THYSSEN-KRUPP: LA CASSAZIONE CONFERMA LE CONDANNE PER I
SEI IMPUTATI
17 maggio 2016
di Rolando Dubini, avvocato in
Milano
Si spalancano le porte del carcere per datori di lavori,
dirigenti, Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) per il
tragico rogo di Torino.
L’incidente, la vicenda giudiziaria, la reazione dei
parenti delle vittime e dell’ex Pubblico Ministero Raffaele Guariniello.
La Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva le
condanne nel ricorso bis nei confronti dei sei imputati per il rogo alla
Thyssen-Krupp nel quale, nel dicembre 2007, morirono 7
operai.
Le vittime del rogo sono Antonio Schiavone (il primo a
morire alle 4 del mattino per le ferite riportate durante l’incidente), Giuseppe
Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno
Santino (spirati lentamente dal 7 al 30 dicembre del 2007 per le gravissime
ustioni riportate).
La pena più alta, 9 anni e 8 mesi, è quella inflitta
all’ex amministratore delegato e datore di lavoro Harald Espenhahn. Condannati
poi Daniele Moroni, responsabile investimenti antincendio dell’azienda, a 7 anni
e 6 mesi; Raffaele Salerno, ex direttore dello stabilimento, a 7 anni e 2 mesi;
il RSPP Cosimo Cafueri a 6 anni e 8 mesi.
Pene di 6 anni e 3 mesi per i manager Marco Pucci
(responsabile commerciale e datore di lavoro, oggi responsabile delle
partecipate del gruppo ILVA che si è sospeso dal proprio incarico)
e Gerald Priegnitz responsabile amministrativo e datore di lavoro.
e Gerald Priegnitz responsabile amministrativo e datore di lavoro.
E’ stato così confermato il verdetto della Corte
d’Assise d’Appello di Torino del 29 maggio 2015. La sentenza del maggio scorso
era arrivata dopo l’intervento della Cassazione.
I giudici della Suprema Corte, dopo la prima condanna in
appello, avevano rimandato a Torino gli atti e avevano chiesto di rimodulare le
pene per i reati considerati.
Nei due gradi di processo celebrati a Torino, gli
inquirenti hanno ricostruito minuziosamente i minuti dell’incidente, la sequenza
di eventi che provocarono le fiamme e poi il “flash fire”, la nuvola di fuoco
generata dalle particelle di olio presenti nell’aria dopo lo scoppio di un
flessibile.
Un’ondata di fuoco che non lasciò scampo a Giuseppe
Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno
Santino e Antonio Schiavone.
Al centro delle inchieste, prima, e delle sentenze,
dopo, ci sono state le gravi carenze in tema di sicurezza nello stabilimento di
Torino, polo che il Gruppo dell’acciaio aveva deciso di chiudere da lì a qualche
mese.
Sono stati ritenuti responsabili di omicidio colposo,
omissioni di cautele antinfortunistiche e incendio colposo aggravato.
Ora per gli italiani Pucci, Moroni, Salerno e Cafueri si
apriranno le porte in carcere. Giusto il tempo necessario per il Sostituto
Procuratore generale di Torino Vittorio Corsi di ricevere la sentenza dalla
Cassazione e firmare il provvedimento di esecuzione, anche se pare che i quattro
italiani si presenteranno spontaneamente nei commissariati di polizia o nelle
caserme dei carabinieri per evitare di essere prelevati a
casa.
Per i due manager tedeschi, Harald Espenhahn e
Priegnitz, i tempi saranno più lunghi, ma favorevoli: l’Italia dovrà emettere un
mandato di cattura europeo e poi, in base alle norme di cooperazione
giudiziaria, i due tedeschi verranno incarcerati nella loro nazione, ma solo per
un massimo di cinque anni, il massimo della pena prevista per l’omicidio colposo
aggravato. In sostanza, la pena per l’Amministratore Delegato della
Thyssen-Krupp Krupp sarà quasi dimezzata, vista la condanna a nove anni e dieci
mesi.
