Un documento per il dibattito
Per noi, una conquista
collettiva, faticosamente raggiunta, è stata quella di capire che questa
non era una battaglia su quale cortile dovesse subire una catastrofe
ecologica ed economica. Né qui né altrove era lo slogan, inusitato, che
accompagnava i primi manifesti notav. Perché spulciando le carte,
vedendo come si muovevano gli organi di informazione, provando ad
opporci con la nostra firma o il nostro corpo ai primi sondaggi per
l’opera, maturava la presa di coscienza che non c’era una linea TAV ma
un sistema TAV. Un sistema fatto di grandi contractor con connessioni
mafiose poi parzialmente verificate persino dalla magistratura, di
drenaggio delle risorse pubbliche per far accumulare utili alle aziende
private invece di essere utili alla collettività, di sistematica
devastazione dei territori attraverso la manipolazione dei dati
ambientali, dell’uso delle istituzioni democratiche come manganello
contro chi osa mettersi in mezzo. Come ogni sistema, il sistema TAV era
replicabile. E girando per l’Italia, invitati dai mille comitati a cui
la nostra ha lotta ha fatto eco, ci siamo accorti che poteva prendere
tanti nomi. Là quello di una discarica gestita da una famiglia mafiosa
della zona, qui un’autostrada ad otto corsie per far favori alle aziende
in quota Lega, lì un gasdotto che avrebbe garantito i profitti di una
multinazionale, qua una mega-azienda siderurgica che stava facendo
ammalare di cancro i bambini. Nelle facce di quei comitati rivedevamo le
nostre. Non dei politici, non degli attivisti, non dei “consapevoli”.
Le facce di chi poco si è interessato di politica fino a che la politica
non ha iniziato ad interessarsi a loro. Stampata sopra c’era la
violenza di una presa di coscienza su cosa fosse il Sistema, quello che
ti annienta, che ti mette in bocca parole non tue, che ti denuncia, che
ti bastona se provi anche solo a chiedere.
Gli
anni passavano, la lotta in Val di Susa continuava, si faceva più
forte. Saltava il cantiere a Venaus, dopo che la polizia veniva cacciata
via dal movimento. Iniziavano a scricchiolare le giunture del progetto.
Questo si può rivedere, questo non è più così importante. Ma il sistema
non poteva cedere. A farsene portavoce fu Pier Luigi Bersani. Ormai,
disse, era una questione di democrazia. Ed eravamo d’accordo. Diventò
chiara un’altra cosa. Non solo che questa progetto era sbagliato qui
come altrove ma anche che la Val Susa non poteva vincere se non vinceva
il resto d’Italia. Furono i tempi delle grandi manifestazioni a Roma,
dell’assedio ai palazzi del potere. Ma soprattutto dei legami tessuti
con i terremotati, prima dell’Aquila poi delle Marche, con i movimenti
di lotta per la casa, con i comitati per l’acqua pubblica. Con tutti
quelli che subivano il sistema TAV non per la presenza che imponeva ma
per le mancanze che generava. Realizzare il folle progetto della
Torino-Lione significa levare risorse alla manutenzione, alla messa in
sicurezza del territorio, alle scuole, agli ospedali, alle case
popolari. Lo vedevamo nel nostro territorio, dove chiudeva un punto
nascite mentre venivano spesi milioni per proteggere un cantiere con
veicoli militari e polizia. Lo vedevamo nelle catastrofi che ci
sembravano sempre meno naturali e sempre più frutto di scelte politiche
precise.
Per noi, insomma, non è mai stato solo un treno. E neanche per chi ci governa. È per questo che la parola notav fa paura, mette insieme in un moto d’orrore dal PD a Forza Italia, dai sindacati confederali a confindustria. Perché mettere in dubbio quel tunnel significa inevitabilmente risalire la gerarchia degli interessi, dalle reti clientelari fino alla sistematica collusione tra sistema dell’informazione, imprenditoria, mafia e politica, fino al significato dell’uso della forza pubblica contro i cittadini, fino alla verità radicale su cui regge il sistema in cui viviamo: i profitti contano più delle persone.
Per noi, insomma, non è mai stato solo un treno. E neanche per chi ci governa. È per questo che la parola notav fa paura, mette insieme in un moto d’orrore dal PD a Forza Italia, dai sindacati confederali a confindustria. Perché mettere in dubbio quel tunnel significa inevitabilmente risalire la gerarchia degli interessi, dalle reti clientelari fino alla sistematica collusione tra sistema dell’informazione, imprenditoria, mafia e politica, fino al significato dell’uso della forza pubblica contro i cittadini, fino alla verità radicale su cui regge il sistema in cui viviamo: i profitti contano più delle persone.
Oggi lo stop alla
Torino-Lione sembra possibile. Sappiamo che tutto quello che abbiamo
ottenuto e tutto quello che otterremo lo dobbiamo alla lotta. È solo
informandosi, incalzando il potere, assumendosi la responsabilità delle
proprie scelte che si potrà vivere in un mondo migliore di quello in cui
viviamo.
A tutti i comitati
territoriali che lottano nel nostro paese e che domani incontreremo a
Venaus possiamo solo dire che la strada è ancora lunga, ma che la
percorreremo insieme.
Ci vediamo a Venaus!
da notav.info
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