All’incontro hanno partecipato Luigi di Maio, vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico, e i vertici di ArcelorMittal rappresentati da Geert Van Poelvoorde, Ceo di ArcelorMittal Flat Products Europe, l’ad di ArcelorMittal Italia Matthieu Jehl e il responsabile delle relazioni istituzionali Samuele Pasi.
Voci sempre più insistenti parlando di una possibile intesa di massima per il varo di un nuovo
provvedimento da parte del Governo, che avrebbe un perimetro di tutele inferiore al precedente, ma che riuscirebbe a fornire alla multinazionale quel minimo di certezze necessarie richieste per proseguire e terminare con il piano di risanamento del sito di Taranto previsto dal Piano Ambientale.
(leggi il nostro articolo https://www.corriereditaranto.it/2019/06/25/ex-ilva-limmunita-resta-decadra-nel-tempo/)
Un concetto ribadito, anche se in maniera diversa, anche dal ministero per il Sud Barbara Lezzi. “Sono sicura che il ministro di Maio ha discusso con gli amministratori circa la questione dell’immunità. Se ArcelorMittal continua a seguire l’Autorizzazione Ambientale Integrata, se segue il Piano Ambientale, non ha assolutamente nulla da temere. Se Arcelor intende proseguire quell’accordo che ha sottoscritto responsabilmente, è tutelata e non ha nessun tipo di problema. Io mi auguro che anche l’azienda voglia portare a termine quell’accordo che è stato siglato a settembre” ha dichiarato a Sky Tg24 il ministro che nei giorni scorsi aveva già parlato di come il Dl Crescita avesse mitigato e non cancellato la norma del 2015 sull’immunità penale.
L'IMMUNITA' PENALE A ILVA E ARCELORMITTAL E' ANTICOSTITUZIONALE - DALL'ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI TARANTO
Riportiamo
pezzi della lunga Ordinanza del Gip Ruberto del Tribunale di Taranto
che dimostra l'assoluta incostituzionalità dell'immunità penale.
Nello
stesso tempo smonta la giustificazione degli attuali padroni indiani di
non poter essere loro "responsabili" per situazioni avvenuti prima
della loro acquisizione dell'Ilva.
Abbiamo
segnalato in neretto i passaggi principali dell'Ordinanza-su cui la
Corte Costituzionale si pronuncerà (troppo tardi...) ad ottobre.
*****
Le norme in questione presentano evidenti profili di criticità e di incompatibilità con i valori costituzionali, ritenendosi pertanto doveroso sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 co.5 e co.6 d.l. 1/2015.
Con il decreto legge 5 gennaio 2015, n.l, convertito con modifiche dalla L. 4 marzo 2015 n. 20,
1'ILVA viene fatta rientrare nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi; viene
previsto (articolo 1 comma 4) che il commissario straordinario individui "l'affittuario o l'acquirente, a trattativa privata, tra i soggetti che garantiscono, a seconda dei casi, la continuità nel medio periodo del relativo servizio pubblico essenziale ovvero la continuità produttiva dello stabilimento industriale di interesse strategico nazionale anche con riferimento alla garanzia di adeguati livelli occupazionali"... Al comma 5 dell'att. 2 viene dettata la seguente disposizione "Il piano
di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014 si intende attuato se entro il 31
luglio 2015 sia stato realizzato, almeno nella misura dell'80 per cento,
il numero di prescrizioni in scadenza a quella data.
Senonché il decreto legge 9 giugno 2016 n. 98, convertito con modifiche dalla L. l agosto 2016 n. 151
ha ulteriormente modificato il citato articolo 2 comma 5 del d.l.
L/2015, prorogando il termine ultimo di messa a norma degli impianti che
ad oggi è fissata al 23 agosto 2023, nonostante lo stesso legislatore
l'abbia ritenuta fonte di "pericoli gravi e rilevanti per l'integrità
dell'ambiente e della salute" (art. l co. l d.l. 61/2013).
(Così) l'attività produttiva, quand'anche cagioni fenomeni di inquinamento e sforamenti dei livelli di emissione nonché contaminazioni dell'aria, della falda e del territorio circostante lo stabilimento, ponendo potenzialmente in pericolo la vita dei lavoratori e degli abitanti, la loro salute e l'ambiente, deve ritenersi autorizzata fino
all'agosto 2023; ciò comporta, inevitabilmente, che condotte che
potrebbero acquisire rilievo penale, non lo sono perché sono state
autorizzate per questo lunghissimo arco di tempo.
Le condotte su cui si sta indagando o che potrebbero essere oggetto di potenziali nuove indagini non sono esclusivamente quelle poste in essere nel biennio 2014-2015, ma riguardano
anche il 2016 e, astrattamente, anche gli anni successivi, ove si
consideri che si tratta di condotte riguardanti reati permanenti, la cui consumazione è strettamente connessa al ciclo produttivo dello stabilimento, di fatto mai interrotto...
