pc 15 novembre - Lettera aperta libertà di opinione contro i ricatti aziendali
https://lavoratoriautoconvocati.wordpress.com/2018/10/17/lettera-aperta-liberta-di-opinione-contro-i-ricatti-aziendali/
Vi chiediamo di aderire
(individualmente o collettivamente) e di diffondere questa lettera
contro i licenziamenti politici e i ricatti delle aziende contro
delegati sindacali, lavoratori e precari in lotta.
Per la libertà di opinione e organizzazione nei posti di lavoro e ovunque.
Per costruire una rete di solidarietà
mutualistica a sostegno di delegati e precari che si mobilitano sotto il
ricatto aziendale.
Augustin Breda, operaio Electrolux
RSU; Riccardo De Angelis, RSU TIM spa; Dante De Angelis, Rappresentante
dei Lavoratori per la Sicurezza Ferrovie; Gian Paolo Adrian, Rsu operaio
Fincantieri.
Sono
sempre più frequenti i provvedimenti disciplinari da parte delle
aziende contro lavoratori/trici e delegati sindacali che esprimono
opinioni pubbliche dentro e fuori i luoghi di lavoro che concernono le
condizioni lavorative, le vertenze le ristrutturazioni o sui problemi di
sicurezza e appalti.
Diventano
più frequenti anche le sentenze con cui la magistratura conferma la
legittimità del cosiddetto “obbligo di fedeltà” nei confronti
dell’azienda.
L’articolo del codice civile che ne parla è il 2105. Il titolo di questo articolo è infatti proprio “Obbligo di fedeltà”. Il testo dell’articolo però elenca precisamente i casi in cui varrebbe questo obbligo. Infatti, esso così recita: “Il
prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di
terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti
all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso
in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.
Questo
articolo, tante volte richiamato per giustificare licenziamenti
individuali di lavoratori, non impone un generico dovere di fedeltà
verso il datore di lavoro, ma si limita a stabilire per i lavoratori e
le lavoratrici il divieto di concorrenza ed il divieto di divulgazione
delle notizie riguardo l’organizzazione dell’impresa. Ossia vieta
comportamenti che possono pregiudicare la competitività dell’azienda sul
mercato a vantaggio del lavoratore stesso o di una specifica impresa
concorrente. Non c’è traccia di limitazione della libertà di opinione né
tanto meno di quella sindacale (garantite tra l’altro dalla
Costituzione). E’ evidente quindi come la stragrande maggioranza dei
licenziamenti che si appellano al presunto “obbligo di fedeltà” siano
licenziamenti politici e atti di intimidazione contro chi intendesse
mobilitarsi attivamente contro lo strapotere aziendale.
DA
PARTE DELLA CASSAZIONE VI E’ STATA QUINDI UNA INGIUSTA E IMMOTIVATA
INTERPRETAZIONE ESTENSIVA DI QUESTA NORMA CHE AUSPICHIAMO SIA AL PIU’
PRESTO SOTTOPOSTA AL GIUDIZIO DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE.
Il
metodo del defunto Marchionne, santificato solo poche settimane fa, non
ha lasciato solo schemi organizzativi di produzione che “portano a
valore” anche i tempi perduti per i bisogni fisiologici, ma la totale
supremazia degli interessi del profitto, perfino sul pensiero di chi
lavora.
L’OBBIETTIVO
SEMBRA ESSERE QUELLO DI STERILIZZARE ANCHE LE CAPACITA’ DI RIFLESSIONE,
DI ELABORAZIONE CRITICA DEI MODELLI PRODUTTIVI E FINANCHE LA
POSSIBILITA’ DI DISCUSSIONE TRA I LAVORATORI.
L’idea
che si esca dalla “crisi”, dando mano libera agli interessi di impresa,
è il presupposto per cui tutto deve contribuire agli utili. Tutto,
compreso il “welfare”, deve portare profitto alla stessa.
La
motivazione che viene anche usata come giusta causa nei provvedimenti
disciplinari, è che niente deve disturbare la creazione del profitto,
nulla deve nuocere.
Denunciare
l’organizzazione del lavoro di una azienda che si ingegna ogni giorno
per strappare quote sempre più marginali di profitto tanto da
compromettere la salute dei dipendenti è quindi …lesiva!
