Si tratta di una questione di metodo, che ha risvolti immediati anche nel merito, nell’autonomia del movimento delle donne e nella sua espressione, e va bel oltre gli sbandierati proclami espressi nel comunicato finale dell'assemblea nazionale de 25 novembre, che parlava di incalzare "i sindacati perché sappiano mettersi al servizio dello sciopero femminista".
Nel report finale tra l’altro, le voci dissenzienti o dubbiose circa la partecipazione a quel congresso, la necessità di continuare a discuterne a livello territoriale e in mailing-list, non hanno trovato spazio, essendo state liquidate nelle logiche della "maggioranza sovrana". Una maggioranza che, sul finire dell’assemblea, era tutt’altro che rappresentativa di un movimento nazionale, ma piuttosto espressione di quello romano.
Ma questa lettera rappresenta una vera e propria forzatura rispetto anche allo stesso report con cui il tavolo comunicazione sintetizzava l’assemblea del 25, che diceva: "...in questa ottica incalziamo i sindacati perché sappiano mettersi al servizio dello sciopero femminista, garantendo la possibilità concreta di praticarlo in ogni settore produttivo...".
Nella lettera, invece, vi è in realtà di una richiesta di apertura di "confronto sul movimento femminista" a 360° con la direzione della Fiom (perchè solo direzione e delegati altamente selezionati si trovano in un congresso nazionale, non certo la base delle lavoratrici...); usando, poi, nella lettera anche toni come "un'occasione preziosa per aprire il confronto", che non c'entrano nulla con la rabbia di centinaia, migliaia di lavoratrici che vedono i loro diritti, condizioni, dignità svendute anche dalla politica, accordi aziendali e nazionali della Fiom.
E' bene allora tornare a quell'assemblea del 25 novembre e alle cose effettivamente dette:
(Dal report delle compagne del MFPR presenti) - "...nel pomeriggio nell'assemblea - che in mattinata era
andata avanti positivamente... è cambiato il clima.
Inaspettatamente è stato annunciato da Nudm Roma, tavolo della presidenza, che
l’assemblea si doveva esprimere se accettare l’invito della Fiom
di partecipare al loro congresso del 12-13 dicembre a Rimini, arrivato qualche giorno prima.
di partecipare al loro congresso del 12-13 dicembre a Rimini, arrivato qualche giorno prima.
Questa
comunicazione ha imposto di fatto fino alla fine dell'assemblea una discussione
su questo, con l'urgenza di prendere subito una decisione dato che l'indomani
si doveva dare una risposta alla Fiom. Una centralità di discussione di cui non
si sentiva proprio l'esigenza.
D'altra
parte molte donne erano già dovute andare via, vari interventi hanno posto la
necessità di aspettare a dare una risposta, di una prediscussione a livello
territoriale, ma la sintesi del comunicato finale dice: “Cogliamo, quindi,
l’invito al congresso della Fiom, come occasione per porre alle lavoratrici che
saranno presenti lo sciopero come proposta politica da sostenere in forme non
simboliche ma effettive”. L'impressione espressa da alcune è che la decisione fosse già stata presa prima dell'assemblea del 25.
L'accettazione
dell'invito è stata motivata in vari interventi con l'utilità di aprire un
confronto pubblico coi sindacati confederali, di percorrere spazi che si aprono,
con l'opportunità di "inchiodare" i sindacati a mettersi a
disposizione di Nudm: "noi possiamo andare dappertutto con la nostra
autonomia", e di far loro assumersi la responsabilità politica sulla
indizione o meno dello sciopero; che questo invito sarebbe segno della forza
del movimento delle donne, e, cosa assolutamente non vera, che questo
permetterebbe di parlare con le lavoratrici iscritte e di aprire contraddizioni
nella Fiom.
