25 aprile, la storia dell’unica brigata composta da sole donne: “Coscienza di genere e prime lotte per parità salariale”
La più anziana aveva settant’anni e usava il nome di battaglia “Nonnina”. La più giovane ne aveva quindici ed entrambi i suoi genitori erano stati deportati. Sui monti liguri, negli anni dell’occupazione nazifascista, ha combattuto l’unica brigata partigiana composta da sole donne, anche nei gradi di comando. Nell’autunno 1944 prese il nome di “brigata Alice Noli”, in omaggio a una giovane staffetta di Campomorone, nell’entroterra di Genova, seviziata e uccisa dalle milizie nere per aver dato sepoltura ad alcuni tra i 147 partigiani morti nell’eccidio della Benedicta, nell’aprile dello stesso anno.
Alice era una ragazza piena di passioni: amava il canto e la pittura, “e spesso scendeva da Campomorone fino al centro di Genova per ottenere un autografo dai suoi artisti preferiti”, racconta Massimo Bisca, presidente provinciale dell’Anpi. A 16 anni aveva cominciato a lavorare alla Brambilla, una ditta di pelletteria nel quartiere genovese di Pontedecimo. Fece assidua propaganda partigiana, procurò aiuti e rifornimenti e collaborò con i Gruppi di difesa della donna, la più importante organizzazione femminile di sostegno alla Resistenza. Nel gennaio del 1944 era entrata a far parte della 3° brigata “Liguria”. Scoperta e catturata insieme ad altri sei compagni, venne portata in caserma: poiché si rifiutava di fornire informazioni, fu caricata su un camion e infine fucilata.
Nei mesi successivi, la brigata femminile che già operava sui monti di Genova – svolgendo una funzione di raccordo tra gli stabilimenti industriali della Val Polcevera e i nuclei partigiani – adotta il nome di Alice. Con l’inizio della guerra le donne avevano sostituito gli uomini in molti luoghi di lavoro, sviluppando coscienza di genere e iniziando le prime lotte per la parità salariale. L’8 marzo ’45 le donne della ‘Alice Noli’ distribuirono clandestinamente a Genova 20mila volantini e realizzarono oltre 500 scritte sul selciato, per testimoniare il proprio ruolo nella Resistenza.
Dopo la Liberazione, nel grande corteo del 1° maggio in cui sfilarono tutte le formazioni partigiane, qualcuno non vedeva di buon occhio la presenza della brigata femminile. Un dirigente delle Sap – Squadre d’azione patriottica – disse a una partigiana di stare attente a sfilare in pantaloni, perché avrebbero rischiato di sembrare delle poco di buono. “Lei gli rispose in malo modo – racconta Massimo Bisca – e assicurò che avrebbero cucito delle gonne per il corteo, ma lo mise in guardia dal toccare le armi dei fascisti che loro stesse avevano conquistato in battaglia”.
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