a cura di Soccorso Rosso Proletario:
https://soccorsorossoproletario.noblogs.org/post/2021/06/28/pestaggi-e-torture-nel-carcere-di-santa-maria-capua-vetere-misure-cautelari-per-52-agenti-ce-anche-il-provveditore/
52 misure cautelari per gli sbirri torturatori per i pestaggi ai detenuti a Santa Maria Capua Vetere. Contro i detenuti che si erano rivoltati perchè non volevano essere trattati come carne da macello in piena una pandemia che ha peggiorato ancora di più le disumane condizioni igienico-sanitarie e il sovraffollamento nelle carceri, si era scatenata la violenza e le torture degli sbirri vigliacchi. "Li abbattiamo come vitelli": scrivevano i torturatori in divisa aguzzini a S. M. Capua Vetere. Il racconto dei detenuti: “Lasciati in una pozza di sangue”, denudati e picchiati da agenti con calci e manganellate.
«Noi del reparto Nilo, appena giunta la notizia di un contagio da Covid-19 avvenuto nel reparto Tamigi attiguo al nostro, abbiamo fatto delle battiture per chiedere i tamponi e pretendere le distanze sociali visto che siamo in quattro dentro una cella», spiega l’uomo. «Avevamo messo un lenzuolo al cancello, che poi avevamo tolto perché gli operatori penitenziari ci dissero che avrebbero fatto a tutti i tamponi», prosegue il detenuto nel racconto, sottolineando che la protesta pacifica è quindi rientrata. «Ma il giorno dopo sono giunti qualche centinaia di agenti antisommossa con caschi blu e mascherine e hanno invaso tutte le sezioni del nostro reparto», prosegue nel racconto. «A quel punto ci hanno massacrato di botte, urlandoci “Non ci guardate in faccia” e via giù di calci e schiaffi, e dietro le spalle ci colpivano con in manganelli».
52 misure cautelari: contestata anche la tortura. La ricostruzione di violenze e umiliazioni in chat, testimonianze e immagini della videocamera di sorveglianza. Molteplici torture, lesioni e depistaggiohuffingtonpost
“Domate il bestiame”. “Li abbattiamo come vitelli”. “Spero che pigliano tante di quelle mazzate che domani li devo trovà tutti ammalati”. Quando gli inquirenti di Santa Maria Capua Vetere hanno iniziato ad indagare sul pestaggio avvenuto il 6 aprile nel carcere della città campana, hanno sequestrato i cellulari degli agenti che si ritenevano essere coinvolti. E questi sono alcuni dei
messaggi che si sono trovati a leggere. Parlavano così, gli agenti di polizia penitenziaria, quando - appena prima del 6 aprile, in seguito a una rivolta dei reclusi che erano in agitazione per le restrizioni dovute al Covid - decidevano di massacrare i detenuti di un intero reparto. Il reparto Nilo. Più di un anno di indagine ci è voluto prima che fossero disposte le misure cautelari. Sono arrivate oggi e sono tante: 52. Otto agenti sono finiti in carcere, 18 agli arresti domiciliari, 3 hanno ricevuto l’obbligo di dimora e 23 non potranno svolgere il loro lavoro per alcuni mesi.Sono accusati di maltrattamenti e lesioni personali e concorso in torture pluriaggravate. Ma anche di falso in atto pubblico, induzione, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio. Perché, dopo aver massacrato i detenuti, hanno provato a sviare le indagini che - emerge dalle chat - immaginavano sarebbero arrivate a breve. Come? Fotografando nelle celle, quando i reclusi non c’erano, delle spranghe e altri oggetti che avrebbero potuto fungere da armi. Oggetti che non appartenevano ai detenuti. Anche di questo disegno per essere scagionati c’è traccia nelle conversazioni tra agenti.
Ma le tracce più pesanti riguardano i momenti in cui, durante una perquisizione definita “arbitraria”, i detenuti inermi sono stati costretti a subire “violenze, intimidazioni e umiliazioni di indicibili gravità, indegne per un Paese civile”, come scrive il gip che ha disposto le misure cautelari. I pestaggi, decisi per “punire” i detenuti sono stati ripresi da alcune videocamere di sorveglianza. Le immagini, ha spiegato la procura, sono state sequestrate a fatica, perché c’è stato un tentativo di ritardarne o impedirne l’acquisizione.
Quei frame confermano in sostanza i racconti che i detenuti avevano fatto ai loro familiari e al magistrato di sorveglianza. E ribadiscono quanto denunciato dal garante regionale dei detenuti, Samuele Ciambriello, che già un anno fa aveva lanciato l’allarme.
Nelle immagini, spiega la procura in un comunicato, si vedono i detenuti che vengono portati nella sala ricreativa. “Era in modo solare - spiegano gli inquirenti - che il personale di Polizia penitenziaria aveva formato un “corridoio umano” al cui interno erano costretti a transitare indistintamente i detenuti dei singoli reparti a cui venivano inflitti un numero impressionante di calci, pugni, schiaffi alla nuca e violenti colpi di manganello, che le vittime non riuscivano in alcun modo a evitare”. Violenze inaudite e umiliazioni. I detenuti sarebbero stati costretti a stare molto tempo in ginocchio, a subire la rasatura di barba e capelli. I pestaggi hanno lasciato segni sul corpo dei detenuti, al punto che si vedevano su alcuni di loro anche dieci giorni dopo il 6 aprile.
Diverse decine le vittime di quella che sembra a tutti gli effetti una vendetta di una parte delle polizia penitenziaria nei confronti dei detenuti: i reclusi nel reparto Nilo erano quasi 300, gli inquirenti ne hanno ascoltati una settantina. Uno di loro ha raccontato di essere stato costretto a spogliarsi e picchiato da tre poliziotti: “Mentre un agente mi bloccava con le mani dietro la schiena e un altro mi sferrava colpi al viso e all’addome e nelle parti intime mentre ero nudo, questo li incitava a picchiarmi”. Nelle immagini si vede anche un detenuto sulla sedia a rotelle picchiato ripetutamente con un manganello. Quattro ore di violenze, di cui il mondo esterno era all’oscuro. Mentre l’Italia si fermava per la pandemia, nel penitenziario si sospendeva - almeno stando a quanto emerge da queste ricostruzioni - lo stato di diritto. Ogni garanzia costituzionale.
“Adesso lo Stato siamo noi”, avrebbe gridato uno degli agenti, prima dell’inizio delle ore di tortura. Parole, riportate da un detenuto, raccapriccianti così come le violenze inflitte contro chi era in custodia dello Stato.
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