Palermo, le navi-prigione dei tunisini
Da una settimana centinaia di tunisini vivono chiusi in tre navi attraccate al porto di Palermo. Le proteste delle associazioni. A Lampedusa, intanto...
DI PIETRO SCAGLIONE
FONTE FAMIGLIA CRISTIANA
27/09/2011
Da cinque giorni, centinaia di immigrati tunisini (provenienti da Lampedusa) vivono in tre navi, attraccate nel molo del portodi Palermo, in attesa del rimpatrio. Secondo i palermitani della zona, la Moby Fantasy, la Moby Vincent e l’Audacia sembrano “vascelli fantasma”.
Dall’esterno, infatti, gli stranieri non si vedono nemmeno con il cannocchiale e ci si accorge della loro presenza soltanto per le continue manifestazioni del Forum Antirazzista, che presidia il blindato Porto di Palermo, insieme ad associazioni, centri sociali, sindacati e partiti di sinistra, tutti uniti nel difendere i diritti degli immigrati e nel criticare la politica del Governo sui rimpatri.
Oggi, una delegazione del Forum Antirazzista, guidata dal professor Fulvio Vassallo Paleologo, esperto di Diritto dell’immigrazione, ha presentato un esposto in Procura, per chiedere di accertare gli eventuali reati di “violenza privata”e “abuso d’ufficio”, nonchè alcune violazioni delle norme internazionali. Il procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci, ha prontamente aperto un fascicolo di “atti relativi”, a carico di ignoti.
Immigrati irregolari tunisini nel porto di Palermo.
L’intervento della Procura della Repubblica di Palermo è salutato con favore dai manifestanti. La “Rete Primo Marzo” parla di “prigioni galleggianti”, non compatibili con la Carta Mondiale dei Migranti. Sulla stessa lunghezza d’onda le dure proteste di Sinistra Ecologia Libertà, di Rifondazione Comunista e di Italia dei Valori che, attraverso il consigliere comunale Fabrizio Ferrandelli, denuncia la presenza di “lager galleggianti”. Anche gli avvocati si mobilitano in difesa degli immigrati. L’Unione delle Camere Penali, infatti, si rivolge al ministrodell’Interno Roberto Maroni per lamentare “l’incostituzionalità dell’internamento nelle navi”. L’accesso a bordo, infatti, è off limits per tutti: associazioni, giornalisti, giuristi e operatori.
Gli unici ammessi a visitare le navi e a verificare la situazione degli immigrati sono i parlamentari. Ieri una delegazione del Partito Democratico, guidata dall’onorevole Alessandra Siragusa, si è recata a bordo dell'Audacia e della Moby Vincent. Secondo la testimonianza del deputato democratico, gli stranieri sono trattati con rispetto dal personale marittimo e dagli agenti di polizia, ma la situazione è “devastante” e di “grandissimo disagio”. Gli immigrati ricevono i pasti regolarmente, sono tranquilli, ma non possono comunicare con l’esterno, non possono vedere la televisione e non conoscono il destino che li attende.
Non avendo commesso alcun reato e non essendo, dunque, detenuti, i migranti non possono paradossalmente nemmeno esercitare il diritto di difesa né ricevere assistenza legale. L’onorevole Alessandra Siragusa non ha dubbi: a bordo di due navi sono presenti anche una donna in gravidanza e sette minori. La circostanza della presenza di minori è confermata dall’associazione Terre de Hommes, ma smentita dalla Questura di Palermo.
Una delle recenti giornate di tensione a Lampedusa.
Intanto, nell’isola di Lampedusa non ci sono più immigrati, dopo i trasferimenti di massa verso Palermo e dopo i primi rimpatri. Tuttavia, l’eco della rivolta degli immigrati e della guerriglia della scorsa settimana non si spegne. Emergono le storie drammatiche, come quella di Najy Hinsen, giovane operaio tunisino ricoverato nel reparto di Otorinolaringoiatria dell’ospedale Villa Sofia di Palermo.
Il tunisino - che ha un trauma facciale e numerosi edemi sulle gambe, sulle braccia e sul tronco – ha denunciato di essere stato “massacrato a calci, pugni e manganellate” a Lampedusa e ha raccontato di essere emigrato perché in Tunisia lo stipendio di operaio non gli era più sufficiente per vivere. In un lungo reportage pubblicato su Facebook e sul portale Indymedia Italia, il fotoreporter Alessio Genovese ha parlato senza mezzi termini di “guerra ai tunisini e ai giornalisti”, descrivendo pestaggi e violenze a Lampedusa non solo contro i migranti, ma anche contro le troupe televisive e gli operatori delle associazioni umanitarie.
Genovese ha pure raccontato la storia di Muhammed, un cinquantenne tunisino disoccupato a causa di un incidente nel cantiere, causato dalla negligenza del suo datore di lavoro a Padova. Dopo il viaggio in Tunisia per le cure, Muhammed era intenzionato a rientrare in Italia per rivendicare i suoi diritti, ma è stato ferito alla testa aLampedusa, nei giorni della “caccia al nero”. Le aggressioni contro gli immigrati non devono, però, far dimenticare lo spirito di accoglienza e solidarietà della maggioranza degli abitanti di Lampedusa, che rifiutano il razzismo, le ronde e l’intolleranza.
Un avamposto della solidarietà è la parrocchia di Lampedusa, esaltata pubblicamente dal Mir, dalla Rete Lilliput e dai Laici Comboniani. I firmatari della lettera aperta, tra cui Francesco Lo Cascio del Mir e alcuni sacerdoti, ricordano che il vero volto di Lampedusa è quello delle staffette umanitarie e dei pescatori che soccorrono gli immigrati, non certo il volto cupo delle ronde e della “caccia al nero”.
Pietro Scaglione
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