Dal Convegno del 20 ottobre a Firenze "Il 41 bis, una
tortura (S)conosciuta? - A 26 anni dalla sua istituzionale, le restrizioni
imposte ai detenuti sono servite (e servono) a indebolire le organizzazioni
criminali?", pubblichiamo oggi gli interventi dell’avvocata
di Nadia Lioce, Carla Serra, e del Professor Giuseppe Antonio Di Marco.
Professor Giuseppe Di Marco ((già Ordinario di Filosofia della Storia presso l'Università Federico II di Napoli)
Dal primo
emerge con forza l’obbiettivo immediato, concreto del 41 bis su Nadia Lioce in
quanto prigioniera politica, attraverso la lettura dei dispositivi che negli
anni le sono stati applicati e la narrazione delle continue vessazioni cui è
stata sottoposta.
L'intervento
di Di Marco è importantissimo, perché parte da un'analisi scientifica,
marxista, del concetto proprietario di sicurezza nelle costituzioni borghesi.
Ma per introdurre quest'analisi è dovuto partire da una lunga premessa, sulla
base di alcuni interventi che lo hanno preceduto e che in parte sono rimasti
impantanati in un discorso prettamente “costituzionalista” e dello stato di
diritto
La
sessione pomeridiana è stata aperta dalla toccante performance dell’attrice
Monica Serra, che con la mordacchia di Giovanna D’Arco e la bottiglietta di
Nadia Lioce è riuscita a dare densità e corpo all’atroce tortura invisibile del
41 bis. I Video che qui sotto riportiamo sono estratti da:
https://www.radioradicale.it/scheda/555053/il-41-bis-una-tortura-sconosciuta-a-26-anni-dalla-sua-istituzionale-le-restrizioni
Carla Serra, Avvocata di Nadia Lioce
Io, unitamente
alla collega Caterina Calia e a un'altra collega, l'avvocato Luna, che oggi non
è potuta essere presente, in qualità di difensori di Nadia Lioce, è da quindici anni che discutiamo,
parliamo, portiamo avanti la nostra battaglia, diciamola così, anche se sempre
nelle sedi istituzionali, contro il quarantuno bis. Perché già dall'inizio, già dal momento
della sua applicazione per i detenuti politici, erano evidenti le storture e il suo assetto, già dall'inizio,
strideva con i principi dell'ordinamento, del nostro ordinamento costituzionale.
Abbiamo portato
avanti la nostra battaglia sempre nelle sedi opportune, dinanzi alla
magistratura, perché questo è il nostro compito e questa battaglia si è snodata
attraverso varie fasi, vari momenti, che mi piacerebbe, brevissimamente
ripercorrere, per capire appunto
a che livello si è arrivati oggi. Dall'inizio, parecchio tempo fa, noi ci scontravamo e contestavamo l’inumanità di questo regime, nel
momento in cui la Lioce e le altre donne del carcere di L'Aquila si trovavano
in questo reparto, chiamato area gialla o riservata. E già il nome appunto
rimandava ad un luogo segregativo, già rimandava alla sua natura segregativa. Nell'isolamento e nella segregazione il
livello di restrizioni e di vessazioni aumentava sempre più, ed era giunto al punto in cui venivano
censurate, scusatemi, le parole e le
idee, tanto che si era reso necessario, in quel periodo, un intervento, da noi
ovviamente sollecitato come difensori, da parte della Corte di Cassazione. La
Corte di Cassazione aveva in quel
momento ricordato alla magistratura di sorveglianza, ma io direi all'intero
sistema, quali fossero i limiti invalicabili di un sistema democratico.
E vi leggo
brevissimamente quelle due frasi della motivazione della Corte di Cassazione.
Diceva così: “Ebbene va rilevato che in particolare è stato rifiutato l'inoltro di
una rivista, in libera vendita nelle edicole, solo
perché dal sommario è emerso che esso contiene un articolo su “strategie della
controrivoluzione” e che inoltre si rimprovera alla detenuta - ovviamente
alla Lioce - di aver criticato il
precedente ministro della giustizia. Ciò
che allarma i giudici del merito insomma, sono parole come comunismo, lotta di
classe, controrivoluzione. Al
proposito non si vede per quale motivo anche un detenuto non possa avere e
coltivare le sue idee politiche e non si vede perché lo stesso debba essere
censurato, quando tale condotta non
ponga in alcun modo in pericolo l'ordine intramurario. Il provvedimento in
questione si limita a censurare le
idee politiche della Lioce”.
Poco più avanti
e per concludere, diceva la Corte di Cassazione nel 2008: “In sintesi, da un lato
non viene spiegato per quale motivo costituirebbe un atto rivoluzionario la
lettura di un quotidiano, sia pure caratterizzata da una radicale connotazione
politica, dall'altro il giudice del
rinvio neanche si pone il problema di dimostrare per qual motivo le convinzioni
politiche della Lioce possano di per sé sole - badate - per il solo fatto di essere presenti, come si ipotizza, nella mente
della detenuta, costituire un'insidia per il mantenimento dell'ordine e della
sicurezza all'interno del carcere.”
