Nonostante le
chiacchiere a profusione dei politicanti e del governo sulle disuguaglianze, sui
“sacrifici da fare” e sulle “necessarie riforme per fare ripartire l’economia”,
le luci in fondo ai tunnel e le incertezze del futuro, una certezza c’è! nei 6
anni di crisi, dal 2008 ad oggi, anche da questa indagine di Repubblica, si
conferma la crescita della ricchezza dei ricchi e l’aumento della povertà nel
nostro paese. E tutto questo senza nemmeno Jobs Act! Pensa adesso!
Sempre tenendo
conto del modo di fare le statistiche ufficiali e delle difficoltà a “reperire
dati” come dice lo stesso giornalista,
nel 2008: 18
milioni di italiani (il 30% più povero) possedeva 114 miliardi di euro
fra immobili,
denaro liquido e risparmi investiti (e quindi, nonostante quel che dice il
giornalista non è il settore più povero!)
mentre le 10 famiglie più ricche (una cinquantina di
persone!!!) invece arrivavano a un totale di 58 miliardi di euro.
Sempre secondo
questa indagine
Nel 2013: 18
milioni di italiani possedevano 96 miliardi di euro
Mentre le 10
famiglie più ricche adesso possedevano 98,4 miliardi.
Le famiglie:
Ferrero 20,4
miliardi
Prada 19,1
Del Vecchio
15,3
Armani 8,5
Benetton 8,4
Pessina 6,4
Berlusconi 6,2
Rocca 6,1
Perfetti 5
Renzo Rosso 3
***
A partire dal
2008 drastico allargamento delle distanze sociali. Tra gli abbienti sale il
ceto produttivo, giù quello delle rendite
19 gennaio 2015
ROMA - Mentre
crollava Lehman Brothers, falliva la Grecia, l'America eleggeva il primo
presidente nero, l'ultimo governo di Silvio Berlusconi scivolava via, mentre la
Cina cresceva del 60% e Apple diventava la società di maggior valore al mondo,
in Italia si consumava un evento storico. In sordina, però. Magari tutti erano
troppo presi a seguire gli altri eventi, quelli che hanno segnato le prime pagine
dal 2008 in poi, per accorgersene. Eppure non era invisibile, perché è stato
uno spettacolare doppiaggio a grande velocità.
E' andata
così. Nel 2008 la ricchezza netta accumulata del 30% più povero degli italiani,
poco più di 18 milioni di persone, era pari al doppio del patrimonio
complessivo delle dieci famiglie più ricche del Paese. I 18,1 milioni di
italiani più poveri in termini patrimoniali avevano, messi insieme, 114
miliardi di euro fra immobili, denaro liquido e risparmi investiti. Le dieci
famiglie più ricche invece arrivavano a un totale di 58 miliardi di euro. In
altri termini persone come Leonardo Del Vecchio, i Ferrero, i Berlusconi,
Giorgio Armani o Francesco Gaetano Caltagirone, anche coalizzandosi, arrivavano
a valere più o meno la metà di un gruppo di 18 milioni di persone che, in
media, potevano contare su un patrimonio di 6.300 euro ciascuno.
Cinque anni
dopo, e siamo nel 2013, sorpasso e doppiaggio sono già consumati: le dieci
famiglie con i maggiori patrimoni ora sono diventate più ricche di quanto lo
sia nel complesso il 30% degli italiani (e residenti stranieri) più poveri.
Quelle grandi famiglie a questo punto detengono nel complesso 98 miliardi di
euro. Per loro un balzo in avanti patrimoniale di quasi il 70%, compiuto mentre
l'economia italiana balzava all'indietro di circa il 12%. I 18 milioni di
italiani al fondo delle classifiche della ricchezza sono scesi invece a 96
miliardi: una scivolata in termini reali (cioè tenuto conto dell'erosione del
potere d'acquisto dovuta all'inflazione) di poco superiore al 20%. Quanto poi a
quelli che in base ai patrimoni sono gli ultimi dodici milioni di abitanti, il
20% più povero della popolazione del Paese, lo squilibrio è ancora più marcato:
nel 2013 le 10 famiglie più ricche d'Italia hanno risorse patrimoniali sei
volte superiori alle loro.
Sono questi i
risultati più sorprendenti di un approfondimento che Repubblica ha svolto sui
patrimoni degli italiani durante gli anni della crisi. L'analisi si basa sui
dati pubblicati dalla Banca d'Italia relativi alla ricchezza netta nel Paese e
la sua suddivisione fra strati sociali. Per le famiglie con i dieci maggiori
patrimoni, una lista che negli anni è cambiata, le informazioni sono tratte
dalla classifica annuale dei più ricchi stilata dalla rivista Forbes.
Inevitabilmente né l'una né l'altra serie di dati è perfetta, molte
informazioni sui patrimoni non sono pubbliche e restano soggette a stime più o
meno accurate. Ma le tendenze emergono con prepotenza e raccontano due storie
di segno diverso. La prima non è a lieto fine: dal 2008 l'Italia ha subito un
colossale abbattimento di ricchezza che si è scaricato con forza verso la parte
bassa della scala sociale, mentre al vertice tutto si svolgeva in modo opposto.
