Ecco come la diga italiana costruita in Etiopia ha portato fame e conflitti per gli indigeni
La diga italiana costruita in Etiopia, la Gibe III, non ha portato solo elettricità in quella parte del paese. Povertà, fame, conflitti e violazioni dei diritti umani sono solo alcune delle conseguenze che hanno dovuto subire gli indigeni.
Il prezzo per controllare il flusso di acqua per migliorare l’agricoltura è molto alto. I danni ambientali e umani sono tantissimi secondo il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni Survival che ha denunciato i devastanti effetti della diga italiana.
Il rapporto dell’Oakland Insitute relativo agli effetti della diga Gibe III punta i riflettori sulle terribili
condizioni in cui sono costretti a vivere gli indigeni: migliaia di persone sono state allontanate dalle loro case e obbligate a soffrire la fame.
“Come ci hanno ingannato: vivere con la diga di Gibe III e le piantagioni di canna da zucchero nell’Etiopia sudoccidentale”, questo il titolo dello studio che si basa su oltre dieci anni di ricerche e interviste ad esponenti delle tribù indigene per comprendere l’impatto che ha avuto su di loro la diga ma anche iniziative agricole come il Kuraz Sugar Development Project.
Anuradha Mittal, direttore dell’Oakland Institute, ha spiegato: “Per i popoli indigeni, a riempire il vuoto ci hanno pensato una serie di problemi, tra cui fame, povertà, conflitti e abusi dei diritti umani.”
Per costruire la diga, enormi porzioni di terra, infatti, sono state trasformate in enormi piantagioni industriali di cotone ma soprattutto canna da zucchero da esportazione.
Secondo il rapporto dell’Oakland Institute, sono soprattutto tre gruppi indigeni ad essere seriamente in pericolo a causa della diga: i Bodi, i Mursi e i Kwegu.
Il governo ha più volte promesso di rilasciare periodicamente acqua dalla diga in inondazioni controllate per simulare la naturale espansione del fiume da cui dipendono tutti e tre i gruppi per le loro colture e per abbeverare il bestiame. Ma il report dell’Oakland Institute ha rivelato che le alluvioni controllate non sono mai avvenute in realtà.
Gli indigeni raccontano che quelle terre erano “fertili, piene di grano” prima della diga italiana e adesso invece “c’è solo la morte”.
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