Criticare
a torto o a ragione le condizioni in cui versano i lavoratori è
“denigratorio e lesivo dell’immagine aziendale”, mentre risulta sempre
più accettabile che si possa sottopagare un lavoro, non applicare i
contratti, appaltare e sub appaltare, non rispettare le leggi su
sicurezza igiene negli ambienti di lavoro ecc… Il fine ultimo non è il
benessere dei cittadini (come hanno tentato di farci credere per anni
con la formuletta profitto=sviluppo=benessere) bensì prima gli
utili…altro che prima gli italiani!
Perciò,
in questo schema autoritario, un dipendente, in quanto tale non può
esprimere la sua opinione se non VUOLE incappare sempre più spesso nella
repressione padronale, volta non solo a tacitare la voce stonata CON
ATTI SANZIONATORI ma ‘PIEGARE’ E SOTTOMETTERE ANCHE SOTTO IL PROFILO
PSICOLOGICO QUALSIASI ESPRESSIONE, PENSIERO O COMPORTAMENTO RITENUTO
OSTILE ALLE ASPETTATIVE AZIENDALI.
E’
PARADOSSALE CHE IN TEMA DI LIBERTA’ FONDAMENTALI, QUALI QUELLO DI
PENSIERO E DI PAROLA, IL CITTADINO ‘DIPENDENTE’ SIA SOTTOPOSTO A UN
REGIME RIDOTTO – BEN OLTRE IL CONTENUTO DELL’ARTICOLO 2105 – RISPETTO AI
DIRITTI RICONOSCIUTI ALLA GENERALITA’ DEI CITTADINI.
Viceversa
anche quando il tema sono i morti sul lavoro: si può far esprimere
liberamente nelle interviste dei TG nazionali un padrone, o un caporale,
i quali ci spiegano perché “siano costretti” ad avvalersi di lavoro
nero, sottopagato e senza alcuna tutela immediata e posticipata, in
quanto altrimenti non avrebbero abbastanza margine per essi stessi, se a
parlare e denunciare è il lavoratore allora è leso l’obbligo di
fedeltà.
Questa
è la sintesi di una dicotomia che si espande in ogni ambito nella
società con il principio “prima di tutto i profitti”. Chi come noi
invece denuncia da tempo la sottovalutazione delle conseguenze di tale
principio, non si RASSEGNA ALLA strage perpetua DEI 13.000 morti sul
lavoro in 10 anni, ai disastri ferroviari, ai ponti che cadono, ai tetti
delle scuole o delle chiese che crollano MA VUOLE INCIDERE SULLA REALTA’ ANCHE CON LA VOCE CHE ARRIVA DIRETTAMENTE DAI LUOGHI DI LAVORO perché SIAMO PIENAMENTE CONSAPEVOLI E
viviamo tutti i giorni questa politica in cui non si investe sulla
sicurezza, sul benessere, sulla salute delle persone SE NON dove si
possa attendere una remunerazione e UN PROFITTO.
Questa non è una qualsivoglia società civile, ma barbarie!
Per chi come noi ha saggiato la rancorosa reazione padronale per essere riottosi all’obbligo di fedeltà verso
i datori di lavoro, ma molto più propensi alla fedeltà verso i nostri
colleghi, ai mandati di salvaguardia di diritti, salario, salute e
sicurezza che essi ci consegnano in qualità di delegati o attivisti
sindacali, è naturale aderire alla campagna contro i licenziamenti di
opinione a partire dai 5 operai di Pomigliano che sono solo la punta di
iceberg ben più profondo e pericoloso, innanzitutto per la democrazia in
questo paese.
La
democrazia nei luoghi di lavoro è fondamento per uno stato di diritto e
che si voglia in qualsiasi accezione democratico, la libertà di parola
in ogni forma è precondizione necessaria in uno stato di diritto, tutto
il resto è tirannia da combattere.
Non
a caso il ripristino di garanzie nell’occupazione cozza con i piani di
precarietà e supremazia del profitto di chi ci vuole fedeli solo al
nostro sfruttamento più sfrenato.
Mentre
anche negli ordinamenti militari si riconosce la possibilità di non
obbedire ad un ordine ritenuto sbagliato, un datore di lavoro vorrebbe
la totale accondiscendenza dei suoi dipendenti sull’altare del profitto.
Crediamo
che uniti possiamo opporci e invertire questa tendenza alla barbarie e a
partire dai luoghi di lavoro ricostruire una società degna di essere
vissuta. Fatta di solidarietà, attenzione al più debole, possibilità di
un futuro. Contrapposta alla giungla di sopraffazione odio e guerra al
più povero.
A
partire da noi auspichiamo alla creazione di una rete di supporto,
solidarietà e cooperazione per difendere la libertà di opinione contro
l’obbligo di fedeltà.
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