giovedì 26 maggio 2016

pc 26 maggio - Solidarietà agli studenti che a Urbino hanno contestato i baroni della guerra e i militari che avevano occupato l'università

striscione a scienze politiche a Bologna

Mercoledì 25 maggio, l'università Carlo Bo di Urbino è stata trasformata in una caserma militare, difatti in occasione della presentazione di un nuovo master sulla comunicazione strategica nello scacchiere geopolitico, hanno sfilato per le strade e per i corridoi vari alti gradi di tutte le forze armate. È inaccettabile che dentro un luogo che dovrebbe dispensare sapere libero e critico, i bracci armati del potere, con la complicità della stessa università, propongano un corso che tratterà le migrazioni come un problema e che parlerà della gestione di situazioni critiche (critiche perché destabilizzate dalle stesse alleanze militari delle quali si aveva l'occasione di vedere qualche esponente oggi). Siamo andati per portare dissenso, per dare la nostra opinione, per ribadire che l'università che vogliamo è libera, non militarizzata e solidale oltre che pubblica e laica. Abbiamo semplicemente attaccato uno striscione: “non lasciare in pace chi la guerra fa”, e distribuito qualche volantino che riportava due riflessioni fugaci, ma la cosa non è piaciuta alla DIGOS che, avvisata del nostro arrivo, si è subito fiondata da noi minacciando di denunce e ripercussioni. Oggi abbiamo nuovamente imparato che tutto si può dire, basta che non tocchi istituzioni come Stato e Università però. Liberi di criticare ma solo ciò che non è scomodo. 

Segue il volantino distribuito
QUESTA GUERRA CI PUZZA - NO ALLA PRESENZA MILITARESCA NEI LUOGHI DI FORMAZIONE E CULTURA
Collettivo Per l'Autogestione·Mercoledì 25 maggio 2016

 Mercoledì 25 maggio all’interno della Carlo Bo presenziano, con la complicità del rettore e del baronaggio, i militari dell’esercito italiano, nello specifico il sottocapo di Stato maggiore e il generale di Corpo d’Armata Giovan Battista Borrini, e del colonnello Diego Filippo Fulco, comandante del 28’ reggimento Pavia per svolgere un seminario sulla comunicazione strategica
sullo scacchiere geopolitico.   
 
Pensiamo che questa iniziativa si collochi all’interno di un periodo storico nel quale l’intervento bellico viene giustificato e glorificato a più livelli. In una fase in cui la NATO e la UE sollecitano l’Italia per aumentare la sua presenza militare nel mondo, le istituzioni sono ormai solite nello svolgere attività che nascondono dietro un velo ipocrita la vera natura della guerra: targhe, corone ai caduti di ogni guerra anche imperialista, come quella dei Boxer in Cina o dei soldati morti in Eritrea in epoca fascista vengono riposte in ogni città. Crediamo che la guerra sia un mezzo oppressivo di popoli a puro utilizzo dei forti poteri economici, come sempre si è dimostrata.  
 
Il mito dell’esportazione della democrazia viene ultimamente sempre più riproposto dai media, dall’intera classe politica e dai baroni universitari come Panebianco nelle sue lezioni a Bologna. È inaccettabile che dentro un luogo di cultura che dovrebbe dispensare una formazione e un sapere critico, venga giustificata e auspicata con un master la presenza degli sgherri armati di questa società neoliberale che tutt’oggi si mantiene anche grazie a una politica imperialista per l’accaparramento di materie prime e capitali.  
 
Non bastava l’ipocrisia del rettore Stocchi riguardo al caso Regeni nel quale si mostra cordogliato assieme alla CRUI quando la sua università ha forti intrallazzi economici con la Benelli armi di Urbino, una delle massime esportatrici di armi al mondo, tra cui l’Egitto e quindi complice dell’assassinio del giovane ricercatore. Non bastava la presenza sempre più massiccia, in divisa o no, nei nostri corridoi di carabinieri e poliziotti, che monitorano e incutono terrore nei nostri spazi, ora ci si mette anche il braccio più armato della borghesia: i militari. L’esercito, la cui presenza al suo interno vede sempre più personaggi che si arruolano col solo desiderio di ammazzare o di poveri proletari costretti in questa via per trovare uno straccio di lavoro in una società totalmente precarizzata e impoverita dallo stesso sistema che si ritrovano a difendere con la violenza e con le armi, e che spesso e volentieri tornano a casa in una bara.  
 
Questi signori della guerra, il cui apparato viene finanziato quotidianamente con una cifra di 50 milioni di euro, vengono a rubare le poche briciole che la volontà politica dello Stato ha lasciato al mondo dell’istruzione: d’altronde si sa che le linee politiche preferiscono un popolo servo e col fucile in spalla, piuttosto che un popolo libero e dotato di capacità critica.  
 
Vostra la guerra, nostri i morti: non vi vogliamo negli spazi che viviamo!

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