseppe Fontanella, coadiuvati da Laura Vassallo. "Non è un ricatto ma una constatazione. Il provvedimento va perciò contro gli interessi della cittadinanza ed è improponibile per i costi che avrebbe". "La richiesta di sequestro degli impianti per un asserito inquinamento ambientale al fine di affidarne la gestione a custodi nominati dal giudice - aggiunge l'Eni in una successiva precisazione - di cui si discuteva proprio nell'udienza odierna, non solo è infondata in fatto e diritto ma se concessa sarebbe in danno della comunità locale prima ancora che di Eni. Questo in quanto la indisponibilità dei beni industriali non permetterebbe alle società locali di Eni neppure di far fronte al Protocollo d'Intesa siglato di recente. In tal senso il legale Eni, pur sottolineando che le società Eni sono serene sul fatto che la situazione di inquinamento ambientale a base della richiesta non sussiste o comunque non sia a loro riconducibil - conclude la nota - fa presente che il rischio di misure cautelari ove concesse determinerebbero sì un danno alla comunità oltre che ad Eni".
Questa mattina al tribunale di Gela si è svolta la seconda
udienza del ricorso d'urgenza sottoscritto da oltre 500 cittadini gelesi. Tra
le richieste: un indennizzo per danni morali ed esistenziali che i legali
ipotizzano in una decina di migliaia di euro per ciascun aderente, il fermo
degli impianti ancora attivi, la sospensione delle nuove trivellazioni previste
e l'immediata attivazione delle bonifiche. Un vero e proprio salasso per il
cane a sei zampe, se il procedimento dovesse andare in porto. Specie perché il
Comune di Gela non solo ha aderito alle richieste dei ricorrenti, ma ha
avanzato un'ulteriore istanza di risarcimento di 80 milioni di euro per creare
un reddito di sussistenza ai lavoratori rimasti fuori dal ciclo produttivo.
Un fondo che per la giunta Messinese dovrebbe essere a
carico del cane a sei zampe, in attesa che ripartano i cantieri della green
refinery e delle prime bonifiche. I legali della multinazionale energetica,
però, non ci stanno. "Il protocollo non sta procedendo per l'inerzia della
Regione. Inoltre lo stabilimento è pressoché chiuso, a parte tre impianti che
non fanno parte del ciclo produttivo" ha aggiunto l'avvocato Dittrich.
"Dove sarebbe allora il pericolo ambientale? Come si può stabilire in
questo modo il danno esistenziale?". A ciò va aggiunto un altro fronte per
così dire gemello, anzi padre del suddetto ricorso d'urgenza. Cioè la richiesta
di 15 milioni di euro di risarcimento avanzata, sempre nei confronti delle
società del gruppo Eni (Enimed, Raffineria di Gela e Syndial), da un gruppo di
familiari di 12 bambini con malformazioni neonatali ai quali è stata
riconosciuta la correlazione con l'inquinamento industriale.
Entrambe le cause si basano sulla maxiperizia depositata al
tribunale di Gela lo scorso luglio ed effettuata da un pool di periti di chiara
fama nazionale ed internazionale. Oltre 10 mila pagine che accerterebbero il
nesso causale tra la presenza industriale e le patologie riscontrate. Per
l'avvocato Fontanella "quella perizia è realizzata con dati incontestati
ed incontestabili, che accertano il perdurante pericolo e il rischio sanitario
al quale i miei clienti sono sottoposti". Aggiungendo poi la richiesta di
una "tutela ripristinatoria delle condizioni". Il legale del Comune
di Gela, l'avvocato Mario Cosenza, ha dichiarato come "a fronte di reati
gravissimi finora Eni se n'è uscita con ammende ridicole". Per poi
accusare il cane a sei zampe di non aver effettuato bonifiche, a fronte della
promessa di oltre un anno fa di ripristinare l'ex area Isaf, una discarica di
fosfogessi per la quale sono previsti 200 milioni di euro. "La prova con
la quale si può stabilire che qui non è mai stata realizzata una bonifica è che
finora non esiste nessun certificato che lo attesti" ha dichiarato il
legale gelese. "Al di là della messa in sicurezza d'emergenza Eni non ha mai
fatto nulla. Le caratterizzazioni sono iniziate nel 2004 e mai terminate".
Il procedimento civile si innesta in un clima di grande
tensione per Gela, con gli operai e i cittadini in piazza per chiedere al
colosso industriale la riconversione verde della raffineria e il mantenimento
dei livelli occupazionali. La vertenza va avanti da tre settimane e ha portato
a blocchi e picchetti in città. Un braccio di ferro che ha visto scendere in
campo anche i sindaci e la Curia, schierati al fianco degli operai, ma che non
sembra ancora al capolinea.
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