domenica 3 giugno 2012

pc 3 giugno - gli operai della Miroglio - ginosa taranto - in massa alla sede centrale di alba il 5 giugno

«Miroglio cancelli i licenziamenti

un paio di operai ginosini, Nino Salluce e Mimmo Giannuzzi, sono passati dal Corriere per fare il punto e raccontare il tormento loro e di una comunità intera. «Perchè noi e le nostre famiglie – dice Salluce – stiamo soffrendo perchè in questa storia ci giochiamo tutto: il futuro, il lavoro, i mutui, gli affetti. Viviamo difficoltà quotidiane e ci aiutiamo tra di noi, perchè la sofferenza ci unisce». E acuisce la voglia di lottare, di non mollare. Giocando il tutto per tutto e mettendoci la faccia tosta e disperata di chi sta con un piede in cassa integrazione e con un altro in mobilità.Le date, da ricordare, sono come grani di un rosario da sgranare: «Dal marzo 2009 siamo in cassa integrazione, dall’8 luglio saremo in mobilità – spiega Giannuzzi -. Sempre se non succede qualcosa». Che cosa può succedere? «Venerdì (oggi per chi legge) incontriamo Giuseppe Miroglio. 

E’ la prima volta che lo vediamo dopo l’inaugurazione dello stabilimento nel 1997. Allora – ricorda – lui aveva vent’anni, oggi è il grande capo».

Nel frattempo nel “pianeta Miroglio” è cambiato tutto: questione anagrafica, oltre che di scelte strategiche di politica industriale. Il “commerciale”  ha preso il posto dei prodotti, i brand hanno archiviato una storia fatta di filatura e tessitura. Come quella “di Puglia”, sorella minore di un Sud arrivato a rimorchio e che a Ginosa e Castellaneta, pur con buoni risultati, ha avuto poca fortuna e breve vita.
Del resto, è lo “stile Miroglio” che non è più lo stesso: «Il cambio generazionale l’abbiamo avvertito – spiega Giannuzzi – soprattutto da quando non c’è più il ragionier Franco Miroglio, che veniva spesso a Ginosa e quando andavamo ad Alba ci pagava il caffè al bar». «Il 7 maggio scorso – continua il racconto – siamo stati di nuovo ad Alba e abbiamo incontrato Carlo Miroglio, ormai 92enne, e l’abbiamo salutato con affetto. In passato si parlava con quattro persone: Franco, Carlo appunto, il direttore tecnico e quello del personale e tutti dicevano la stessa cosa. Poi, c’è stata un po’ di confusione, di rapporti umani affievoliti sino a non sapere più con chi parlare».
L’incontro di oggi a Roma, forse, arriva troppo tardi. «A Miroglio chiederemo di rispettare gli impegni assunti al Ministero dello Sviluppo economico 3 anni fa. Gli diremo di ritirare i licenziamenti e di rimettere al centro dell’attenzione la ricollocazione di tutti e 223 i dipendenti, non pensando solo al profitto ma alle risorse umane, cosa che peraltro è scritta nel suo codice etico». Basterà? «Non lo so – fa spallucce Giannuzzi – ma è la nostra penultima speranza per far cambiare le posizioni in campo. Sarà difficile ma il confronto è importante perchè è tra noi lavoratori e la proprietà, senza altre presenze. Vedremo se Miroglio avrà una soluzione in tasca».
Penultima speranza: e l’ultima? «Noi siamo già pronti – dicono Giannuzzi e Salluce -  per andare ad Alba a manifestare, il 5 giugno, perché il confronto deve allargarsi ai territori e alle istituzioni. Manifesteremo ad oltranza sino a quando il gruppo Miroglio non troverà una soluzione che ci faccia tornare al lavoro, così come è stato fatto per lo stabilimento di Saluzzo, riconvertito da Miroglio attraverso una joint venture: oggi produce filo dalla plastica riciclata, perchè non farlo anche da noi? Miroglio ha chiuso l’ultimo bilancio con 1140 milioni di euro di ricavi ed una crescita del 4%: non è certo un’azienda in crisi».
Gli operai, a furia di trattative e “ristrette” nel Ministero, hanno imparato molti meccanismi. E a far di conto con cifre che vanno ben oltre i 600-800 euro della busta paga di un cassintegrato: «Sapete quant’è costata questa vertenza sino ad oggi?», attacca Giannuzzi. E spara i suoi numeri: «In 39 mesi di cassa integrazione – elenca -  sono stati spesi 10 milioni in cassa integrazione; 5 milioni di integrazione da parte di Miroglio; 1,3 milioni della Provincia per i corsi di formazione; abbiamo fatto 34 viaggi a Roma per altrettante convocazioni, a 1200 euro per ogni pullman. Paradossalmente, per Miroglio sarebbe stato più conveniente lasciare aperto lo stabilimento… Proviamo tanta rabbia per questi soldi pubblici spesi per nulla, visto che il lavoro non ce l’abbiamo».
Scorrono ricordi, immagini, volti, progetti, accordi visti e scomparsi nel nulla. «C’è stata molta approssimazione e superficialità – riflette Giannuzzi – nel gestire la vertenza come mille altre, con iter-fotocopia, senza capire se le proposte di riconversione fossero basate su progetti seri e fattibili. Ricordo i casi Intini, Be4Energy e Marcolana, che è persino finito in Procura. Ombre su un percorso lungo e difficoltoso, in cui il Ministero ha molte responsabilità. In questi progetti mancavano i presupposti di fattibilità e, invece, sono stati “venduti” come fossero speranze di salvezza per il territorio…».
Erano bluff e pure male acconciati: «Nessuno sino ad oggi ha mai presentato un piano industriale, nemmeno Barbero che vuole subentrare nell’impianto di Castellaneta dando lavoro a 50 persone. Del resto, offrire gli stabilimenti a costo zero, così almeno ha sempre detto Miroglio, ha attirato molti speculatori». Innescando una catena fatta di errori e strane decisioni. Salluce ne rispolvera uno, esemplare: «Nel 2008 – spiega – abbiamo capito che la crisi finiva male. Successe che Crespi, un’altra azienda tessile, chiese a Miroglio se potevamo fargli 2 milioni di filo: per noi era un anno di lavoro eppure l’azienda rifiutò. Capimmo che era finita».
Ora, al contrario, bisogna riaccendere i riflettori su una vertenza-simbolo per l’intero territorio ionico. «Ripartendo dall’accordo del 5 marzo 2009 al Ministero – sottolineano Salluce e Giannuzzi -  che per noi è una cosa seria, non un pezzo di carta». «E ricordando al Ministero di chiedere conto alla proprietà dei soldi pubblici incassati con la legge 181 e degli impegni successivi». Con alcuni paletti che, stavolta, vanno fissati per bene, perchè il mese di giugno è davvero la dead line: «A chi vuole subentrare diciamo che lo stabilimento diventerà suo solo quando assumerà tutti i 223 dipendenti. E alla Regione, che darà incentivi a chi dovesse subentrare, chiediamo di accertare se si tratta di progetti chiari, finanziabili e sostenibili dal territorio».
Patti chiari, dunque, e consigli. Uno, mirato, a Miroglio: «Si è circondato di progetti e personaggi fasulli, mentre è necessario legarsi al territorio, ai sindaci e alla Regione Puglia, che può offrire finanziamenti».
Infine, l’appello. Giannuzzi scandisce parola per parola: «Chiediamo al territorio, alla politica, alle istituzioni, ai sette sindaci interessati (Ginosa, Laterza, Castellaneta, Palagiano, Palagianello, Massafra, Taranto), ai segretari di partito, al presidente Florido e a Vendola di venire con noi ad Alba.  In questo mese si decide il nostro destino: se Miroglio non cambia rotta dopo la protesta di Alba, il problema si riverserà sul territorio, sulle istituzioni. Non vogliamo morire di fame e per questo serve l’aiuto di tutti». La vertenza Miroglio, allora, può essere la riscossa di  territorio, «ma solo se torniamo a lavorare…».






