Terzo valico: in provincia sequestrati beni a Domenico Gallo, legato alle ‘ndrine
In una nuova inchiesta sulla ‘ndrangheta rispunta il
Terzo valico e un personaggio che due anni fa finì in manette per la
“torta” fatta sugli appalti torna a galla nell’ambito dei sequestri disposti
dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ed
eseguiti dalla Guardia di Finanza reggina per un totale di 212 milioni,
sequestri avvenuti anche ad Alessandria. Il nome di
Domenico Gallo figurava nelle inchieste Arka di Noè e Amalgama
delle procure di Genova e Roma, riferite ai sub appalti della Terzo
valico, secondo le quali l’imprenditore calabrese era a capo di
una “cricca” guidata insieme a Giampiero Demichelis e ai vertici del Cociv
dell’epoca. Gallo, secondo gli
inquirenti, era affiliato alla ‘ndrina Barbaru u Castanu di Platì (Reggio Calabria), facente parte della più grande ‘ndrina dei Barbaro, considerata tra le più potenti cosche della mafia calabrese, nota per l’utilizzo di armi quali mitragliette Uzi, Skorpion, fucili a pompa, presente nel Nord Italia in maniera radicata tanto da riuscire a influenzare l’attività di grandi comuni milanesi quali Corsico, Cesano Boscone, Trezzano sul Naviglio. Le aziende controllate da Gallo e dal De Michelis, fino al 2015 direttore dei lavori del Terzo valico poi improvvisamente rimosso, erano riuscite a ottenere sub appalti per quasi due milioni di euro. Per chi non si adeguava alle loro richieste si applicavano metodi molto convincenti. È il caso della Allara di Casale, fra le maggiori aziende del settore, che aveva ottenuto la fornitura di ghiaia nel cantiere del Terzo valico di Serravalle. Gallo e De Michelis, in sostanza, secondo le indagini volevano che si facesse da parte per far sì che gli inerti venissero forniti dalla Breakout di Silvano d’Orba, a essi riferibile. L’impresa casalese si era opposta e, secondo quanto affermato dai titolari dell’azienda e riportato nelle intercettazioni, la Allara si ritrovò con due camion danneggiati, altrettanti rubati e altri pedinati.
Da chi? “I calabresi di Chivasso”, sostenne il responsabile di cava dell’impresa, riferendosi alla ‘ndrina della città piemontese. Ora emerge che Gallo, imputato a Platì per associazione mafiosa, era titolare di imprese commerciali, beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie. I sequestri di questi giorni, secondo la stampa calabrese, sono partiti dall’accusa formulata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, secondo la quale Gallo, con un altro imprenditore arrestato, “sarebbe stati in grado di controllare le commesse per le forniture di calcestruzzo e di conglomerati bituminosi, imponendo i suoi prodotti”. Gallo è già stato condannato in via definitiva “per 27 truffe commesse fra il 1985 e il 1991 e per due ipotesi di turbata libertà degli incanti”. Sono state sequestrate 14 imprese commerciali (compresi rapporti bancari, partecipazioni, 69 immobili e 36 veicoli), quote societarie, immobili (fabbricati e terreni, tra cui una villa di pregio), beni di lusso (12 orologi di noti marchi), finanziari e assicurativi. Gallo e De Michelis aveva casa a Ovada prima dell’arresto ed erano stati notati in un bar brindare con spumante per ogni sub appalto “ottenuto” dal Cociv.
inquirenti, era affiliato alla ‘ndrina Barbaru u Castanu di Platì (Reggio Calabria), facente parte della più grande ‘ndrina dei Barbaro, considerata tra le più potenti cosche della mafia calabrese, nota per l’utilizzo di armi quali mitragliette Uzi, Skorpion, fucili a pompa, presente nel Nord Italia in maniera radicata tanto da riuscire a influenzare l’attività di grandi comuni milanesi quali Corsico, Cesano Boscone, Trezzano sul Naviglio. Le aziende controllate da Gallo e dal De Michelis, fino al 2015 direttore dei lavori del Terzo valico poi improvvisamente rimosso, erano riuscite a ottenere sub appalti per quasi due milioni di euro. Per chi non si adeguava alle loro richieste si applicavano metodi molto convincenti. È il caso della Allara di Casale, fra le maggiori aziende del settore, che aveva ottenuto la fornitura di ghiaia nel cantiere del Terzo valico di Serravalle. Gallo e De Michelis, in sostanza, secondo le indagini volevano che si facesse da parte per far sì che gli inerti venissero forniti dalla Breakout di Silvano d’Orba, a essi riferibile. L’impresa casalese si era opposta e, secondo quanto affermato dai titolari dell’azienda e riportato nelle intercettazioni, la Allara si ritrovò con due camion danneggiati, altrettanti rubati e altri pedinati.
Da chi? “I calabresi di Chivasso”, sostenne il responsabile di cava dell’impresa, riferendosi alla ‘ndrina della città piemontese. Ora emerge che Gallo, imputato a Platì per associazione mafiosa, era titolare di imprese commerciali, beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie. I sequestri di questi giorni, secondo la stampa calabrese, sono partiti dall’accusa formulata dalla Direzione Distrettuale Antimafia, secondo la quale Gallo, con un altro imprenditore arrestato, “sarebbe stati in grado di controllare le commesse per le forniture di calcestruzzo e di conglomerati bituminosi, imponendo i suoi prodotti”. Gallo è già stato condannato in via definitiva “per 27 truffe commesse fra il 1985 e il 1991 e per due ipotesi di turbata libertà degli incanti”. Sono state sequestrate 14 imprese commerciali (compresi rapporti bancari, partecipazioni, 69 immobili e 36 veicoli), quote societarie, immobili (fabbricati e terreni, tra cui una villa di pregio), beni di lusso (12 orologi di noti marchi), finanziari e assicurativi. Gallo e De Michelis aveva casa a Ovada prima dell’arresto ed erano stati notati in un bar brindare con spumante per ogni sub appalto “ottenuto” dal Cociv.
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