Lampedusa bruciava già. Lettera di Marta Bellingreri
Ricevo e pubblico questa lettera da chi Lampedusa la
conosce bene. Lei è di Palermo, si chiama Marta Bellingreri e
sull'isola ha lavorato tutta l'estate con un progetto di Terres des
hommes. Dice che ha visto le fiamme dal primo giorno che ha messo piede
dentro il centro di accoglienza dell'isola. Era il 15 giugno 2011. E il
fuoco era già acceso. Fatto di umiliazioni, vessazioni, violenza,
malaffare, silenzi. Non poteva esserci un finale diverso. Con un
incendio reale e con la guerra in piazza dichiarata dalle forze di
polizia e da alcuni lampedusani. Le braci di quell'incendio però sono
ancora accese. Si trovano nel porto di Palermo sui nuovi Cie
galleggianti dove sono stati trasferiti i tunisini ribelli. Circa 700
ragazzi, guardati a vista da più di 500 agenti delle forze dell'ordine.
Il porto è blindato. E per la città è l'ora di decidere da che parte
stare. Marta Bellingreri la sua scelta l'ha fatta da tempo. Leggete la
sua lettera e forse capirete meglio come si è arrivati a tutto questo.
Lampedusa bruciava già, di Marta Bellingreri
Tornano i riflettori su
Lampedusa prima che a tornare sia Baglioni: come una giornata di
numerosi sbarchi, come per una protesta significativa, come per dei
tunisini in fuga…infine l'incendio. Quello che chi lavorava sull'isola
si aspettava da almeno un mese, esattamente dal 21 agosto, con il
respingimento in mare di 104 tunisini, dei quali solo 7 sono stati
fatti sbarcare. Da allora sono ripresi costantemente sbarchi di
tunisini, trasferimenti nei CIE o rimpatri. Ci si aspettava che
scoppiasse da tempo, le fiamme sono state alimentate lentamente,
l'incendio è il fatto eclatante , ma nella quotidianità l'ingiustizia
silente ha bruciato le persone, le speranze , la libertà.
Il centro
per me bruciava da tempo, da quando ci ho messo piede la prima volta il
15 giugno, il centro per me brucia quando non si capisce perchè stare
un mese in carcere senza aver compiuto reati, il centro brucia quando i
minori che scappano per andarsi a fare un bagno vengono ripescati in
acqua dalla polizia in tenuta antisommossa, pur essendo quei minori
privati della libertà personale e trattenuti illegalmente per un mese;
il centro brucia quando nonostante le denunce fai la fila per il cibo
insieme alla persona che ti ha accoltellato durante il viaggio in mare;
il centro brucia quando un neonato per errore viene lavato con acqua
calda e ustionato; il centro brucia quando perfino i mediatori vengono
strattonati perché "pensavo fossi un tunisino"; bruciavano le ferite
delle punture di zanzare e insetti, bruciavano sulla pelle le
scottature dei tunisini in mare prese durante le ore cocenti del
giorno, che per qualche operatore del centro erano le ore di chi "si fa
a' gita, si pigghia u panino a mattina e arriva la sera e voli
manciari"; il centro brucia e poi puzza di mafia, ma le ceneri di
quest'ingiustizia non volano via come il vento.
Il centro bruciava
sempre, ma adesso c'è la visibilità e la triste scusa per dire che ci
sono dei colpevoli chiamati oggi tunisini. Ma tanti altri posti
dovrebbero allora bruciare.
Le giornate del 20 e del 21 settembre sono
state ovviamente un disastro, ma un disatro aspettato, nel centro che
ora dicono che non c'è. Almeno in parte carbonizzato, la parte
funzionante non danneggiata ha ospitato ancora uomini e donne tunisini
, ma forse da questa sera non ce ne saranno più. Adesso il centro
galleggia, è una nave CIE già sperimentata come idea nei mesi passati,
ma le fiamme non si spengono.
Quando è scoppiato l'incendio, hanno
portato via subito i disabili, tra cui quel paraplegico del 21 agosto
appunto ancora trattenuto nel centro dove si dovrebbe sostare 48 ore;
un altro sulla sedie a rotelle e due con le stampelle, mentre chi aveva
le proprie gambe e il proprio sacco in mano scappava, superando il fumo
nero che avanzava. I minori e famiglie con bambini erano già da una
settimana nell'altro centro e in appartamenti a Cala Creta.
L'aver
insistito costantemente per il trasferimento di famiglie e minori, se
non dall'isola come auspicato, almeno dal Centro, è una prova di come
la situazione fosse esplosiva e molto prevedibile. Nelle proteste
pacifiche del 29 agosto, 5 e 7 settembre, momenti di tensione si
alternavano a momenti di fruttuosa discussione ed informazione,
racconti di storie che al centro, separati dai cancelli che chiudevano
nel gabbio gli adulti, non si potevano sempre fare, per chi come me
passava la maggior parte del tempo con minori, anch'essi spesso
esasperati e in fuga. Ma già alcuni dicevano che avrebbero bruciato il
centro. Senza libertà, chiusi in un gabbio da un mese, con notizie di
rimpatri e CIE per 18 mesi, che cos'altro puoi pensare?
Nessun ferito,
tutti intossicati. POi toccava ai lampedusani sfogarsi: picchiare,
girare con le mazze, schiaffeggiare operatori, mediatori e giornalisti
così come tunisini, almeno per loro non c'è il distinguo razziale.
Cittadini dell'isola, frenati solo dal ritorno di quella apparente e
silente calma della Madonna di Porto Salvo, patrona dell'isola, e
dall'assenza di tunisini per strada perché quando non ci sono, allora
neanche i problemi sussistono. Ma i lampedusani restano intossicati
perchè la Madonna di Porto Salvo questa volta non gliela lava la
coscienza, dato che in quel porto non avrà più nessuno da salvare.
Deportazioni, rimpatri di massa, trasferimenti insensati non risolvono
la domanda che la Tunisia e il sud del mondo ci pongono da tempo e dato
che non abbiamo saputo mai rispondere, vengono direttamente a porgerla,
sbarcando.
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