Fca, ancora contratti di solidarietà alla Maserati di Grugliasco: quasi 1.500 addetti in esubero temporaneo
Interessa 2.400 operai. L'allarme della Fiom: "Situazione drammatica, non ci sono investimenti"documento
FIAT:
Quattordici
anni
di
piani
industriali
per
fregare
gli
operai un contributo di informazione e analisi sommaria
L’ennesimo
piano
FCA
lanciato
a
Mirafiori
dagli
eredi
di
Marchionne
prevede
investimenti
per
cinque
miliardi
nei
prossimi
tre anni
e tredici
modelli,
tra nuovi
o
rifatti,
“da
lanciare
entro
il
2021”,
ma
iniziando
a preparare
le
cose
“da
subito”:
MIRAFIORI:
A
Mirafiori
verrà
prodotta la
500 elettrica.
TERMOLI:
Nello
stabilimento
di
Termoli
sarà
realizzata
una
nuova
linea
produttiva
per
realizzare
i
nuovi
motori
benzina
Fire
Fly
1.000,
1.300,
turbo,
aspirati
e
ibridi
MELFI:
A
Melfi,
dove
attualmente
si
fanno
la
500X
e
la
Jeep
Renegade,
saranno
prodotte
anche
la
Jeep Renegade
ibrida
plug-in
e
la
Jeep
Compass.
POMIGLIANO:
Nello
stabilimento
Fca
di
Pomigliano
sarà
prodotto
il
suv
compatto
dell'Alfa
Romeo.
Il
modello
affiancherà
la
Panda
che
continuerà
a
essere
prodotta
nello
stabilimento
campano.
PRATOLA
SERRA.
A
Pratola
Serra
in
provincia
di
Avellino
verrà
prodotta
un'evoluzione
degli
attuali
modelli
diesel.
CASSINO.
Entro
i
prossimi
tre
anni
verrà
avviata
la
produzione
di
un
nuovo
SUV
medio
con
marchio Maserati.
Le
dichiarazioni
hanno
suscitato
subito
il
coro
entusiasta
dei
sindacalisti
filo
aziendali
perché
“il
piano
FCA
è in
grado
di
saturare
tutti
gli
stabilimenti
italiani”.
È
un
gioco
delle
parti
che
va
avanti
da
anni.
Credere
ancora
ai
piani
industriali
della
FIAT
diventa
possibile
solo
per
quelli
che
sono
pagati
per
farlo.
Basta
guardare
alla
proliferazione
di
questi
piani
nel
corso
degli
anni
e
alla
loro
sistematica
non
attuazione
che
i giornali,
volente
o
nolente,
hanno
dovuto
sottolineare,
che
di
fronte
all’ennesimo
parto
anche
l’operaio
più
sprovveduto
apra
gli
occhi.
Nel
primo
piano
industriale,
quello
dell’agosto
2004,
si
prevedevano
dieci
modelli
in
tre
anni.
Dopo
un
anno,
ancora
prima
di
vedere
la
luce
viene
già
cambiato:
questa
volta
se
ne
garantiscono
17
nuovi
modelli
nei
successivi
quattro
anni,
più
13 restyling
e
9,55
miliardi
di
investimenti.
Alla
presentazione
del
terzo
piano
(novembre
2006)
i miliardi
da
investire
salgono
a
16
e
i
modelli
scendono
a
15.
Inoltre,
per
il
marchio
Alfa,
si
promettono
cinque
nuovi
modelli.
Il quarto
piano,
quello
del
2009,
riguarda
soprattutto
le
attività
americane
della
Chrysler,
ma
sempre
nell’anno,
viene
presentato
il
famoso
“Piano
per
l’Italia”:
30 nuovi
modelli
in
24
mesi
e 8
miliardi
di
euro
di
investimenti
nell’Auto.
In
un
crescendo,
quattro
mesi
dopo
arriva
“Fabbrica
Italia”,
che
partirà
da
Pomigliano
e
che
prevede
preliminarmente
l’annientamento
di
tutta
l’opposizione
operaia.
A
Pomigliano
verranno
subito
fatti
fuori
tutti
i
sindacati
alternativi
e la
FIOM.
Quasi
tutti
gli
attivisti
e gli
iscritti
andranno
al
reparto
confino
di
Nola.
Quel
piano
prevede
20
miliardi
di
investimenti
per
triplicare
la
produzione
italiana
di
auto
e
arrivare
a
vendere,
insieme
a
Chrysler,
6
milioni
di
vetture
nel
mondo
con 47
nuovi
modelli
da
lanciare
sul
mercato.
Dopo
appena
14
mesi,
“Fabbrica
Italia”
viene
ritirato
e
Marchionne
ripiega
su
un
ben
più
modesto
piano
industriale
(il
settimo)
che
prevede
il
lancio
di
due
Suv,
peraltro
mai
visti.
Con
l’ottavo
piano
(30 ottobre
2012),
si
abbassano
le
previsioni
di
vendita:
da
6
milioni
di
auto
si
scende
a
4,6,
massimo
4,8,
e
i
modelli
da
lanciare
calano
a
30.