Dopodiché
all'Aquila è arrivato un nuovo presidente - noi abbiamo avuto l'onore,
ovviamente, di sentire la dottoressa Laura Longo stamane e insieme a lei degli
altri magistrati, che io sommessamente dico illuminati - che ha cercato,
diciamo così, di umanizzare il quarantuno bis, per quel che consentivano,
certo, quelle maglie strettissime, appunto, di quella disposizione normativa.
Pertanto in
quegli anni i magistrati cos'hanno fatto? Sono entrati in quei reparti e ne hanno potuto respirare tutta la
disumanità, ve ne ha parlato, appunto, la dottoressa Longo stamane.
Ma è durato
poco, davvero poco, giusto il tempo per far dimenticare le indicazioni che
aveva dato la Corte di Cassazione nel 2008. E’ bastato, ora è brutto dirlo così, un ricambio della
magistratura, perché appunto si sia scordato tutto, tutto quello che era
avvenuto.
E oggi è
completamente sepolto ogni residuo di libertà e garanzie costituzionali. Anzi, io direi che si è tornati
indietro, molto indietro! Si è
alzato il livello di quelle vessazioni, appunto, e di quei soprusi, tanto che oggi leggiamo dei provvedimenti
di trattenimento della corrispondenza, che io oggi non commento, vi leggo dei
passaggi di questi trattenimenti.
Non commento perché poi li dovrò commentare dinanzi alla magistratura di
sorveglianza e non vedo l'ora di commentarli davanti a loro e davanti alla
Corte di Cassazione.
A luglio del
2008 la Lioce riceve una missiva, che porta come mittente tal Bondi Alessandro,
che evidentemente chiederà alla Lioce di spiegare quali siano le condizioni
concrete che ella sta vivendo, ma ovviamente non arriva alla Lioce, come
potrete ben immaginare, e questa è la motivazione del trattenimento: “Considerato
che la missiva proviene da un mittente sconosciuto - badate - sia alla direzione dell'Istituto che,
secondo quanto si evince dalla lettura della stessa, anche alla detenuta; considerato che, come emerge dalla
lettera, il mittente, dopo essersi presentato alla destinataria, manifesta la volontà di iniziare ad
intrattenere con la stessa una corrispondenza epistolare per non meglio
motivate fondate ragioni, se non quella di raccontare la propria vita e di
conoscere meglio quella della detenuta. Ritenuto
che, atteso il fatto che il mittente, persona sconosciuta, ripete sia alla
direzione che alla Lioce, si
trattiene” e quindi non si invia alla Lioce.
Questa
è la prima, La seconda è di un giornalista, Giorgio Sturlese Tosi. Anche lui manda una lettera alla detenuta e le chiede di spiegare
quali siano le condizioni, e questo è il motivo del trattenimento: “Si
dispone il trattenimento poiché le condizioni detentive dei soggetti in
quarantuno bis possono essere valutate tramite atti ufficiali”. Leggetevi
gli atti ufficiali e saprete quali sono le condizioni, questa è la motivazione!
Ed ultima, che
ritengo la più grave, una lettera che l'associazione “Liberarsi Onlus” manda
alla Lioce. E questo è il motivo del suo trattenimento: “Rilevato
che risulta che il mittente della missiva è un membro di un'associazione, di
cui non si conosce il reale scopo, di cui non si conosce l'incensuratezza dei
suoi componenti; ritenuto quindi
che non si può escludere che tale associazione, per il tramite dei suoi membri, possa farsi portatrice di messaggi tra
la detenuta e il gruppo criminale di appartenenza, e che quindi la missiva
cerchi di eludere il controllo sotteso al visto della corrispondenza”. E si trattiene anche questa.
Ma quello che
volevo sottolineare in questa sede, è
come attraverso questa progressione crescente di violazioni, negli anni si sia
arrivati a tollerare, appunto, nel nostro ordinamento, un regime che non solo
censura l'idea, che già di per sé è grave in sé, ma che addirittura vieta la parola.
E questo è quel
lato parossistico che io appunto volevo portare alla vostra attenzione.
L’esasperazione di questo regime, che
trova la sua consacrazione in un processo, che probabilmente conoscerete, che
si è appena svolto presso il tribunale ordinario di L'Aquila, che vedeva
appunto come imputata la Lioce, per avere - e vi leggo brevemente il capo di
imputazione - per avere, mediamente schiamazzi o rumori, provocando o sbattendo
ripetutamente una bottiglia di plastica contro le inferriate della propria
cella, disturbava le occupazioni
o il riposo delle persone detenute”.
Noi arriviamo a
processo, io e la collega Calìa, dove
evidentemente, come ho detto là, grazie a Dio questa questa bottiglietta ha
fatto così tanto rumore e ha avuto così tanta forza da aver rotto, scoperchiato
quel vaso di Pandora, da cui sono fuoriuscite prepotentemente tutte le storture
di questo regime speciale.