I1 secondo aspetto da prendere in considerazione è quello, strettamente correlato alla prosecuzione
dell'attività produttiva, riguardante la esenzione da responsabilità penale dei gestori dello stabilimento (e dei soggetti da essi delegati).
Con l'art. 2 comma 6 del decreto legge 5 gennaio 2015 n. 1, vige una vera e propria presunzione iuris et de iure di conformità e di legalità circa
le azioni (ed omissioni) del Commissario p.t. e degli altri soggetti
menzionati nel testo della norma impegnati, trattandosi di condotte che,
secondo l'insindacabile giudizio ex ante dell'Esecutivo costituirebbero
l'adempimento delle"migliori regole preventive in materia ambientale,
di tutela della salute e dell'incolumità pubblica e di sicurezza sul
lavoro"; il rischio ambientale e tecnologico legato a
tali attività viene inquadrato in via presuntiva nel cosiddetto rischio
consentito; le condotte dei soggetti che si muovono per l'attuazione del
piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria
approvato, sono sostanzialmente sottratte al sindacato del giudice
penale; a riguardo si è, non a torto, parlato di una vera e propria "immunità penale" concessa ai predetti soggetti.
Gli eventi dannosi che, comunque, l'attuazione del Piano potrebbe determinare vengono considerati ex lege un male necessario. Una
vera e propria deresponsabilizzazione degli autori di eventuali, tra
gli altri, disastri ambientali o delle situazioni di pericolo per la
salute dei lavoratori dell'impresa.
Si è voluto stabilire una presunzione di liceità delle condotte poste in essere in attuazione del "Piano ambientale".
Con
la sentenza n. 58 del 2018, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'art. 3 d.l. 92/2015, nonché degli artt. l comma 2 e
21-octies L. 132/2015, che consentivano all'impresa di continuare a
servirsi di impianti sottoposti a sequestro anche quando lo stesso si
riferiva ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori.
Il
legislatore aveva concesso un termine (36 mesi) per consentire
all'impresa di adeguare la propria attività all'AIA riesaminata, senza
stabilire "alcuna immunità penale" poiché la norma "rinvia
esplicitamente sia alle sanzioni penali previste dall'ordinamento per i
reati ambientali, sia all'obbligo di trasmettere, da parte delle
autorità addette alla vigilanza ed ai controlli, le eventuali notizie di
reato all'autorità competente"; l'attività poteva continuare a
condizione che l'autorità amministrativa e giudiziaria potessero
controllare l'osservanza delle prescrizioni "con tutte le conseguenze
giuridiche previste in generale dalle leggi vigenti per i comportamenti
illecitamente lesivi della salute e dell'ambiente ".
il Giudice costituzionale avesse tracciato dei precisi paletti... la prosecuzione
dell'attività dello stabilimento ILVA a certe condizioni, in uno
"scenario temporale massimo (36 mesi)" e con lo scopo di rimuovere le
cause dell'inquinamento ambientale e dei rischi per la salute dei
lavoratori e della popolazione.
Questi paletti, sostanziali e temporali, vengono, ad avviso dell'odierno giudicante, disinvoltamente oltrepassati, in prima battuta con la dilatazione dell'attività autorizzata ben oltre il limite di 36 mesi; conseguentemente, da
un lato l'attività produttiva inquinante (pericolosa e nociva per la
salute e l'ambiente) è proseguita indisturbata, dall'altro non è mai
spirato il termine per la deresponsabilizzazione delle condotte realizzate
nella conduzione dello stabilimento. Come si è già sottolineato, per i
nuovi acquirenti ed i soggetti da essi delegati il termine di
operatività dell'esimente è stato differito ai diciotto mesi successivi
all'entrata in vigore del DPCM del 29 settembre 2017, secondo
l'avvocatura di Stato coincide addirittura con la scadenza
dell'autorizzazione integrata ambientale (23.08.2023), ma nulla impedisce al legislatore una ulteriore proroga di queste scadenze.
Ciò
significa che per undici anni dal sequestro dello stabilimento - 25
luglio 2012 - quell'impresa (che lo si ripete, è stata già ritenuta
pericolosissima per la salute della popolazione, dei lavoratori e
dell'ambiente circostante) è stata messa nelle condizioni di continuare
a produrre, con la garanzia, per i suoi gestori (e soggetti da essi
delegati), di non dover essere chiamati a rispondere dei reati
eventualmente commessi in violazione delle norme, di
diritto comune, poste a presidio della salute, dell'incolumità pubblica e
della sicurezza sul lavoro!