A
Detroit,
nel
2014
viene
presentato
un
altro
piano
che
per
l’Italia
prevede
circa
5
miliardi
d’investimento
per
il
solo
marchio
Alfa
e
due
per
la
sola
Maserati.
La
novità
consiste
nella
scelta
di
produrre
principalmente
auto
di
livello
medio
alto.
la
FCA
prevede
una
crescita
legata
soprattutto
a
un'espansione
internazionale
guidata
da
Jeep
e
Alfa
Romeo:
il
marchio
americano
punta
a
vendere
1,9
milioni
di
fuoristrada
nel
2018,
più
che
raddoppiando
rispetto
alle
730mila
unità
dell'anno
precedente;
nel
2018
Jeep
sarà,
insieme
a
Fiat,
il
marchio
più
venduto
del
gruppo
Fca.
Il Biscione
scommette
su
quota
400mila
e promette
di
investire
5
miliardi
di
euro
in
5
anni
per
8
modelli
nuovi,
cui
si aggiungeranno
2
miliardi
per
la Maserati.
Fiat
dovrebbe
crescere
anch'essa
–
da
1,5
a
1,9
milioni
di
unità
–, soprattutto
in
Asia,
e
manterrà
anche
in
Europa
una
presenza.
Complessivamente
dai
marchi
premium
arriverà
l'80%
della
crescita
del
fatturato.
L’idea
della
dirigenza
FCA
è
quella
di
produrre
con i
costi
minori
sostenuti
in
Italia
e
vendere
principalmente
sul
mercato
americano.
Il
piano
prevede:
200mila
Jeep,
400mila
Alfa
Romeo,
75mila
Maserati
(rispetto
alle
15mila
del
2013)
e
la conferma
di
un
ruolo
non
di
nicchia
per
il
marchio
Fiat,
con
l'obiettivo
di
saturare
al
100%
le
fabbriche
entro
il
2018.
È
inutile
dire
che
anche
in
questo
caso
la
realtà
è
molto
diversa
dalla
fantasia.
Di
fronte
a
questa
mirabolante
serie
di
progetti
per
il
futuro
che
non
trova
mai
realizzazione,
gli
stabilimenti
continuano
a
lavorare
a
ritmo
ridotto.
A Pomigliano
circa
la
metà
degli
operai
è
stabilmente
fuori
in
cassa
integrazione
e
contratti
di
solidarietà
da
oltre
dieci
anni.
A
Cassino
le
cose
vanno
anche
peggio,
e
dopo
il
2014,
il
mancato
decollo
dei
nuovi
modelli
Alfa
rende
la
situazione
ancora peggiore.
Mirafiori
è
praticamente
chiusa.
La
stessa
Melfi,
che
ha
rappresentato
con
i
suoi
modelli,
insieme
alla produzione
della
Panda
a Pomigliano,
l’unico
prodotto
che
tira,
ha
avuto
sistematicamente
oltre
mille
operai
in
cassa
integrazione
senza
mai
raggiungere
la
piena
occupazione
neanche
nel
periodo
migliore
della
produzione
di
Jeep
e
500X.
La
dirigenza
FIAT,
da
quello
che
vediamo,
ha
sempre
raccontato
chiacchiere
nel
corso
degli
anni,
ma
questo
non
vuol
dire
che
i
suoi
piani
siano
stati
fallimentari
per
gli
azionisti
di
maggioranza.
I
piani
farsa
sono
stati
un
fallimento
per gli
operai,
ma
hanno
fatto
guadagnare
miliardi
di
euro
agli
azionisti.
Il
gruppo,
da
decotto
che
era
e
super
indebitato,
è
ancora
vivo
e
il
debito
è
stato completamente
azzerato
e
la
proprietà
ha
guadagnato
miliardi
di
euro.
Di
fronte
alle
qualità
gestionali
ostentate
in
pubblico
e
costantemente
osannate
dai
politici
di
turno,
vedi
Renzi
con
Marchionne,
La
FIAT
ha
sempre
navigato
a
vista
avendo
come
unico
obiettivo
il
profitto,
anche
se
poco,
maledetto
e
subito.
Guardiamo
ancora
Pomigliano.
È
partita
con
corsi
di
formazione
che
dovevano
assicurare
la
giusta
professionalità
della
manodopera,
ma
che
in
realtà
dovevano
addestrare
all’asservimento.
Ha
cambiato
le
tute
facendole
di
colore
bianco,
per
eliminare
anche
un
ideale
richiamo
alla
tuta
blu
e
per
dimostrare
che
nella
fabbrica
moderna
l’ambiente
è
ormai
candido
e
pulito.
Ha
martellato
i
quadri
intermedi
sul
controllo
della
forza
lavoro
in
modo
paranoico.
Ha
creato
un
clima
da
caserma,
dove
il
ricatto
della
cassa
integrazione,
o
peggio,
del
licenziamento,
ha
fatto
sì
che
per
anni
non
ci fossero
più
gli
scioperi.