Il collegio presieduto da Fausto Izzo hanno quindi
respinto la richiesta del Sostituto Procuratore Generale Paola Filippi che in
mattinata aveva chiesto di annullare la sentenza del 29 maggio 2015 per
rimandare gli atti alla Corte d’Assise d’Appello di Torino affinché i giudici
possano rivalutare la pena base dell’omicidio colposo aggravato e bilanciare le
attenuanti.
LA RICOSTRUZIONE DELLA
TRAGEDIA
Si chiude dunque con le condanne definitive una vicenda
lunga 9 anni.
Nella notte a cavallo tra il 5 e il 6 dicembre 2007 otto
operai al lavoro sulla linea 5 della fabbrica siderurgica Thyssen-Krupp di
Torino vengono investiti da una fuoriuscita di olio bollente che prende fuoco.
L’incendio si sviluppa all’altezza della linea di ricottura e decapaggio.
L’intervento dei Vigili del Fuoco è immediato: i feriti vengono trasportati in
ospedale, ma le loro condizioni sono gravissime. In sette non ce la fanno: il
primo operaio, Antonio Schiavone, muore poche ore dopo. Tra il 7 e il 30
dicembre le altre sei vittime: Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola,
Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Bruno Santino, tra i 26 e i 54 anni. Si salva
Antonio Boccuzzi, unico superstite, che ha seguito il processo accanto ai
familiari delle vittime.
Quella notte di fine 2007 allo scoppio del rogo i sette
operai insieme al collega Antonio Boccuzzi, l’unico sopravvissuto e ora deputato
del PD, avevano tentato di spegnere le fiamme, ma ogni loro sforzo era stato
inutile: nonostante i frequenti incendi sulla linea 5, gli estintori erano quasi
vuoti, le manichette di acqua inutili, l’impianto non era adeguato perché il
management sapeva che lo stabilimento sarebbe stato chiuso.
Una città di tradizione operaia che viveva già la
stagione della crisi FIAT era scesa in piazza per protestare contro le morti
bianche e la risposta della magistratura era stata rapida.
Dall’indagine dei Pubblici Ministeri Raffaele
Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso emerse che quella di limitare le
spese nella prevenzione era stata una scelta aziendale, definita dai giudici
della corte d’assise come “sciagurata”, ma consapevole, motivo per cui avevano
condannato gli imputati a pene tra i dieci anni e i sedici per omicidio
volontario con dolo eventuale.
Per i colleghi della Corte d’Assise d’Appello, invece,
non ci fu “dolo”, ma soltanto imprudenza, un impianto inadeguato dal punto di
vista della prevenzione e protezione antincendio che non ha retto. Un’imprudenza
inescusabile dei dirigenti pagata a carissimo prezzo dai
lavoratori.
LA VICENDA GIUDIZIARIA
Era la seconda volta che il processo Thyssen-Krupp
arrivava in Cassazione, che in precedenza aveva ordinato alla Corte d’Appello di
Torino di ricalcolare il trattamento sanzionatorio.
Nel processo d’appello bis le pene erano state
lievemente ridotte. In primo grado il Pubblico Ministero Raffaele Guariniello
aveva contestato l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale e le
condanne erano state molto pesanti.
In appello le pene furono mitigate, con l’esclusione del
dolo, e l’ultima riduzione c’è stata dopo il primo ricorso degli imputati in
Cassazione. L’ultimo verdetto di condanna ha confermato l’omicidio colposo
aggravato e violazione delle norme di sicurezza. In caso di conferma della
Sentenza, quattro imputati si costituiranno subito.
La vicenda giudiziaria era partita il 15 gennaio 2009,
quando si è aperto a Torino il primo grado di giudizio, che si sarebbe
prolungato fino al 15 aprile 2011, giorno della prima sentenza, arrivata dopo
100 udienze celebrate e la condanna severa inflitta a sei imputati. Tra loro
l’Amministratore Delegato dell’azienda siderurgica, Harald Espenhahan,
condannato in primo grado a 16 anni e mezzo di reclusione per omicidio
volontario. Per i manager Thyssen-Krupp le pene erano state in primo grado di 13
anni e mezzo per omicidio e incendio colposi (con colpa cosciente) e omissione
di cautele antinfortunistiche.