E quindi quel
che è stato processato poc'anzi, non è stata più la Lioce, ma è stato un regime
speciale, per un motivo semplicissimo: perché
la Lioce, essendo vietata la parola, anche il buon giorno, e quindi anche alle
altre detenute di dire alla Lioce “smettila di sbattere perché mi stai dando
fastidio con quella bottiglietta”, allora c'era, come dire, la mancanza di
consapevolezza da parte della Lioce evidentemente, di stare arrecando disturbo
alle altre detenute.
E quindi era un
reato impossibile dal nostro punto di vista, perché la Lioce non poteva sapere,
perché nessuno glielo poteva dire che stava arrecando disturbo alle persone!
Badate, una
battaglia che lei ha fatto, perché le erano stati sottratti gli atti
processuali nel corso di una perquisizione, quindi ha portato avanti questa
battaglia, fino al momento in cui gli atti non le sono stati restituiti! E poi ha terminato con questa battaglia.
Ma quel che è
stato rilevante è che un giudice di uno Stato italiano, perché era un giudice,
appunto, ordinario, ha potuto vedere e toccare con mano quale quali fossero le
reali condizioni, ha potuto toccare con mano e capire che le detenute in
quarantuno bis all'Aquila non possono parlare, non si possono nemmeno dire ciao!
Ma quando si ledono i diritti fondamentali e le
prerogative della persona così pervasivamente, prima o poi si è chiamati a
renderne conto, perché prima o poi quelle storture producono degli effetti dirompenti!
E’ per questo
che un processo come quello, che è nato da un reato bagatellare, è diventato portatore di questioni capaci,
appunto, di travolgere la tenuta di un sistema! Di un sistema giuridico, di una
civiltà giuridica e democratica!
Un regime che
in una progressione costante di vessazioni e di soprusi è giunto appunto al
parossismo di vietare ad un essere umano l'uso della parola! Che è una prerogativa coessenziale alla
stessa natura umana, allo stesso essere umano! E’ quello che ci distingue dagli
animali, noi parliamo, abbiamo bisogno di parlare.
E io su questo
vorrei far riflettere!
Se noi
vedessimo sulla bocca della Lioce e delle altre detenute un bavaglio fisico,
come quello che stamattina aveva mia sorella quando
ha fatto la performance, la mordacchia, cosa succederebbe? Che tutti
insorgerebbero alla tortura! Tutti, io immagino.
Ma quel
bavaglio, siccome non si vede, ma c'è, allora siamo in pochi a insorgere!
Però per fortuna almeno noi parliamo comunque di tortura, anche se, come dire, non si vede fisicamente.
Però per fortuna almeno noi parliamo comunque di tortura, anche se, come dire, non si vede fisicamente.
Però volevo
concludere così: che ritengo che non ci si debba mai fermare, mai arrendere.
Più sale il
livello di violazione dei diritti umani e più deve crescere il desiderio di
sensibilizzare tutti, anche quando si
ha la sensazione che, come dire, di scontrarsi con degli ostacoli
insormontabili, che appaiono in quel momento insormontabili, ma che se noi
piano piano questi ostacoli non li togliamo, come
dire, non ci sarà un momento in cui verrà via da sé questo muro e quindi
dovremmo farlo, piano piano.
Noi, io per il
canto mio, come i colleghi, lo facciamo quotidianamente dinanzi a tutte le
magistrature. E quindi anche per
ricollegarmi all'intervento del costituzionalista, quando diceva la Cassazione non è un
inferno, la magistratura non è un inferno, Non
è un inferno, io mi ci rivolgo tutti i giorni!
Alla Cassazione, alla magistratura di sorveglianza, perché spero che,
come dire, piano piano anche la magistratura torni ad avere una sensibilità diversa
e torni ad ascoltarci. Almeno la magistratura di sorveglianza, Grazie
Ascolta il suo intervento
Ascolta il suo intervento
Professor Giuseppe Di Marco ((già Ordinario di Filosofia della Storia presso l'Università Federico II di Napoli)
Allora
buonasera e grazie dell'invito.
Non essendo né giurista come studioso, né operatore proprio del diritto, il mio
discorso potrà sembrare che si muova ai margini del discorso giuridico. In verità credo che sia essenziale, anche
per il discorso specificamente giuridico, cercherò di argomentare questo punto.
E d'altra parte
degli spunti che portano oltre e fuori del discorso giuridico sono emersi da
alcune relazioni di oggi pomeriggio. In
primo luogo il discorso di Caterina Calia. Perché? Perché Caterina ha fatto
vedere poco fa come in queste misure, in questi dispositivi, detti eccezionali,
di eccezione che poi adesso è diventata stabile, e questo sarà il problema che
dopo voglio affrontare, che cosa
accade? Che l'imputato, colui che ha
commesso un reato, diventa il nemico. Questo tipo di passaggio avviene - e lo
dico invece per appunti giuristi con poco di filosofia del diritto insomma, un
poco - avviene esattamente all'inverso
di quello che un giurista importante del secolo scorso, ma che io considero
reazionario dal mio punto di vista, Carl Schmitt, diceva: col diritto
contemporaneo il nemico diventa un criminale. Qui invece abbiamo proprio
l’inverso, il criminale diventa nemico.
