Proseguiamo
l'esposizione del testo di Marx attraverso le parole stesse di Marx
perchè esse sono le più chiare e popolari - inteso, rivolte agli
operai possibili - ed è importante che gli operai e gli altri
fruitori del corso si approprino direttamente dei contenuti del
testo.
Sarà
alla conclusione dell'esposizione dei suoi concetti base che potremo
usarli come armi utili all'obiettivo del corso; cioè armi della
lotta per il salario, armi per la lotta di classe, combattendo, come
è necessità dell'oggi, gli odierni "Weston", cioè a dire
i portavoci coscienti o incoscienti del capitale.
*****
Marx,
per confutare il "dogma" per cui "I
prezzi delle merci vengono determinati o regolati dai
salari", scrive:
"gli
operai di fabbrica, i minatori, i carpentieri navali e altri operai
inglesi, il cui lavoro è relativamente ben pagato, battono tutte le
altre nazioni per il basso prezzo dei loro prodotti, mentre, per
esempio, l'operaio agricolo inglese, il cui lavoro è pagato
relativamente male, è battuto da quasi tutte le altre nazioni per
l'alto
prezzo dei suoi prodotti.". Quindi "a
parte alcune eccezioni più apparenti che reali, in media il lavoro
pagato bene produce le merci più a buon mercato, e il lavoro pagato
male produce le merci care".
Tutto il contrario, quindi, di quello che afferma Weston secondo cui
"i
prezzi delle merci non sono determinanti dai prezzi del lavoro",
per cui se aumenta il salario aumenterebbe di conseguenza il prezzo
delle merci.
Ma
prosegue Marx: “Che
cosa intendiamo dire quando affermiamo che i prezzi delle merci sono
determinati dai salari? Poichè i salari non sono che un termine per
designare il prezzo del lavoro, intendiamo dire con ciò che i prezzi
delle merci sono determinati dal prezzo del lavoro. Poichè "prezzo"
è valore di scambio… espresso
in denaro,
la cosa si riduce a dire che "il
valore della merce è determinato dal valore del lavoro",
oppure che "il
valore del lavoro è la misura generale del valore".
Ma
allora come viene determinato a sua volta il "valore
del lavoro"?
Qui arriviamo a un punto morto...”.
“Prima
egli (Weston) ci ha detto che i salari regolano i prezzi delle merci
e che perciò i prezzi devono salire quando salgono i salari. Poi ha
fatto un mezzo giro per mostrarci che un aumento dei salari non
servirebbe a niente perchè i prezzi delle merci sono saliti, e
perchè i salari di fatto sono misurati dai prezzi delle merci per le
quali essi vengono spesi. Incominciamo dunque con l'affermazione che
il valore del lavoro determina il valore della merce, e terminiamo
con l'affermazione che il valore della merce determina il valore del
lavoro. Ci aggiriamo dunque in un circolo vizioso e non arriviamo a
nessuna conclusione… perchè determiniamo un valore per mezzo di un
altro valore che, a sua volta, ha bisogno di essere determinato…”
“La
prima domanda che dobbiamo porci è la seguente: - Che cos'è
il valore di
una merce? Come viene esso determinato?”.
Se
una quantità di una merce (per es. un quarter di grano) si può
scambiare con un’altra quantità di un’altra merce (per es.
ferro), si dice che il valore dell’una e il suo controvalore
nell’altra merce “sono
uguali a una terza cosa,
che non è né grano né ferro, poichè ammetto che essi esprimono la
stessa grandezza in due forme diverse.”
Qual’è,
allora, la “terza
cosa”?
“Quale
è
– scrive Marx - la sostanza
sociale comune
a tutte le merci? E' il lavoro.
Per produrre una merce bisogna impiegarvi o incorporarvi una quantità
determinata di lavoro, e non dico soltanto di lavoro,
ma di lavoro sociale…
Ma, come si misura la quantità
di lavoro?
Secondo il tempo
che dura il lavoro,
misurandolo a ore, a giorni, ecc. Naturalmente, per impiegare questa
misura tutti i generi di lavoro vengono ridotti a lavoro medio o
semplice come loro unità di misura.
Arriviamo
dunque a questa conclusione: una merce ha un
valore,
perchè è una cristallizzazione
di lavoro sociale…
I
valori relativi delle merci sono
dunque determinati dalle corrispondenti
quantità o somme di lavoro impiegate, realizzate, fissate in esse.
Le quantità di merci corrispondenti l'una
all'altra, che possono essere prodotte nello
stesso tempo di lavoro,
sono uguali.
Oppure, il valore di una merce sta al valore di un'altra come la
quantità di lavoro fissata nell'una sta alla quantità di lavoro
fissata nell'altra”.
Marx
continua affrontando un’altra errata concezione: “Voi
dovete ad ogni modo tener presente che la remunerazione
del
lavoro e la quantità del
lavoro sono cose del tutto diverse…”.
Quando
scambiamo due merci perché hanno lo stesso valore “perchè
sono la cristallizzazione
di uguali quantità di lavoro medio,
perchè rappresentano tanti giorni o tante settimane di lavoro
fissato in ognuno di essi. Determinando in questo modo i valori
relativi dell'oro e del grano, ci riferiamo noi, in un modo
qualunque, ai salari degli
operai agricoli o dei minatori? Menomamente…”.
Benchè i valori delle merci scambiate sono uguali, i salari degli
operai che hanno prodotto l’una e l’altra merce possono essere
differenti o anche se fossero uguali “essi
possono divergere secondo tutti i rapporti possibili dai valori delle
merci che essi hanno prodotto”.