Le parti civili avevano avuto 13 milioni di euro su un
totale di 17 milioni di risarcimento. Il 1 luglio 2008 la Thyssen-Krupp, che nel
frattempo nel marzo 2008 aveva chiuso i battenti dello stabilimento torinese, ha
versato la cifra alle famiglie dei 7 operai morti nel rogo per non costituirsi
parte civile.
Secondo i giudici di primo grado, fu una “scelta
sciagurata” dell’Amministratore Delegato “di azzerare” - si legge nella
motivazione – “ogni scelta di prevenzione”.
Le pene erano state lievemente ridotte durante il
secondo grado di giudizio, celebrato tra il 28 novembre 2012 e il 28 febbraio
2013, presso la Corte d’Assise d’Appello di Torino, presieduta da Giangiacomo
Sandrelli, con la clamorosa esclusione per l’Amministratore Delegato Espenhahan,
del dolo.
Dunque la Corte d’Assise d’Appello di Torino, nel 2013,
aveva però attenuato le pene per tutti gli imputati riqualificando in omicidio
colposo aggravato il reato contestato a Espenhahn la cui condanna venne ridotta
a 10 anni. All’appello è seguito il ricorso in Cassazione presentato da Raffaele
Guariniello, affiancato dai Pubblici Ministeri Laura Longo e Francesca Traverso,
nonché il Procuratore Generale Ennio Tomaselli, contro la sentenza d’appello, lo
stesso fanno le difese degli imputati con altre
motivazioni.
Erano state poi le Sezioni unite della Cassazione ad
annullare con rinvio quella sentenza, ordinando un nuovo processo di appello e
il ricalcolo delle pene, al termine del quale le pene per gli imputati sono
state ulteriormente ridotte con caduta dell’aggravante per il reato di omicidio
colposo plurimo.
PER I PARENTI DELLE VITTIME, FINALMENTE
GIUSTIZIA
“E’ una vittoria, una vittoria per noi e per tutte le
vittime morte sul lavoro”. Così le mamme, le sorelle e le mogli dei sette operai
morti a causa del rogo dello stabilimento Thyssen-Krupp di Torino, hanno accolto
il verdetto della Cassazione. “Oggi ascoltando le richieste del procuratore
Generale abbiamo pianto di rabbia”.
“Ora” - dicono tutte insieme – “possiamo andare dai
nostri ragazzi al cimitero e dire che finalmente c’è stata giustizia e ci sono
pene severe, anche se il nostro dolore è per sempre”.
PARENTI DELLE VITTIME E
IMPUTATI
Da una parte, in aula, c’erano i familiari delle
vittime, che hanno indossato le magliette con le foto dei loro cari, dall’altra
alcuni degli avvocati degli imputati. Tra questi ultimi anche Marco Pucci,
nominato appena quattro mesi fa direttore generale dell’ILVA per decisione dei
tre commissari straordinari del gruppo siderurgico, Piero Gnudi, Enrico Laghi e
Corrado Carrubba.
Nel giro di poche ore, però, i sindacati erano insorti e
Pucci (che all’epoca della tragedia Thyssen-Krupp ricopriva un ruolo di primo
piano in quella società siderurgica degli acciai speciali) aveva rinunciato
all’incarico, con una lettera agli stessi commissari, continuando però a
svolgere altri compiti dirigenziali di rilievo.
Dopo la sentenza definitiva emessa dalla Cassazione,
Pucci, attuale Direttore Centrale dell’ILVA e responsabile delle partecipate, si
è sospeso dalla funzione e dalla retribuzione. Lo ha comunicato lui stesso ai
tre commissari.
Parenti delle vittime e legali degli imputati, a
cinquanta metri di distanza gli uni dagli altri, hanno consumato i minuti
davanti all’aula della quarta sezione penale chiusa a chiave in cui si è tenuta
per quasi quattro ore la camera di consiglio. Più defilati, ma presenti al
secondo piano dell’immenso palazzo della Cassazione, una decina tra carabinieri
e agenti di polizia. E’ racchiusa in questa immagine l’attesa per la sentenza
che ha messo la parola fine al processo per il rogo alla
Thyssen-Krupp.