E mi ha colpito
una parte del dispositivo, credo che fosse proprio in riferimento alla
questione Nadia Lioce. Cioè, come ragiona l’estensore del dispositivo? C'è una
situazione sociale esplosiva, e chi può dubitarne, c'è la disoccupazione, c'è il pericolo futuro di eventi
sovversivi, ergo Nadia Lioce, o
chi sia, la pensa in un certo modo, allora io che cosa faccio? Faccio la misura
preventiva, né più né meno - e questo punto di riferimento che faccio non è una
semplice analogia, perché costituisce il perno del mio discorso - né più, né
meno di come chi gioca in borsa fa una scommessa sul plusvalore futuro. Perché
il carattere tutto omogeneo alla moderna società capitalistica, al moderno
mercato mondiale del diritto penale insomma, è proprio visibile dentro i
linguaggi di questi dispositivi.
Ecco perché,
dicevo, il mio discorso si muoverà ai
limiti, non perché, lo dico già dall'inizio, io disdegni, tutt’altro, non venivo qua,
l’importanza di tutti i lavori che fanno i giuristi per mitigare, riformare,
attenuare, portare ai limiti, appunto, del possibile queste orribili misure, perché questo
è il punto assolutamente essenziale, ma vanno contestualizzati in un discorso
che non può essere chiaramente sono del diritto, così come il mio non può
essere solo della filosofia o quello che sia - sappiamo, c'è la divisione del
lavoro insomma, però la divisione del lavoro non è l'ultima parola delle società
umane.
Allora se noi
non andiamo a contestualizzare la cosa, l'azione
che si fa è efficacissima sul breve periodo; sul medio - lungo periodo fa
vedere i limiti - oggi si dice con un pessimo linguaggio, le criticità,
linguaggio molto aziendale, da auto-valutazione ma non è questo, e allora perché
è importante contestualizzare? Per sapere, nel senso anche più positivo i
limiti entro cui si muove anche l'importantissimo e opportunissimo discorso
giuridico. Però bisogna guardarlo anche in questo contesto più ampio. E il
contesto più ampio - lo dico con molta
chiarezza, in questo distinguendomi con le impostazioni che ho sentito prima,
ma nell'ottica appunto di un confronto chiaramente - emergeva, come emergeva? Prima di
tutto da quanto diceva Caterina, ma anche da quanto emergeva in due interventi
che ho sentito circa l'inefficacia del quarantuno bis, in ultima istanza, per
la lotta alla mafia. E che cosa emerge
qui? Emerge un punto che, per il
metodo che uso, è decisivo, cioè che tutto il movimento concreto, effettivo,
effettuale del diritto, non quello che sta nella legge chiaramente, ma il
movimento concreto, la sua applicazione, si muove entro rapporti sociali
determinati.
Allora se io
dico che ho avuto la sensazione, insomma, che non si potesse quasi dire, che
sono rapporti di sfruttamento, che sono rapporti di classe, la cosa va presa con massima serietà,
anche perché, se mi consentite una battuta - io sono marxista e Marx, che certo
di lotte di classe se ne intendeva, diceva guardate che l'esistenza delle classi
e della lotta di classe non l'ho inventata io, sono proprio gli economisti
borghesi che l'hanno inventata!
E, se aprite il trattato dell'economia politica della tassazione di David
Ricardo, comincia esattamente con i conflitti delle classi in cui è divisa la
società moderna. - Vabbé, a questo punto
arrestate Ricardo, arrestate Adam Smith, arrestate tutti i moderni che pure hanno creato questo tipo di
diritto insomma, sembra un serpe che si morde la coda! Capite?
E quindi questo
discorso va fatto!
Trovo
sinceramente un po' riduttivo mettersi a fare il discorso “ma allora, allora
dobbiamo fare la rivoluzione, me la sento non me la sento” (da un
costituzionalista intervenuto precedentemente).
Beh, le
rivoluzioni sono dei processi sociali complessissimi, sono processi di epoche,
dove ci sono in gioco soggetti collettivi. Certo sono gli individui che fanno
la storia, che fanno questi soggetti collettivi, ma la loro azione supera di gran lunga la
loro volontà.
E quindi se noi
vediamo la cosa in questa prospettiva, lo facciamo qui, in questa sede, poi
ognuno si fa le sue scelte chiaramente, per
andare a capire questi nessi di lungo periodo, entro cui questi fenomeni
giuridici immediati si muovono e in cui
è giustissimo, opportuno, non c'è altro da fare che l’intervento
immediato del giurista o di chi sia, insomma, ma che vanno visti entro questo
tempo, non fosse altro che per poterli capire!
