giovedì 4 luglio 2019

pc 4 luglio - L'IMMUNITA' PENALE A ILVA E ARCELORMITTAL E' ANTICOSTITUZIONALE - DALL'ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI TARANTO

Oggi a Roma il governo incontra ArcelorMittal sull'immunità penale. Salvini vuole mantenerla ed estenderla, Di Maio anche questa volta dirà: volevo ma non posso...?

Riportiamo pezzi della lunga Ordinanza del Gip Ruberto del Tribunale di Taranto che dimostra l'assoluta incostituzionalità dell'immunità penale. 
Nello stesso tempo smonta la giustificazione degli attuali padroni indiani di non poter essere loro "responsabili" per situazioni avvenuti prima della loro acquisizione dell'Ilva. 
Abbiamo segnalato in neretto i passaggi principali dell'Ordinanza-su cui la Corte Costituzionale si pronuncerà (troppo tardi...) ad ottobre.

Ma c'è da aggiungere che proprio in queste ore Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, in televisione riferendosi all'ArcelorMittal, ha dichiarato: 
"Il governo non può chiedere ai nuovi arrivati responsabilità che sono stati del passato". 
Mentre gli operai oggi fanno sciopero contro l'arroganza e i ricatti di ArcelorMittal, questi padroni trovano una grossa sponda proprio in Landini. 

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Le norme in questione presentano evidenti profili di criticità e di incompatibilità con i valori costituzionali, ritenendosi pertanto doveroso sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 co.5 e co.6 d.l. 1/2015.
Con il decreto legge 5 gennaio 2015, n.l, convertito con modifiche dalla L. 4 marzo 2015 n. 20,
1'ILVA viene fatta rientrare nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi; viene
previsto (articolo 1 comma 4) che il commissario straordinario individui "l'affittuario o l'acquirente, a trattativa privata, tra i soggetti che garantiscono, a seconda dei casi, la continuità nel medio periodo del relativo servizio pubblico essenziale ovvero la continuità produttiva dello stabilimento industriale di interesse strategico nazionale anche con riferimento alla garanzia di adeguati livelli occupazionali"... Al comma 5 dell'att. 2 viene dettata la seguente disposizione "Il piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014 si intende attuato se entro il 31 luglio 2015 sia stato realizzato, almeno nella misura dell'80 per cento, il numero di prescrizioni in scadenza a quella data.
Senonché il decreto legge 9 giugno 2016 n. 98, convertito con modifiche dalla L. l agosto 2016 n. 151 ha ulteriormente modificato il citato articolo 2 comma 5 del d.l. L/2015, prorogando il termine ultimo di messa a norma degli impianti che ad oggi è fissata al 23 agosto 2023, nonostante lo stesso legislatore l'abbia ritenuta fonte di "pericoli gravi e rilevanti per l'integrità dell'ambiente e della salute" (art. l co. l d.l. 61/2013).
(Così) l'attività produttiva, quand'anche cagioni fenomeni di inquinamento e sforamenti dei livelli di emissione nonché contaminazioni dell'aria, della falda e del territorio circostante lo stabilimento, ponendo potenzialmente in pericolo la vita dei lavoratori e degli abitanti, la loro salute e l'ambiente, deve ritenersi autorizzata fino all'agosto 2023; ciò comporta, inevitabilmente, che condotte che potrebbero acquisire rilievo penale, non lo sono perché sono state autorizzate per questo lunghissimo arco di tempo.
Le condotte su cui si sta indagando o che potrebbero essere oggetto di potenziali nuove indagini non sono esclusivamente quelle poste in essere nel biennio 2014-2015, ma riguardano anche il 2016 e, astrattamente, anche gli anni successivi, ove si consideri che si tratta di condotte riguardanti reati permanenti, la cui consumazione è strettamente connessa al ciclo produttivo dello stabilimento, di fatto mai interrotto...