Quindi
“La
determinazione dei valori delle merci secondo le quantità
relative di lavoro che sono fissate in esse,
è quindi completamente diversa dal metodo tautologico della
determinazione dei valori delle merci secondo il valore del lavoro,
cioè secondo i salari”
“Nel
calcolo del valore di scambio di una merce, alla quantità di lavoro
impiegato da ultimo per la sua produzione dobbiamo ancora
aggiungere la quantità di lavoro anteriormente incorporata
nella materia prima della merce, e il lavoro impiegato per i mezzi di
lavoro, gli strumenti, le macchine, i fabbricati, necessari per
realizzare il lavoro. Per esempio, il valore di una certa
quantità di filati di cotone è la cristallizzazione della quantità
di lavoro che è stato aggiunto al cotone durante il processo di
filatura, della quantità di lavoro già precedentemente realizzata
nel cotone stesso, della quantità di lavoro incorporata nel carbone,
negli oli e nelle altre sostanze ausiliarie impiegate, e della
quantità di lavoro fissata nella macchina a vapore, nei fusi,
nell'edificio della fabbrica, e così via”.
Marx
poi torna alla spiegazione precedente secondo cui la sostanza
sociale comune a tutte le merci è il lavoro… ma il
lavoro sociale.
Perchè
“Potrebbe
sembrare –
scrive Marx
- che, se il valore di una merce viene determinato dalla quantità
di lavoro impiegata per la produzione di essa, ne derivi che, quanto
più un operaio è pigro e maldestro, tanto maggior valore abbiano le
merci da lui prodotte, dato che il tempo di lavoro necessario per la
produzione di esse è in tal caso più lungo”. Ma
non è così “Quando
diciamo che il valore di una merce è determinato dalla quantità di
lavoro in essa incorporata o cristallizzata, intendiamo la quantità
di lavoro necessaria per la sua produzione in un determinato
stato sociale, in determinate condizioni sociali medie di produzione,
con una determinata intensità media sociale e una determinata
abilità media del lavoro impiegato”.
Inoltre
“La
quantità di lavoro necessaria per produrre una merce varia
continuamente col variare delle forze produttive del lavoro
impiegato. Quanto più grandi sono le forze produttive del lavoro,
tanto maggiore è la quantità di prodotti che si producono in un
determinato tempo di lavoro; e quanto minori sono le forze produttive
del lavoro, tanto meno verrà prodotto nello stesso tempo”
“le
forze produttive del lavoro devono dipendere essenzialmente:
Primo.
Dalle condizioni naturali
del
lavoro, dalla fertilità del suolo, dalla ricchezza del sottosuolo,
ecc.
Secondo.
Dal miglioramento progressivo delle forze
di lavoro sociali,
che deriva dalla produzione su grande scala, dalla concentrazione del
capitale e dalla coordinazione del lavoro, dalla divisione del
lavoro, dalle macchine, dai metodi di lavoro perfezionati,
dall'applicazione di forze naturali chimiche e d'altro genere, dalla
riduzione del tempo e dello spazio grazie ai mezzi di comunicazione e
di trasporto, e da tutte le altre invenzioni per mezzo delle quali la
scienza piega le forze della natura al servizio del lavoro, e che
sviluppano il carattere sociale o cooperativo del lavoro stesso. Più
le forze produttive del lavoro sono grandi, tanto meno lavoro viene
impiegato in una determinata quantità di prodotti, e perciò tanto
minore è il valore del prodotto. Più le forze produttive del lavoro
sono piccole, tanto più lavoro viene impiegato nella stessa quantità
di prodotti, e perciò tanto maggiore è il loro valore. Possiamo
dunque stabilire come legge generale quanto segue:
I
valori delle merci sono in ragione diretta del tempo di lavoro
impiegato per la produzione di esse, e in ragione inversa delle forze
produttive del lavoro impiegato”.
Tornando
ai prezzi delle merci e alle cause del loro aumento o diminuzione –
per ulteriormente ribadire che non dipendono dal salario – Marx
scrive:
“Il prezzo di mercato esprime soltanto la quantità media di
lavoro sociale necessario, in condizioni medie di produzione,
per fornire al mercato una certa quantità di un determinato
articolo. Esso viene calcolato secondo la quantità totale di una
merce di una determinata specie.
In
questo senso il prezzo di mercato di una merce coincide con
il suo valore. Invece le oscillazioni dei prezzi di mercato, che
talvolta superano il valore, o il prezzo naturale, tal altra volta
gli sono inferiori, dipendono dalle oscillazioni della domanda e
dell'offerta… Ma domanda ed offerta devono costantemente tendere a
equilibrarsi, quantunque ciò avvenga soltanto perchè una
oscillazione viene compensata da un'altra, un aumento da una caduta e
viceversa”.
“Se
dunque nel complesso e tenendo conto di lunghi periodi di tempo ogni
specie di merce è venduta al suo valore, è assurdo supporre che il
profitto, - non il profitto realizzato nei singoli casi, ma il
profitto costante e abituale delle diverse industrie, - derivi dal
sopraccaricare i prezzi delle merci, o dal fatto che esse sono
vendute a un prezzo notevolmente superiore al loro valore.
L'inconsistenza di questa opinione diventa evidente se la si
generalizza. Ciò che uno guadagna costantemente come venditore,
dovrebbe perderlo costantemente come compratore”.
“Quindi,
per spiegare la natura generale dei profitti, dovete partire dal
principio che le merci in media sono vendute ai loro valori reali, e
che i profitti provengono dal fatto che le merci si vendono ai loro
valori, cioè proporzionalmente alla quantità di lavoro che in esse
è incorporata”.
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