Ma l’azione, in
ultima istanza, è frutto di un processo collettivo, per cui direi di seguire
queste piccole analisi proprio entro questa ottica. Ho voluto fare questa
premessa circa appunto il metodo di lavoro per potere rendere chiaro l'ambito
entro cui faccio il mio discorso.
E allora quando altre relazioni ci hanno fatto
questo discorso, anzi, una delle ultime che ho sentito, mi pare del Garante
insomma, non so, diceva “ma allora se non c'è un effetto concreto rispetto al
fine allora perché ci sta?!”
Chiaramente,
vista in questa prospettiva, il problema dove è? Che i rapporti sociali
attuali, gli assetti proprietari attuali siano diventati insostenibili rispetto
alle esigenze della società circa la produzione e la distribuzione della
ricchezza - e non lo dice insomma
l'ultimo bolscevico, lo dicono i manager della City di Londra insomma. Cioè, che ci sia una questione cruciale circa l’intera forma di
produzione esistente è qualche cosa che emerge anche alla consapevolezza
immediata!
Non si comprenderebbero i movimenti populisti come risposta sbagliata, come risposta omogenea, però a tutto quanto il processo, se non come gli indicatori di questo punto, che è assolutamente strutturale.
Non si comprenderebbero i movimenti populisti come risposta sbagliata, come risposta omogenea, però a tutto quanto il processo, se non come gli indicatori di questo punto, che è assolutamente strutturale.
E allora, se questo è il punto, allora come
funzionano le misure eccezionali? Funzionano per creare la paura! Cioè il meccanismo della paura dentro un rapporto sociale che
dovrebbe avere altra soluzione, verso
forme di produzione che indicano una forma superiore di umanità, non ne
dobbiamo parlare qui, è un processo di lunghissima durata però non dipende da
noi, prima avvengono i processi poi la scienza li teorizza!
Allora entro questo processo di lungo
periodo, l'ipotesi che vorrei per un attimo schizzare è che allora la questione
dell'eccezione che, come dicevo prima, sembra anche nell'andamento del
quarantuno bis sembra diventare la stabilità, diventa
a poco a poco un fenomeno strutturale. L'eccezione diventa in qualche modo
costitutiva dentro il discorso, perché? Ma è esattamente per la struttura
stessa di tutto quanto l'assetto produttivo e organizzativo di questa società!
E allora se noi prendiamo, perché ho cercato comunque di leggere, per quello che i miei strumenti teorici lo permettono perché non faccio il giurista, il quarantuno bis, il primo elemento che mi ha colpito è proprio l'esordio: “In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministro ecc.”.
E allora se noi prendiamo, perché ho cercato comunque di leggere, per quello che i miei strumenti teorici lo permettono perché non faccio il giurista, il quarantuno bis, il primo elemento che mi ha colpito è proprio l'esordio: “In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministro ecc.”.
Rivolta, e
questo ci obbliga - avevo detto che avrei fatto il discorso di più lungo
periodo - a spostarci a
quarant'anni fa, tra gli anni settanta e ottanta, quindi in un clima
completamente diverso, quando dentro le carceri ci fu un processo continuativo
di rivolte, che non possono
essere lette semplicemente come fenomeni autoreferenziali dentro il carcere, ma vanno messe in connessione con tutti
quanti gli altri processi sociali, che stavano avvenendo nella società in quel
periodo.
E quali erano?
Certamente una
forte conflittualità di classe classica - operai, l'industria, la grande
industria fordista. E questa sicuramente. Ma furono significativi, in un quella
fase, l'emergenza di processi sociali altamente conflittuali entro le
sovrastrutture della società borghese. La
scuola e l'università in primo luogo, ma, il carcere, il manicomio, l'ospedale. Cioè tutte queste figure che alcuni
teorici che io non seguo, ma che molto opportunamente, cioè con un termine
comunque pregnante, chiamano biopolitici.
Carla Serra, quando
aveva fatto riferimento al divieto del linguaggio, dice si vieta il linguaggio,
cioè la vita, c'è una politica che ha come oggetto la vita immediata.
La vita
immediata, considerata come essa stessa una risorsa da sottomettere,
disciplinare o regolamentare.
Sembra che sia
la vita stessa l'oggetto dello
sfruttamento, si tratta di capire l'epocalità di questo passaggio, ecco perché,
dicevo, sono perfettamente d'accordo, anzi,
è quanto più necessario fare degli interventi riformatori, ma se non teniamo
presente la posta in gioco che c'è qua dietro,
chiaramente la cosa rischia di
pigliare fiato corto. Ripeto, non che non bisogna farli, però capite che qui ci
troviamo dinanzi a un torno di un’epoca che è pesante, e che se vogliamo
veramente essere coerenti con il nostro appartenere alla specie umana, dobbiamo
essere capaci di ragionare sul breve, sul medio e sul lungo periodo.
