lunedì 4 giugno 2012

pc 4 giugno - il padrone assassino della eternit va al summit di rio per l'ambiente


Schmidheiny, condannato
a 16 anni di carcere per le migliaia
di vittime, sarà presente a Rio

ALBERTO GAINO
torino
«Ci rivolgiamo alle Nazioni Unite, alle autorità internazionali, ai capi di stato e di governo, alla presidente del Brasile Dilma Rousseff, affinché dichiarino Stephan Schmidheiny “persona non gradita” alla Conferenza di “Rio + 20”, organizzata dall’Onu sullo sviluppo sostenibile in programma a Rio dal 20 al 22 giugno».

Rimbalza nella Rete l’appello di Abrea, l’associazione brasiliana degli esposti all’amianto, vittime anche dell’Eternit locale, sino al 1998 controllata da Schmidheiny. In Italia la petizione è stata sottoscritta dall’Associazione dei familiari delle vittime di Casale Monferrato, da numerose altre, da sindacati e scienziati come l’epidemiologo Benedetto Terracini. Stupisce che si debba ricordare niente meno che alle Nazioni Unite: «Schmidheiny è stato condannato per aver causato un disastro ambientale, e per questo dovrebbe essergli vietata la partecipazione a questa importante riunione che preparerà un piano e discuterà di come proteggere il futuro della Terra».

La singolarità della situazione corrisponde alla singolarità della figura del sessantacinquenne Stephan Schmidheiny, perfetto per il ruolo di Giano bifronte del nostro tempo. Così lo descrivono gli autori dell’appello al segretario Onu Ban Ki-moon: «Schmidheiny è uno dei fondatori del World Business Council for Sustainable Development. E’ pure un benefattore, il filantropo che ha creato la Fondazione Avina per sostenere progetti ambientali e sociali in America Latina».

«Ma è anche l’ex proprietario dell’Eternit, la multinazionale produttrice di amianto-cemento e il 13 febbraio scorso il Tribunale di Torino (Italia) l’ha condannato a 16 anni di carcere per aver provocato - ripetono quelli dell’Abrea per mettere bene in chiaro l’informazione apparsa approssimativa nella Rete, vedi Wikipedia - un disastro ambientale doloso permanente e per omissione volontaria di cautele antinfortunistiche. Se fossero state attuate, tali misure avrebbero potuto proteggere le vite dei lavoratori e della popolazione locale dai ben noti rischi di morte derivanti dall’esposizione all’amianto. Minerale cancerogeno e, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, responsabile della morte di oltre 107 mila persone l’anno».

Apparentemente quest’uomo, che la rivista americana Forbes ha definito il Bill Gates svizzero, ha vissuto due esistenze. A 25 anni eredita una delle due galline dalle uova d’oro che hanno immensamente arricchito la sua famiglia: l’Eternit. Al fratello Thomas, invece, va il colosso del cemento, l’Holcim. Stephan fa sostenere ad agiografi e avvocati di aver cercato di innovare con forti investimenti e nuove tecnologie la tradizionale produzione di manufatti Eternit contenendone la pericolosità. Ma nel 1972, quando il controllo azionario della multinazionale passa dai belgi a lui, non mette assolutamente al bando la crocidolite (l’amianto blu, il più pericoloso) che negli stabilimenti italiani di Casale Monferrato e Bagnoli continuerà ad essere utilizzata sino alla chiusura, quasi quindici anni dopo. Il 1992 è l’anno della svolta: in Italia si mette finalmente al bando l’amianto, e a Rio, per il primo «Vertice della Terra» sull’ambiente da salvare, Stephan Schmidheiny si presenta come l’«eroe» dello sviluppo sostenibile.

Ha raccolto decine di grandi industriali dietro le sue convinzioni, lo si conosce come il produttore degli Swatch e uno dei grandi soci del colosso bancario Ubs. L’Eternit è un mondo a parte, «svaporato» o quasi nei progetti di riforestazione, di sostegno alle culture, di filantropia terzomondista. Gli assegnano grappoli di lauree ad honorem come guru dell’ambiente, compare al fianco di Clinton nel ruolo di consigliere, va all’Onu e in Vaticano a sostenere le ottime ragioni della green economy. In Europa stringe la mano a tutti i potenti, fra cui non manca l’allora commissario europeo Romano Prodi.

Finché non gli piomba in testa la tegola del processo torinese, attesa e temuta a tal punto che da un decennio aveva fatto spiare il magistrato Raffaele Guariniello e speso milioni nella strategia della greenwashing. Fernanda Giannesi, piccolo eppure irriducibile ispettore del lavoro brasiliano, gliel’ha rovesciata addosso per attribuirgli una particolare abilità nella disinformazione e nell’ambiguità. Tuttora Schmidheiny preferisce versare «liberalità» alle vittime Eternit (in cambio però del ritiro delle querele) anziché i risarcimenti decisi dai giudici.

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