I1 secondo aspetto da prendere in considerazione è quello, strettamente correlato alla prosecuzione
dell'attività produttiva, riguardante la esenzione da responsabilità penale dei gestori dello stabilimento (e dei soggetti da essi delegati).
Con l'art. 2 comma 6 del decreto legge 5 gennaio 2015 n. 1, vige una vera e propria presunzione iuris et de iure di conformità e di legalità circa le azioni (ed omissioni) del Commissario p.t. e degli altri soggetti menzionati nel testo della norma impegnati, trattandosi di condotte che, secondo l'insindacabile giudizio ex ante dell'Esecutivo costituirebbero l'adempimento delle"migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell'incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro"; il rischio ambientale e tecnologico legato a tali attività viene inquadrato in via presuntiva nel cosiddetto rischio consentito; le condotte dei soggetti che si muovono per l'attuazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria approvato, sono sostanzialmente sottratte al sindacato del giudice penale; a riguardo si è, non a torto, parlato di una vera e propria "immunità penale" concessa ai predetti soggetti.
Gli eventi dannosi che, comunque, l'attuazione del Piano potrebbe determinare vengono considerati ex lege un male necessario. Una vera e propria deresponsabilizzazione degli autori di eventuali, tra gli altri, disastri ambientali o delle situazioni di pericolo per la salute dei lavoratori dell'impresa.
Si è voluto stabilire una presunzione di liceità delle condotte poste in essere in attuazione del "Piano ambientale".

Con la sentenza n. 58 del 2018, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 d.l. 92/2015, nonché degli artt. l comma 2 e 21-octies L. 132/2015, che consentivano all'impresa di continuare a servirsi di impianti sottoposti a sequestro anche quando lo stesso si riferiva ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza dei lavoratori.
Il legislatore aveva concesso un termine (36 mesi) per consentire all'impresa di adeguare la propria attività all'AIA riesaminata, senza stabilire "alcuna immunità penale" poiché la norma "rinvia esplicitamente sia alle sanzioni penali previste dall'ordinamento per i reati ambientali, sia all'obbligo di trasmettere, da parte delle autorità addette alla vigilanza ed ai controlli, le eventuali notizie di reato all'autorità competente"; l'attività poteva continuare a condizione che l'autorità amministrativa e giudiziaria potessero controllare l'osservanza delle prescrizioni "con tutte le conseguenze giuridiche previste in generale dalle leggi vigenti per i comportamenti illecitamente lesivi della salute e dell'ambiente ".
il Giudice costituzionale avesse tracciato dei precisi paletti... la prosecuzione dell'attività dello stabilimento ILVA a certe condizioni, in uno "scenario temporale massimo (36 mesi)" e con lo scopo di rimuovere le cause dell'inquinamento ambientale e dei rischi per la salute dei lavoratori e della popolazione.
Questi paletti, sostanziali e temporali, vengono, ad avviso dell'odierno giudicante, disinvoltamente oltrepassati, in prima battuta con la dilatazione dell'attività autorizzata ben oltre il limite di 36 mesi; conseguentemente, da un lato l'attività produttiva inquinante (pericolosa e nociva per la salute e l'ambiente) è proseguita indisturbata, dall'altro non è mai spirato il termine per la deresponsabilizzazione delle condotte realizzate nella conduzione dello stabilimento. Come si è già sottolineato, per i nuovi acquirenti ed i soggetti da essi delegati il termine di operatività dell'esimente è stato differito ai diciotto mesi successivi all'entrata in vigore del DPCM del 29 settembre 2017, secondo l'avvocatura di Stato coincide addirittura con la scadenza dell'autorizzazione integrata ambientale (23.08.2023), ma nulla impedisce al legislatore una ulteriore proroga di queste scadenze.
Ciò significa che per undici anni dal sequestro dello stabilimento - 25 luglio 2012 - quell'impresa (che lo si ripete, è stata già ritenuta pericolosissima per la salute della popolazione, dei lavoratori e dell'ambiente circostante) è stata messa nelle condizioni di continuare a produrre, con la garanzia, per i suoi gestori (e soggetti da essi delegati), di non dover essere chiamati a rispondere dei reati eventualmente commessi in violazione delle norme, di diritto comune, poste a presidio della salute, dell'incolumità pubblica e della sicurezza sul lavoro!
E questo sebbene anche la Commissione Europea abbia ritenuto, invece, che in riferimento alla attività produttiva di quello stabilimento "L'operatore rimane l'unico responsabile di eventuali danni causati a terzi o all'ambiente”

Viene da chiedersi se, attualmente, sia proprio l'interesse economico ad essere divenuto "tiranno" rispetto al diritto alla salute, che pure il legislatore Costituente aveva definito "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività" . E che il legislatore abbia finito con il privilegiare in modo eccessivo l'interesse alla prosecuzione dell'attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili quali la salute e la vita stessa, nonché il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso.

