Da Operaicontro
Vi invio una cronaca
Un operaio
Il maxi-processo sull’amianto killer nel petrolchimico diRavenna – alla sesta udienza nell’aula d’assise del tribunale – si arricchisce per la prima volta della voce di un esperto secondo cui l’amianto era una presenza costante e quotidiana nel polo chimico che si estende sulla riva sinistra del canale Candiano di Ravenna, a circa tre chilometri dalla darsena. In poco più di 20 anni sono stati una trentina i casi di mesotelioma tra i lavoratori del petrolchimico: più di un caso all’anno. Per i non esposti all’amianto, l’incidenza naturale è di un caso su un milione. Un dato, quello fornito dal responsabile della Medicina del lavoro dell’Ausl di Ravenna, Giampiero Mancini, che delinea le conseguenze dell’esposizione all’amianto dei lavoratori del bacino produttivo nato nel 1957 sotto la gestione
Era l’inizio del 2009 quando la procura di Ravenna si rivolse all’Inail per accertare i rischio nel petrolchimico e, secondo quanto riportato da Mancini, già da un esame preliminare avvenuto nello stesso anno, tra i lavoratori risultavano patologie correlabili all’amianto. I primi esposti presentati in Procura per malattie professionali legate all’amianto, invece, risalivano già al 2004. Oggi, i 22 indagati, rappresentanti delle varie società che dal 1957 al 1985 si sono succedute alla guida del petrolchimico, sono tutti accusati a vario titolo di omicidio colposo, lesioni colpose e disastro colposo, in quanto l’amianto è stato immesso in ambienti di lavoro e di vita privata su vasta scala e per più decenni, mettendo in pericolo di vita i lavoratori e i relativi
I reati contestati riguardano oltre cinquanta anni di attività
«A minimizzare sono bravi», dice fuori dall’aula Sauro Staffa, per tutti ‘Carlo’, lavoratore dell’Anic dal 1959 al 1990, dando voce agli umori degli altri suoi colleghi. Alla soglia degli ottant’anni, lui e molti altri assistono a tutte le udienze con il cuore che ha perso i battiti dei colleghi morti nel corso degli anni. «Cosa sono sei minuti?» si chiede Carlo, riferendosi alle stime riportate in aula circa la frequenza di esposizione all’amianto. «La manutenzione – racconta – richiede tempo, a volte ho lavorato anche per 33 ore di fila, e qui parlano di sei minuti. Cambiare una valvola richiede tempo, certe cose loro non le sanno. In trentuno anni di lavoro, nessuno mi ha mai detto che l’amianto era un killer». Carlo entrò all’Anic in qualità di manutentore fino poi a diventare collaudatore. Impegnato in lavori di coibentazione, Carlo racconta che prima della pausa pranzo si recava alla linea di area compressa per scrollarsi la polvere di dosso, una polvere cancerogena. «Durante la pausa pranzo – prosegue –, usavo la coperta di amianto per sedermi, poi la arrotolavo e la portavo con me. La sera, quando tornavo a casa, nell’attaccapanni c’erano due ganci e in uno appendevo la tuta da lavoro, nell’altra gli abiti di ogni giorno. Se solo avessi saputo che l’amianto era pericoloso, avrei preso provvedimenti come ho fatto per altre sostanze tossiche come l’acetilene. Oggi ho 9 punti di invalidità e delle placche calcificate all’interno dei polmoni, faccio una terapia a vita e ogni tanto vado in affanno. È difficile vivere così, anche per chi mi sta vicino». La prossima udienza è fissata per giovedì 29 gennaio.
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