Allora, in questo passaggio di quarant'anni fa,
dove si sono fatti i giochi rispetto a cui capiamo poi globalizzazioni e crisi,
cioè i passaggi esattamente
dentro queste istituzioni, che un teorico francese, molto letto nei movimenti
contemporanei, Michel Foucault, chiamava istituzioni disciplinari - scuola, fabbrica,
manicomi. E come li definiva? Come istituzioni che sono caratterizzate dall'antitesi
dentro/fuori. Ecco l'isolamento, è il
dentro o fuori dell'Istituzione disciplinare, che non è solo il carcere -
ospedale, scuola, università…
Andiamo a
inquadrare quindi questo processo complessivo della società. Fu una messa in discussione complessiva
dell'Istituzione come tale. Ma che cosa c'era dietro questa parola astratta
l'Istituzione come tale?
C'era una crisi
di un determinato modo di produrre, che in quel momento andava ad investire,
per motivi diversi, il capitalismo e
il socialismo sovietico, che cominciava ad entrare in crisi. E perché
cominciava ad entrare in crisi? Perché per il capitalismo si comprende, il problema del socialismo sovietico
invece, e che tanta importanza ha avuto poi nel discorso su queste istituzioni,
in che cosa consisteva?
Checché se ne
possa pensare, quale giudizio si possa dare di quell'esperienza, dopo un primo
tentativo, giusto o sbagliato non dobbiamo discuterlo qui, dell'umanità di
attivare un processo di emancipazione umana. Checché se ne possa pensare, poi
sugli esiti si può discutere.
Ebbene Antonio
Gramsci, che con pochissimi strumenti informativi osservò l'esordio della
rivoluzione sovietica, annotò in uno
scritto, in un articolo - non era ancora entrato in carcere - una cosa
caratteristica di quella rivoluzione. Il primo atto, diceva Gramsci, che i
rivoluzionari fecero, fu quello di liberare tutti i detenuti politici e comuni
dal carcere di Odessa. I detenuti, appena uscirono giurarono solennemente di
redimersi e non commettere più crimini.
Certo Gramsci a
modo suo poi interpretava: qui i
rivoluzionari avevano capito allora la morale kantiana, avevano capito
la questione dell'umanità, e in questo
Gramsci era perfettamente nella linea; in uno scritto che Marx ed Engels
avevano fatto, di commento critico al diritto penale di Hegel, quando
Hegel definiva la pena come l'auto giudizio che il delinquente pronuncia su sé stesso,
affidando a certi uomini l'esecuzione di questo giudizio, beh, Marx ed Engels
osservavano in maniera molto ironica: meno
chiacchiere, questo è il neo di bellezza alla legge del taglione, che Kant
considerava essere l'unico significato del diritto penale e che purtroppo
sembra appunto dargli ragione se pensiamo, per esempio, che il sindaco di Riace ha acchiappato il
Daspo! Sarà pure formalmente corretto il provvedimento perché c'è la violazione
amministrativa formale, però
questo è proprio il diritto penale come lo dice Kant e su cui Hegel pone il neo
di bellezza insomma, non ci sta niente da fare!
Per cui Marx, Engels dicevano: ma questa di
Hegel rimane assolutamente astratta, perché? Chi sarebbero questi rispettabili
onorevoli uomini che dovrebbero poi aiutare il reo a auto infliggersi la
condanna? Cioè, detto fuori da questo linguaggio aulico, chi è che deve andarla
ad applicare insomma?
E qua torniamo
al discorso che ho sentito poco fa - non è il giudice, non è il secondino, sì,
ma sicuramente, ma io non è che conosco quel giudice o quel secondino, non è
questo! Si tratta della funzione sociale, questo è il punto!
Cioè vedete che
tutta la questione è l'applicazione del diritto! E beh, certo! Io potrei anche
sottoscrivere che ogni esecuzione della pena è specifica per ogni individuo;
come diceva Marx, non sarebbero individui se non fossero diseguali! Ma il
problema è che anche coloro che dovrebbero aiutare il reo a…, sono individui e
sono diseguali!
E Marx diceva:
e grazie, c’era bisogno di te caro Hegel, ci stava già Platone che aveva detto
che la legge è astratta e va a incappare nella casistica concreta, è una
vecchissima storia!
E dopodiché
loro concludevano, ed ecco perché il carcere di Odessa, concludevano: in una
diversa società il reo pronuncia
direttamente il giudizio su sé stesso ed affida agli altri uomini, socialmente,
l'esecuzione della pena. Utopia?
Vi ho detto che
penso delle rivoluzioni, sono processi di lungo periodo, non è in nostro
potere, poi prima succedono questi eventi e poi si teorizzano.
Però vi posso
dire una cosa. Voi sapete che qualche anno fa a Napoli, vengo da Napoli, a rione Traiano, durante
un posto di blocco della polizia, tre ragazzi sullo scooter, Davide Bifolco, uno dei tre, fu
sparato da un carabiniere che ebbe prima quattro anni, adesso la Corte
d'appello l’ha riportata a due, ci sono state proteste, a mio parere giustamente, ma comunque
adesso andiamo al punto, a questo riferimento.