Nello
stesso
tempo
il
modo
di
lavorare
è
peggiorato
profondamente.
Le
pause
sono
state
ridotte
a
tal
punto
da
non
dare
neanche
più
il
tempo
per
soddisfare
i
bisogni
fisiologici.
La
mensa
è stata
spostata
a
fine
turno
costringendo
gli
operai
ad
alimentarsi
dopo
oltre
sette
ore
di
lavoro.
I
ritmi
sono
diventati
impossibili
adeguandoli
a
capacità
fisiche
che
si
possono
riscontrare
solo
in
giovani
nel
pieno
delle
forze,
e
ti
rendono
già
vecchio
per
quelle
produzioni,
già
a
cinquant’anni.
I
salari
sono
poi
diminuiti,
anche
per
quelli
che
hanno
lavorato
costantemente
che,
con
il
contratto
FCA,
hanno
avuto
salari
inferiori
agli
altri
metalmeccanici.
Nel
frattempo
metà
fabbrica
era
fuori,
a
carico
dell’INPS
e
dei
propri
compagni
in
cassa
integrazione
e
contratti
di
solidarietà
attanagliata
da
problemi
economici
e
insicurezza
per
il
futuro.
Mentre
Marchionne
guadagnava
800
milioni
di
euro,
gli
operai
andavano
sempre
di
più
in
miseria.
L’ennesimo
piano
farsa
presentato
a
Mirafiori
dagli
eredi
di
Marchionne
puzza
di
falso
già
al
momento
della
sua
presentazione.
È
tutto
orientato
verso
l’auto
elettrica,
dove
la
FIAT
parte
con
enorme
ritardo
rispetto
ai
concorrenti.
Si prevedono
solo
5
miliardi
di
investimenti
per
il
triennio,
molto
al
di
sotto
degli
investimenti
mirabolanti
dei
piani
precedenti
e,
cosa
fondamentale,
inadeguati
già
ad
occhio
per
aggredire
un
segmento
di
mercato
dove
i
concorrenti
hanno
già
speso
cifre
astronomiche
per
organizzarsi
e
sono
già
molto
più
avanti.
I
tempi
sono
come
al
solito
lunghi.
A
Pomigliano,
per
esempio,
per
fare
il
SUV
proposto
si
dovrà
preparare
una
nuova
linea
di
montaggio
completamente
nuova
con
investimenti
e
tempi
di
una
certa
consistenza
che
già
poco
corrispondono
a
quelli
pubblicizzati.
Salvo
fare
la
nuova
produzione
sulle
stesse
linee
della
Panda
che,
ammesso
che
sia
tecnicamente
possibile,
coinvolgeranno
gli
stessi
operai
di
prima
senza
più
assicurare
“la
piena
occupazione”
ancora
una
volta
promessa.
A
questi
problemi
si
aggiunge
l’età
relativamente
avanzata
di
molti
operai
che,
consumati
dai
ritmi
sulle
linee
di
montaggio,
il
padrone
considera
superflui
perché
ritenuti
inadeguati
a
nuove
produzioni
che
presuppongono,
se
funzionano,
ritmi
ancora
più
duri
di
quelli
attuati
sulla
linea
Panda.
Ma
oltre
a
questi
problemi,
il
gruppo
attualmente
ricopre
una
fetta
di
mercato
in
Europa
estremamente
ridotta
e
in
continua
contrazione.
Risalire
questa
montagna
non
è
un’impresa
facile.
Non
è
una
questione
di
capacità
manageriali,
né
di
volontà,
ma
di
soldi.
Il
gruppo
FCA
rappresenta
grosso
modo
il
settimo
gruppo
mondiale,
gli
altri
gli
stanno
davanti
perché
hanno
più
risorse,
più
capitali,
conseguentemente
più
capacità
di
investimento.
Tutte
qualità
che
non
si
improvvisano,
né
tantomeno
sono
possibili
con
aiuti
statali,
che
d’altra
parte
intervengono
massicciamente
anche
per
i
concorrenti.
Quello
che
ne
deriva
è
che
la
FIAT
sia,
almeno
in
Europa,
al
capolinea
come
gruppo
indipendente.
Il
suo
futuro
è
legato
all’intervento
di
investitori
stranieri.
La
nuova
dirigenza
FIAT,
seguendo
in
questo
le
orme
di
Marchionne
e
gli
interessi
della
proprietà,
spara
l’ennesimo
piano
triennale
e,
inizia
anche
a
investire
qualcosa
qua
e
là,
possibilmente
con
l’aiuto
dello
stato,
ma per
preparare
il
giocattolo
per
una
vendita.
L’insistenza
sullo
sviluppo
dell’auto
elettrica,
rappresenta
di
fatto
un
invito
agli
investitori
cinesi
che,
nel
campo
dell’auto
elettrica,
rappresentano
una
potenza
emergente
a
livello
mondiale
e
possono
avere
bisogno
di
una
testa
di
ponte
in
Europa
che
rappresenta
ancora
uno
dei
maggiori
mercati
per
l’auto.
Franco
Rossi
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