LE RICHIESTE DELLA PROCURA GENERALE E LE REAZIONI DEI
PARENTI DELLE VITTIME
Il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione,
Paola Filippi, aveva chiesto di annullare le condanne per tutti e sei gli
imputati del processo Thyssen-Krupp, rinviare di nuovo il procedimento in Corte
d’Appello, per rideterminare le pene per i reati di omicidio colposo plurimo e
per rivalutare il “no” alle attenuanti per quattro degli imputati, richiedendo
un processo ter.
Una richiesta che aveva fatto infuriare i familiari
delle vittime, e in aula subito era scoppiato il caos: molti familiari delle
vittime hanno urlato ai giudici “venduti, bastardi, vergogna” e abbandonato
l’aula della quarta Sezione Penale della Corte.
I parenti delle vittime ancora a Roma, ancora in
Cassazione, dunque delusi per quella richiesta del Procuratore Generale che
ritengono assurda: un nuovo processo, ancora pene ulteriormente
ridotte.
“Le richieste della Procura sono per noi tutti un
fulmine a ciel sereno e lo stesso vale per il rischio che i due imputati
tedeschi, i principali responsabili del rogo alla Thyssen-Krupp, possano
scontare in Germania una pena dimezzata”, ha sottolineato Antonio Boccuzzi,
l’unico superstite del rogo del 2007.
Arrabbiati, tanto che quando è chiaro dove vuole andare
a parare il Procuratore Generale escono dall’aula. Poi qualcuno rientra e urla
piangendo: “Siete tutti morti, siete tutti morti”. La madre di Antonio Schiavone
non si trattiene: “Mio figlio è bruciato vivo, spero che muoia bruciata anche la
sua famiglia”, grida rivolgendosi all’ex manager dell’azienda siderurgica,
Daniele Moroni.
Laura è la sorella, di “Saro”, Rosario Rodinò, morto a
26 anni. “Hanno fatto una fine bruttissima, nemmeno gli animali in un bosco. Mio
fratello è al cimitero da 8 anni e mezzo, loro sono fuori e le hanno studiate
tutte per pagare il meno possibile. In tutti i gradi di giudizio gli hanno tolto
un pezzo”. “La richiesta del Procuratore Generale ci aveva buttato giù in un
modo indescrivibile, ma fortunatamente i giudici delle Cassazione hanno fatto i
giudici”, dice.
“Li ringrazio e ringrazio anche i Pubblici Ministeri di
Torino Guariniello, Longo e Traverso. Va bene così, anche se noi continuiamo a
ritenere molto di più attendibili le conclusioni della Sentenza di primo grado
che aveva riconosciuto il dolo eventuale (escluso dai verdetti successivi) a
carico dei vertici della Thyssen-Krupp”.
Poco prima della lettura del verdetto, Laura Rodinò (che
nel rogo della Thyssen-Krupp ha perso il fratello) ha parlato al telefono con
l’ex Pubblico Ministero Raffaele Guariniello, ora andato in pensione, che ha
rassicurato lei e tutti i familiari delle vittime sul fatto che “non c’erano
elementi per ribaltare le pene dal momento che le condanne dei sei imputati
erano già state diminuite”. Lo ha detto la stessa Laura Rodinò al termine
dell’udienza.
“Dovete avere fiducia nei giudici della Cassazione, ci
ha detto Guariniello” - ha detto Rodinò – “e ci ha consigliato bene, ci ha detto
che non c’era nessun elemento per tornare ad abbassare le pene dal momento che
le condanne dei sei imputati erano già state
diminuite”.
Rosina De Masi è la mamma di Giuseppe, sulla maglietta
il volto del figlio, arrivata a Roma immaginando ancora una salita. “Non ce la
facciamo più”, diceva nell’attesa. La conferma delle condanne non ha cancellato
il dolore, ma lo ha reso più sopportabile. La sentenza della Cassazione ha
scritto l’ultimo capitolo di “una vicenda che, per anni, abbiamo vissuto come un
calvario senza fine ma che, come tutti speravamo, si è finalmente concluso”,
spiega Rosina. “Certo, il nostro dolore non si spegnerà con questo verdetto” -
prosegue – “ma almeno potrò andare sulla tomba di mio figlio e dirgli: Giuseppe,
mamma ce l’ha messa tutta e, alla fine, giustizia è stata fatta. E’ la prima
cosa che farò una volta tornata a Torino”.