Dunque subito
dopo l'uccisione, i ragazzi di
rione Traiano, spontaneamente, andarono a piazza Carità sotto il comando dei
carabinieri, e quando uscì il
colonnello comandante gli dissero: a noi non interessa se gli date 40 - 30 anni,
non glieli date, datecelo un’ora a noi! Che significa datecelo un’ora a noi? Vi
sbagliereste se pensaste che … non dicevano questo. Datecelo un’ora, perché,
che significa che me lo andate nascondendo? Ci vogliamo parlare, vogliamo
sapere perché. Vogliamo sapere perché. Cioè guardate che è tutta un’essenza di questo testo di
Marx per chi pensasse che si tratti di utopia, cioè è umano! E’ umano porre il problema della redenzione
della colpa socialmente. Ma non in una socialità delegata ad altri uomini, ma
nella socialità!
Ecco invece
come ha funzionato il diritto poi? nascondiamo, per carità insomma, perché poi
dopo le rappresaglie…
Cioè vedete lo
stato d'eccezione come è strutturale, perciò ho fatto questo discorso. Magari
l’ho preso un po'da lontano, ma si tratta di andarci
a leggere dietro questi fenomeni; ripeto, lo so che nell'immediato si dice: che
dobbiamo fare? Quello che state dicendo da stamattina, però il problema é
capire in che tipo di contesto metterla.
Allora, vedete
che gli anni settanta portarono all'ordine del giorno questo tipo di
problematica.
Per motivi che
qui non dobbiamo, diciamo, sviluppare,
voi sapete che tra gli anni ottanta e oggi c'è stata invece una profonda
reazione, una profonda riforma della società, nel senso specificamente
capitalistico.
Allora, anche
qui, checché si possa pensare di questo tipo di passaggio, qui potete però
subito vedere i caratteri specificamente capitalistici del discorso sul
quarantuno bis.
Ecco perché
dicevo l'eccezione ha degli elementi di strutturalità. E infatti il passaggio successivo che
ho annotato parla di
applicabilità del dispositivo in caso della sussistenza di collegamenti con
un'associazione criminale, terroristica o eversiva.
Vedete che qui
sono stati messi insieme reati cosiddetti comuni, reati politici, poi il
concetto di terrorismo, vorrei che
qualche giurista spiegasse dove sta la nozione di fattispecie, ma non voglio
dire questo. Allora sono messi sullo stesso piano le tipologie le più diverse. E che cos'hanno in
comune queste tipologie?
L'associazione, il carattere associativo.
Questo è il
punto, associazione, perché l'isolamento che cosa deve fare? Deve impedire l'elemento
dell'associazione. Adesso non mi interessa sapere che quella mafiosa va bene,
quell'altra…
Ma vorrei far
notare la questione dell'associazione che ci porta a quanto diceva Carla Serra
- il linguaggio. Che poi prima del linguaggio c’è la società, cioè i rapporti
sociali per cui si, era stato detto, misure umanitarie, più umane. Ma che cos’è
umanità, ci vogliamo intendere su che cosa è umanità?
L'umanità è la
società.
Ma allora che
cosa vuol dire questo che l'umanità é la società?
E’ proprio Marx
che ci fa vedere come funziona - poi chiudo su quest'ultimo passaggio ma è
questo punto a cui volevo arrivare - come funziona tutto il dispositivo dei
diritti umani borghesi.
Voi sapete, dalla proclamazione dei diritti dell'uomo, sono: Libertà, Proprietà, Uguaglianza, Sicurezza. Notiamo che
sicurezza è quello che chiude.
Guardiamo un
attimo il punto:
Libertà
La convenzione della Rivoluzione francese come la definisce? “Ciascuno è libero fino a che la libertà di ciascuno non vada a nuocere a quella altrui, a quella dell’altro”.
La convenzione della Rivoluzione francese come la definisce? “Ciascuno è libero fino a che la libertà di ciascuno non vada a nuocere a quella altrui, a quella dell’altro”.
Dice Marx: e che razza di libertà è questa, dove
l’altro diventa il limite, diventa il negativo della mia libertà! E’ questa la
libertà della monade, sta come un cippo!
Ma infatti che
cosa rende possibile l'esercizio di questa libertà? La proprietà privata.
Saltiamo
l'eguaglianza, perché è chiaro che qui i fondamenti della diseguaglianza sono
dati, sapete Marx come definisce la sicurezza?
E arriviamo al punto, che questa è la questione, Ordine e sicurezza. “Il
concetto sociale più alto della società borghese”
Cosa significa?
Significa che in termini di socialità, la società borghese, che pure
rappresenta un grandissimo progresso nella storia dell'umanità, non è questo il
problema. Assolutamente non sono per
ritornare indietro, cioè la società che io voglio deve essere preparata dalla
più alta socializzazione dei mezzi di sussistenza, di produzione, che solo
questa società ha potuto creare.
Ma che cosa è qui
la sicurezza? E’ l’assicurazione della proprietà privata.
