mercoledì 28 settembre 2011

pc 28 settembre - Ravenna: il porto culla di caporalato e lavoro nero

Il porto culla di caporalato e lavoro nero

Il nodo di Ravenna della Rete nazionale per la sicurezza sul lavoro lo
denuncia da tempo, dalla morte sul lavoro di un operaio interinale, Luca
Vertullo. La denuncia delle coop della Lega deriva dalla concorrenza e
perdita di profitti e rivolgersi ai principali protagonisti del sistema di
sfruttamento degli operai al Porto, istituzioni e confindustria, è ridicolo.
Fino ad oggi hanno taciuto e ora che le merci scarseggiano al Porto si
lamentano. E i confederali complici di questo sistema? Guarda caso, questa
denuncia non tira nemmeno in ballo le agenzie interinali, il caporalato
"legale" gestito dallo stesso sindacato confederale.

Rete di Ravenna
c/o slai cobas per il sindacato di classe ravenna







Le coop "vere" denunciano quelle finte

Tra imprese fantasma e facchini che lavorano due giorni all'anno



di Matteo Cavezzali

«È giunto il momento di far arrabbiare qualcuno, anche con gesti eclatanti,
perché così non si può più andare avanti». Lo dichiara Rudy Gatta,
responsabile movimenti e trasporto di Legacoop Ravenna.

L'accusa pesante di Legacoop, Confcoperative e Agci è rivolta alle
istituzioni che dovrebbero controllare e anche a Confindustria, che non
effettua le opportune verifiche. Il tema è quello del fenomeno del
caporalato e del lavoro nero che, assicurano le associazioni, sta soffocando
le cooperative regolari. Uno studio fatto a livello regionale individua nel
porto di Ravenna il centro principale di questo fenomeno. Due cooperative su
tre sono finte e servono solo per assicurarsi lavori che vengono poi fatti
fare in nero e senza sicurezza.

«È difficile calcolare numeri esatti riferendosi al lavoro nero - spiega
Carlo Occhiali, Legacoop Emilia-Romagna -. Possiamo però fare una stima: il
95% dei lavori di facchinaggio sono svolti da cooperative, solo il 30% di
queste è iscritto alle centrali cooperative e quindi è sottoposto a
controlli regolari. Chi non si iscrive riesce così ad eludere l'istituto di
Revisione cooperativa, principale strumento di verifica della "legalità
societaria". Queste cooperative spesso hanno una vita di pochi mesi, giusto
il tempo di fare il lavoro e poi si sciolgono. A Ravenna sono 1940 i
lavoratori nel settore del facchinaggio di cui ne risultano solamente 344
stranieri. Inoltre a fronte di una situazione così allarmante si evince una
mancanza di controlli repressivi sufficienti. Viene ispezionato appena il 5%
del totale delle imprese».

«Sono stati moltissimi a mandarci fotocopie di buste paga dove si vedono
facchini che risultano lavorare due giorni all'anno - afferma Maurizio
Ceredi, presidente di Cofari, la più grande cooperativa che lavora al porto
-. È evidente che siamo davanti a un fenomeno gravissimo che mette in dura
difficoltà chi lavora rispettando i contratti. Questi lavoratori in nero
costituiscono una concorrenza sleale che ha appesantito ulteriormente
l'effetto della crisi facendo crollare il nostro fatturato in pochi anni da
15 milioni di euro a 10 milioni e portando alla riduzione degli addetti da
440 a 330».

«La crisi economica ha dato spazio a chi offre lavoro sottocosto perché
sfrutta i lavoratori - spiega Alberto Armuzzi, presidente di Legacoop
Servizi Emilia-Romagna -. Questo è grave sia per le cooperative reali che
perdono lavoro che per i lavoratori che perdono il posto per colpa della
concorrenza sleale oppure si vedono costretti a lavorare in condizioni non
eque al di fuori della legalità».

Per questo motivo le centrali cooperative hanno attivato un Osservatorio
provinciale sulla cooperazione «Quest'anno a Ravenna abbiamo effettuato
trenta controlli - spiega Daniela Zannoni componente dell'osservatorio -
delle cooperative controllate il 40% era irregolare ed è stato segnalato
alle autorità. Sono però molto pochi i casi che riusciamo ad appurare
rispetto al numero effettivo, ci vorrebbe una collaborazione dall'esterno
per colpire queste finte coop».

27 - 09 - 2011

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