Poi una critica al sistema giudiziario. “Dicevano che
sarebbe stato un processo breve, invece è durato quasi 9 anni, dicevano che
sarebbe stato un processo epocale e, vista la durata, ha rischiato di
diventarlo. E’ una liberazione: non potrò essere mai più felice, ma giustizia è
stata fatta”.
“Non potevano fare diversamente” - ha invece detto Laura
Rodinò, sorella di Rosario, morto a soli 26 anni – “viva Guariniello. Ringrazio
i Giudici di Torino”, ha aggiunto la donna. Un altro dei familiari all’uscita
del palazzo mostra la maglietta con le foto delle vittime e urla al cielo: “Ce
l’avete fatta ragazzi”.
All’uscita dal palazzo della Cassazione i familiari
delle vittime del rogo hanno esultato mostrando le magliette con le foto degli
operai. “Giustizia è stata fatta, anche se è un peccato che non gli abbiano dato
il dolo” - ha esclamato Rosina De Masi, madre di Giuseppe – “ringrazio i Giudici
che hanno avuto cuore”.
THYSSEN-KRUPP KRUPP: RISPETTIAMO LA SENTENZA, NON
ACCADRA’ PIU’
“Prendiamo atto con rispetto del dispositivo della
sentenza” si legge in una nota della Thyssen-Krupp che ore dopo la condanna
definitiva da parte della Cassazione ha fatto sapere la sua posizione con una
nota.
“I Tribunali italiani hanno dovuto affrontare il
difficile compito di valutare penalmente il tragico incidente di Torino e le sue
terribili conseguenze” recita ancora il messaggio della società che conclude
ribadendo la vicinanza alle famiglie delle vittime: “Esprimiamo nuovamente il
nostro cordoglio alle vittime e alle loro famiglie. Thyssen-Krupp è
profondamente addolorata che in uno dei suoi stabilimenti si sia verificato un
incidente così tragico. Faremo il possibile affinché tale disgrazia non accada
mai più”.
L’EX PUBBLICO MINISTERO RAFFAELE
GUARINIELLO
“Una splendida notizia”: Sono le parole con cui ha
salutato la condanna definitiva l’ex Magistrato Raffaele Guariniello che, da
Procuratore Aggiunto, guidò il pool che svolse le prime indagini sul caso
Thyssen-Krupp. “Sono le condanne più alte mai inflitte per un incidente sul
lavoro”, dice.
“Dalla notte dell’incendio sono passati nove anni. Un
pezzo di vita. La lunghezza del processo non è dipesa da noi della Procura di
Torino. Ma voglio sottolineare che gli avvocati non c’entrano. E’ giusto che
presentino i ricorsi. Fa parte del gioco. Solo che il gioco dura troppo. Noi” -
spiega – “chiudemmo le indagini in due mesi e 19 giorni. A tempo di record.
Eppure il processo è andato avanti a lungo”.
“Al di là di quello che sarà l’esito mi viene da dare
ragione a Matteo Renzi: lui dice che aspetta le sentenze, ma anche noi le
aspettiamo”. Così Raffaele Guariniello in merito al caso Thyssen-Krupp. Da
procuratore aggiunto a Torino, Guariniello chiuse le indagini sull’incendio in
due mesi e 19 giorni. “Sono i processi” - commenta - “ad essere lunghi. In
questo Renzi coglie un aspetto di verità”.
Poi un ultimo sassolino dalla scarpa: “Ma la Procura
Generale non dovrebbe sostenere le ragioni dell’accusa? I Giudici sono andati
oltre le richieste del Procuratore Generale. Ed è già capitato in un altro mio
processo. Io sostengo che il Pubblico Ministero di primo grado dovrebbe essere
applicato anche in appello e in Cassazione. Oggi nel caso Thyssen-Krupp è come
se si fossero invertiti i ruoli. Non lo trovate
imbarazzante?”.
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