E questo sebbene anche la Commissione Europea abbia ritenuto, invece, che in riferimento alla attività produttiva di quello stabilimento "L'operatore rimane l'unico responsabile di eventuali danni causati a terzi o all'ambiente”
Viene
da chiedersi se, attualmente, sia proprio l'interesse economico ad
essere divenuto "tiranno" rispetto al diritto alla salute, che pure il
legislatore Costituente aveva definito "fondamentale diritto
dell'individuo e interesse della collettività" . E che il
legislatore abbia finito con il privilegiare in modo eccessivo
l'interesse alla prosecuzione dell'attività produttiva, trascurando del
tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili quali la salute e
la vita stessa, nonché il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non
pericoloso.
Le norme oggi impugnate presentano, allora, evidenti profili di contrasto innanzitutto con l'art. 3
della
Costituzione, ossia con il principio di uguaglianza, dal momento che
identici fatti-reato se commessi da alcune imprese, possono determinare
il blocco dell'attività produttiva e la responsabilità dei loro massimi
dirigenti o proprietari, se commessi, invece, dai soggetti preposti allo
stabilimento ILVA di Taranto non comportano analogo effetto, determinandosi in questo modo, una inammissibile disparità di trattamento.
Nel
caso di specie la impugnata disciplina contrasterebbe con il principio
di eguaglianza, in quanto sottrae ai criteri di ordinaria perseguibilità
di un reato commesso nella gestione di uno stabilimento industriale,
per un prolungato lasso di tempo, esclusivamente i proprietari e i
commissari dello stabilimento ILVA di Taranto (ovvero i loro delegati),
mentre lascia assoggettabili a sanzioni penali tutti i dirigenti e/o
proprietari di altre imprese che, nelle stesse condizioni, esercitino
un'attività economica potenzialmente pericolosa per la salute pubblica
(ma analogamente importante per l'economia e/o i livelli occupazionali
di un territorio).
Se, infatti, è sufficiente il rispetto delle prescrizioni del Piano ambientale per considerare lecita l'attività produttiva e "irresponsabili" i proprietari/gestori dello stabilimento, in tal modo autorizzati a porre in essere condotte che potenzialmente pericoloso per l'ambiente e la salute e che altrove sarebbero perseguite anche penalmente, in forza delle norme di "diritto comune".
Quelle
norme appaiono un ingiustificato privilegio concesso esclusivamente ad
una sola realtà produttiva, nell'adeguamento agli standard di sicurezza
per la salute dei lavoratori e dei cittadini, rispetto alla generalità
delle altre imprese.
Solamente
lo stabilimento ILVA di Taranto può proseguire così a lungo l'attività
produttiva pur in presenza di impianti palesemente inquinanti e soltanto
i suoi proprietari e/o dirigenti possono godere di quella scriminante
speciale.
La Corte Costituzionale nella sentenza n. 80 del 1969, nel delineare i profili di legittimità delle "leggi singolari" ha rilevato che esse devono corrispondere a una obiettiva diversità della situazione considerata, rispetto a realtà omogenee, la quale giustifichi razionalmente la disciplina differenziata
Ove
queste condizioni non esistano si determineranno ingiustificate
condizioni di vantaggio o di svantaggio per i soggetti della situazione e
del rapporto regolato dalla legge, in relazione ai soggetti della serie
delle situazioni o dei rapporti che ne sono stati esclusi". Nel
caso di specie, si è provveduto in merito a una situazione singola, che
risulta non obiettivamente diversa da altre situazioni, con conseguente
violazione dell'art. 3 della Costituzione.
Appare altresì violato
l'art. 41 della Costituzione, che impone all'attività di impresa di non
recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana. Non
poter perseguire, per un lasso di tempo potenzialmente indefinito, i
soggetti che espongono a pericolo la salute, l'incolumità e la vita dei
lavoratori e della popolazione che vive in prossimità dello stabilimento
confligge apertamente con il dettato costituzionale, non potendo
l'attività produttiva essere esente da controlli giurisdizionali e
dovendo essere attenta alle esigenze basilari della persona.
Di fronte dunque ad un rischio produttivo e tecnologico e a disastri che, per legge, non possono essere sanzionati penalmente, il diritto alla salute, all'ambiente salubre, ad un lavoro sicuro vengono seriamente compromessi, per tutelare una realtà economica.
Da ultimo, le norme censurate si pongono in evidente contrasto con l'art. 117 della Costituzione perché violano gli obblighi internazionali assunti dall'Italia, con l'adesione alla Convenzione europea sui diritti umani e, segnatamente, quelli derivanti dagli artt. 2 ("il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge"), 8 ("ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, nel proprio domicilio':) e 13 ("ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un'istanza nazionale")...
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