Le norme oggi impugnate presentano, allora, evidenti profili di contrasto innanzitutto con l'art. 3
della Costituzione, ossia con il principio di uguaglianza, dal momento che identici fatti-reato se commessi da alcune imprese, possono determinare il blocco dell'attività produttiva e la responsabilità dei loro massimi dirigenti o proprietari, se commessi, invece, dai soggetti preposti allo stabilimento ILVA di Taranto non comportano analogo effetto, determinandosi in questo modo, una inammissibile disparità di trattamento.
Nel caso di specie la impugnata disciplina contrasterebbe con il principio di eguaglianza, in quanto sottrae ai criteri di ordinaria perseguibilità di un reato commesso nella gestione di uno stabilimento industriale, per un prolungato lasso di tempo, esclusivamente i proprietari e i commissari dello stabilimento ILVA di Taranto (ovvero i loro delegati), mentre lascia assoggettabili a sanzioni penali tutti i dirigenti e/o proprietari di altre imprese che, nelle stesse condizioni, esercitino un'attività economica potenzialmente pericolosa per la salute pubblica (ma analogamente importante per l'economia e/o i livelli occupazionali di un territorio).
Se, infatti, è sufficiente il rispetto delle prescrizioni del Piano ambientale per considerare lecita l'attività produttiva e "irresponsabili" i proprietari/gestori dello stabilimento, in tal modo autorizzati a porre in essere condotte che potenzialmente pericoloso per l'ambiente e la salute e che altrove sarebbero perseguite anche penalmente, in forza delle norme di "diritto comune".
Quelle norme appaiono un ingiustificato privilegio concesso esclusivamente ad una sola realtà produttiva, nell'adeguamento agli standard di sicurezza per la salute dei lavoratori e dei cittadini, rispetto alla generalità delle altre imprese.
Solamente lo stabilimento ILVA di Taranto può proseguire così a lungo l'attività produttiva pur in presenza di impianti palesemente inquinanti e soltanto i suoi proprietari e/o dirigenti possono godere di quella scriminante speciale.
La Corte Costituzionale nella sentenza n. 80 del 1969, nel delineare i profili di legittimità delle "leggi singolari" ha rilevato che esse devono corrispondere a una obiettiva diversità della situazione considerata, rispetto a realtà omogenee, la quale giustifichi razionalmente la disciplina differenziata
Ove queste condizioni non esistano si determineranno ingiustificate condizioni di vantaggio o di svantaggio per i soggetti della situazione e del rapporto regolato dalla legge, in relazione ai soggetti della serie delle situazioni o dei rapporti che ne sono stati esclusi". Nel caso di specie, si è provveduto in merito a una situazione singola, che risulta non obiettivamente diversa da altre situazioni, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Appare altresì violato l'art. 41 della Costituzione, che impone all'attività di impresa di non recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana. Non poter perseguire, per un lasso di tempo potenzialmente indefinito, i soggetti che espongono a pericolo la salute, l'incolumità e la vita dei lavoratori e della popolazione che vive in prossimità dello stabilimento confligge apertamente con il dettato costituzionale, non potendo l'attività produttiva essere esente da controlli giurisdizionali e dovendo essere attenta alle esigenze basilari della persona.
Di fronte dunque ad un rischio produttivo e tecnologico e a disastri che, per legge, non possono essere sanzionati penalmente, il diritto alla salute, all'ambiente salubre, ad un lavoro sicuro vengono seriamente compromessi, per tutelare una realtà economica.

Da ultimo, le norme censurate si pongono in evidente contrasto con l'art. 117 della Costituzione perché violano gli obblighi internazionali assunti dall'Italia, con l'adesione alla Convenzione europea sui diritti umani e, segnatamente, quelli derivanti dagli artt. 2 ("il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge"), 8 ("ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, nel proprio domicilio':) e 13 ("ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un'istanza nazionale")...

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