Cioè, il massimo di socialità è che la società
ti serve solo come strumento per assicurare il tuo egoismo. Da questo punto di
vista, ovviamente voi capite dal mio discorso quanto possa essere contrario!
Eh, ma purtroppo, ma purtroppo Matteo detto Salvini (come dice Crozza per
quell'altro) quando nel nuovo
decreto mette insieme gli immigrati, il pericolo dell'immigrazione clandestina e lo sgombero delle case occupate
perché bisogna difendere la proprietà privata, guardate che non stanno insieme
con il decreto mille proroghe, c'è un nesso interno, che vi dico insomma, studio Marx,
cacchio, non ha trovato letteratura secondaria migliore sulla questione ebraica!
Cioè questo, cacchio, me lo ha spiegato… purtroppo insomma.
Capite il nesso
che qui c'è?
E allora questo
ci porta sul concetto specifico di sicurezza borghese che Marx esaminò - e
veramente finisco qui, ma questo passaggio è veramente interessante - in un testo che scrisse nel 1842, che per
chi non l'ha letto è veramente da leggere, “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”,
cioè la controrivoluzione di Napoleone III dopo i fatti del 48. Allora a questo
punto cosa succedeva? Che nell'assemblea
costituente e poi nell'assemblea nazionale, si era aperto - o guarda un po'!
Eh, ma è società borghese, quindi pare oggi - il conflitto sulla Costituzione. Si
era aperto in realtà a proposito di un altro fatto, ma anche qua pare qualche
anno fa, insomma, la spedizione a
Roma del generale Udinò a bombardare Roma insomma. Quindi più o meno siamo qua,
cioè la Costituzione vieta eccetera eccetera.
Bene allora
Marx fa questo ragionamento:
Ogni
Costituzione (questo è molto familiare ai giuristi) contiene sempre 2 parti.
Una prima parte - quindi ogni articolo della Costituzione - in cui fa una
solenne proclamazione della libertà (di stampa ecc.). Dopodiché, dice Marx, in
ogni articolo della Costituzione c'è sempre il rinvio a una legislazione
organica che dice entro quali limiti è esercitabile questo diritto purché non
leda la sicurezza.
E lui diceva
ogni Costituzione contiene il testo e la nota a margine, la Camera alta e la
Camera bassa. Questo è il decreto Minniti, il decreto Salvini. E’ la camera
bassa, ma voi capite che si fa nella
Camera bassa, non nel Senato. Nel Senato ci stanno i senatori, oh oh.
E’ la Camera
bassa, è nella Camera bassa che si fa la
sicurezza.
Ma il problema
qual è? E siamo al punto, che cosa
s'intende per sicurezza, questo è il punto!
L'ordine e la sicurezza
Ma ché cos’è
sicurezza? E’ evidente che qui si
tratta della sicurezza borghese, e cioè della sicurezza della proprietà
privata, che è minacciata perché essa crea povertà, miseria, eccetera, perché
la stessa socializzazione dei mezzi di produzione - Carrefour, le sette
sorelle, Benetton, le banche… Eh! non sono solamente quello schifo che
combattono - però i populisti vedendo solo questo aspetto - ma sono un momento
di socializzazione dei mezzi di produzione che urtano contro il regime di
proprietà privata.
Noi non
sappiamo come finirà, è chiaro, qua si
tratta di capire la contraddizione! E allora,
ecco la paura, ecco qui la sicurezza borghese che è legata alla
proprietà privata.
Qual è la
sicurezza che a me piacerebbe? Non è
il migrante che fa paura, ma esattamente
i confini! La libera circolazione
degli uomini sulla faccia della terra, perché, come dice Marx, la terra non è
proprietà di nessuno, manco di uno Stato. Dice lui, con finissima conoscenza
della filosofia del diritto di Hegel, “essa è possesso e usufrutto degli uomini, che hanno il dovere di conservarla e
trasmetterla migliorata alle nuove generazioni”, pazzesco! Cioè rivendicare il possesso su una parte
di superficie terrestre è come rivendicare il possesso di un altro uomo da
parte di un uomo, cioè è una irrazionalità.
Le migrazioni
sono costrette, certo, nessuno emigra con piacere. Ma non volendo, qui il
capitalismo apre una nuova possibilità, cioè che la terra diventi l'eterna
proprietà comune dell'umanità. A me questa dà più sicurezza, questo è tutto il punto.
Adesso capite
che, è chiaro, non esclude affatto tutto il discorso che fanno i giuristi.
Se però fosse visto in questa prospettiva, la cui realizzazione non dipende da nessuno, quindi è inutile dire camma fa a questo livello. Ma allora forse sarebbe un passo avanti, non fosse altro perché è migliore come prospettiva per il genere umano
Se però fosse visto in questa prospettiva, la cui realizzazione non dipende da nessuno, quindi è inutile dire camma fa a questo livello. Ma allora forse sarebbe un passo avanti, non fosse altro perché è migliore come prospettiva per il genere umano
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