comunicato stampa

Lo Slai cobas per il sindacato di classe di Taranto raccoglie l'appello
degli operai della Miroglio a sostenerne la lotta e a partecipare alla
trasferta ad Alba.
Tre nostri membri del direttivo che si occupano del settore industria e
della lotta per il lavoro saranno nel pullman messo a disposizione dalla
Provincia, a dare sostegno e forza alle richieste dei lavoratori.
Anche per noi il primo obiettivo da porsi è che
Miroglio cancelli i licenziamenti e riattivi un processo industriale che
punti al recupero e a rimettere al lavoro tutti i 223 operai.
Miroglio non è un'azienda in crisi, ha chiuso l'ultimo bilancio con 1.140
milioni di euro di ricavi e una crescita del 4%.
Miroglio deve rispettare gli impegni sanciti nell'accordo del 5 marzo 2009
che prevedeva la ripresa di quella attività produttiva, e comunque qualsiasi
altra attività produttiva deve partire dal dato dell'assunzione di tutti i
223 operai.
Governo e Regione non sono stati in grado finora, malgrado qua e là ci siano
stati degli impegni, di garantire un risultato a questa vertenza. Ora questo
risultato ci deve essere e per questo risultato è giusto che tutte le OO.SS.
facciano la loro parte.
Detto questo, però è bene essere chiari.
La responsabilità della gestione della lotta  finora è stata delle
organizzazioni sindacali confederali, di cui come si sa lo Slai cobas non
approva la linea generale e i comportamenti particolari. Noi siamo certi di
una cosa, che lo Slai cobas taranto per il sindacato di classe avrebbe fatto
in termini di forme di lotta e di obiettivi un percorso diverso in tutta la
vertenza, come avviene in quelle fabbriche e in quelle vertenze in cui noi
siamo realmente presenti.
Anche se probabilmente gli operai non lo sanno, quando Miroglio venne a
Taranto e avviò questo insediamento, esprimemmo una valutazione critica non
sull'insediamento, ma sulle intenzioni di Miroglio, sull'atteggiamento di
Istituzioni e sindacati confederali che gli stendevano tappeti d'oro anche
derogando a diritti contrattuali dei lavoratori e delle lavoratrici; tutte
cose che il tempo ha dimostrato essere reali.
E durante la vita di questa fabbrica le cose non sono andate sempre bene,
non solo nell'ultimo periodo.
Lo Slai cobas per il sindacato di classe esiste là dove gli operai si
autorganizzano e costruiscono strada facendo un modo differente di fare
sindacato.
La nostra presenza in questa vertenza è per solidarietà e per l'interesse
che abbiamo sul territorio perchè non si perdano posti di lavoro, perchè
nessun licenziamento passi e nessuna fabbrica chiuda. Per questo noi
pensiamo che se non ci sarà una soluzione condivisa dall'assemblea dei
lavoratori, i lavoratori debbano fare da sè, e in questo caso troveranno in
noi un impegno determinato.

slai cobas per il sindacato di classe taranto
coordinamento provinciale
cobasta @libero.it
via rintone 22 taranto
tel.347-1102638
2 giugno 2012

2.5.12
 

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