Lassù il ritmo dell'accumulazione di patrimoni personali accelerava come forse
mai negli ultimi decenni. La seconda storia invece fa intravedere un po' di
luce in fondo al tunnel, perché la lista dei super-ricchi è cambiata in modo
tale da alimentare qualche speranza sulle capacità del Paese di produrre in
futuro più innovazione, lavoro e reddito e meno rendite più o meno
parassitarie.
Sicuramente il
punto di partenza di questi anni non è incoraggiante. Calcolata in euro del
2013, la ricchezza netta totale degli italiani crolla di 814 miliardi negli
ultimi cinque anni (quelli per i quali sono disponibili i dati, fino appunto al
2013). Sparisce nella voragine della recessione quasi un decimo di patrimonio
netto delle persone che vivono in questo Paese. Circa due terzi di questa
erosione si spiega con il calo del valore delle case, mentre il resto è dovuto
a perdite finanziarie o al ricorso di certe famiglie ai risparmi per sostenere
le spese quotidiane. Per la parte della ricchezza in mano ai ceti meno ricchi,
Repubblica assume che la loro quota nel 2013 sul totale del patrimonio degli
italiani sia rimasta invariata rispetto al 2010: è ad allora che risalgono gli
ultimi dati disponibili. In realtà questa è una stima ottimistica, perché la
tendenza alla diminuzione della quota di patrimonio dei più poveri è evidente
dagli anni precedenti. Nel 2000 per esempio il 40% più povero della popolazione
residente in Italia, 24 milioni di persone, aveva patrimoni pari al 4,8% della
ricchezza netta totale del Paese. Dieci anni dopo quella quota era già scesa al
4,2%.
Anche così, il
calo dei patrimoni della "seconda" metà d'Italia, l'Italia meno
ricca, è superiore alla media del Paese. Chi è già povero si impoverisce più in
fretta. Nel 2013 quei 30 milioni di italiani avevano nel complesso 829 miliardi
(mentre gli altri 30 controllavano gli altri 8500). Nel 2008 però quegli stessi
30 milioni di persone avevano (in euro 2013) per l'esattezza 935 miliardi.
Dunque la "seconda" metà del Paese durante la Grande Recessione è
andata giù dell'11,3% in termini patrimoniali. La prima metà invece, i 30
milioni di italiani più ricchi, è scesa dell'8,2%. Gli uni non solo erano molto
più poveri degli altri prima della crisi: si sono impoveriti di più durante.
Tutt'altro Paese invece per le prime dieci famiglie. La loro ricchezza netta
sale di oltre il 60% in termini reali fra il 2008 e il 2013 e la loro quota sul
patrimonio totale degli italiani aumenta. Cambia però anche un altro dettaglio:
la loro composizione. I più ricchi del 2013 non sono gli stessi del 2008 o del
2004 e per certi aspetti formano una lista più interessante. Ora nel gruppo si
trovano famiglie meno dedite alle rendite di posizione, alla speculazione pura
o al rapporto con la politica per fare affari. Adesso dominano i primi posti
imprenditori più impegnati nella creazione di valore, lavoro e manufatti
innovativi che interessano al resto del mondo.
Negli anni,
escono dalla graduatoria di Forbes o scivolano in basso i capitalisti italiani
che basano i loro affari su concessioni pubbliche o investimenti immobiliari e
finanziari. Emblematica - non isolata - la vicenda dei Berlusconi, che negli
ultimi cinque anni perdono 3,2 miliardi di patrimonio e scivolano dal primo
posto del 2004, al terzo del 2008, al sesto del 2013. Sale in fretta invece il
patrimonio di produttori industriali dediti all'export. Succede nell'alimentare
(i Ferrero o i Perfetti), nella moda e lusso (Del Vecchio di Luxottica, Giorgio
Armani, Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, Renzo Rosso), nella farmaceutica e
nell'industria ad alto contenuto tecnologico (Stefano Pessina o i Rocca di
Techint). Escono dalla top ten invece investitori finanziari-immobiliari come
Caltagirone o chi in passato ha puntato troppo sulle banche. Questa diversa
qualità del capitale vincente è un passo avanti di un'Italia sempre più piena
di squilibri. È un Paese che forse però si sta liberando, nel dolore, di alcuni
dei peggiori vizi del suo capitalismo. Meglio, quanto a questo, della Gran
Bretagna, dove Oxfam ha condotto un'inchiesta di cui questa di Repubblica è la
replica per l'Italia. Lì i più ricchi, sempre più ricchi, restano gli eredi
della vecchia nobiltà proprietaria di decine di ettari di palazzi a Londra come
il duca di Westminster o i Cardogan, o imprenditori indiani come gli Hinduja o
i Reuben. Se risolverà il problema della povertà, e uscirà dalla crisi, forse è
l'Italia fra le due a potersi ritrovare con una marcia in più.
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