Su
questo, fino al termine dell'assemblea, vi sono stati interventi contrari, in
particolare quelli di Livorno, del Mfpr, di alcune di nudm di Milano, altri
quantomeno dubbiosi e sorpresi di dover subito discutere di questo. In
particolare vari interventi, nel denunciare la linea della Cgil, hanno
sottolineato come i sindacati confederali portino avanti un'azione di
frammentazione e di confusione tra le lavoratrici, confondendo il diritto alla
lotta, allo sciopero che è individuale con l'appartenenza ai sindacati
confederali, mantenendo in questo modo i loro spazi di potere; hanno detto che,
soprattutto, non vanno assolutamente assimilate gerarchie sindacali e iscritte
ai sindacati, che, quindi, andare al congresso della Fiom non significa affatto
andare a parlare con le lavoratrici (il Congresso è la massima assise, in cui
non va la stragrande maggioranza delle delegate: “vi sono almeno tre livelli di
filtro”); che oggi questi sindacati non è affatto vero che portino in piazza
più persone; che è dubbio che il rapporto con i vertici Fiom/Cgil sia utile per
un rapporto con le lavoratrici, potrebbe invece costituire delle catene per
noi: “non è detto che non ci impacchettino”, ecc.
Ma
tutte queste argomentazioni anche di “buon senso”, e altre non hanno cambiato
la decisione.
Al di
là del merito, è stata ed è scorretta la prassi di Nudm Roma, tavolo della presidenza, per cui non
all'inizio, ma nella seconda metà dell'assemblea, con una parte delle realtà
ormai andata via, si è posto l'aut-aut di decidere subito, ma di fatto portando
una decisione già presa.
Il
richiamo all’esempio della Spagna su come hanno costruito lo sciopero è fuori
luogo; non si fa affatto riferimento al fatto che le spagnole sono andate a
contestare i sindacati “obbligandoli” ad indire lo sciopero e coinvolgendo le
lavoratrici, hanno occupato le sedi sindacali con gli striscioni e scontrandosi
con il servizio d'ordine.
Nè va
bene, se non per mettersi a posto la coscienza, dire: noi andiamo e poi se non
indicono lo sciopero, occupiamo le sedi della Cgil.
Le
compagne del Mfpr condividono ognuna delle argomentazioni contrarie che abbiamo
riportato in sintesi sopra.
Qui
vogliamo solo aggiungere alcune cose, frutto anche della nostra esperienza
diretta, dato che nell'assemblea non c'è stato tempo per reintervenire.
Un
lavoro articolato per organizzare lo sciopero tra tutte le lavoratrici,
iscritte o no ai sindacati, è sempre stato praticato da chi sta ogni giorno con
le lavoratrici, organizza lo sciopero delle donne principalmente nei e verso i
luoghi di lavoro, nelle fabbriche, dove è inevitabile il rapporto, confronto, e
spesso scontro coi sindacati; ma giustificare l'accettare dell'invito al
Congresso Fiom per parlare alla base, alle iscritte, è invece tutt'altra cosa.
E' passare dal nostro al loro terreno.
Se si
vuole coinvolgere tutte le lavoratrici, si fa un lavoro lungo, si va a parlare
ai posti di lavoro con le lavoratrici - dove se ne sentiranno di denunce di
decine e decine di fatti, accordi contro le lavoratrici fatti dalla Fiom e
dagli altri sindacati - si fanno schierare le delegate. Questo può
rappresentare una sfida ai sindacati, questo può costringere la Cgil, la Fiom,
altri pezzi dei sindacati confederali ad indire lo sciopero, ma appunto solo
questa azione "autonoma" del movimento delle donne. Questo è già
accaduto nello sciopero delle donne del 2013, dove alcune delegate, Rsu
imposero loro in direttivi di settore della Cgil la proclamazione dello
sciopero o in alcune fabbriche lo indissero loro in aperto contrasto con le
segreterie della Cgil. Facemmo, allora, una lettera aperta alla Fiom-Cgil, ai
sindacati di base, ma non la portammo alle sedi dei direttivi sindacali, ma nei
posti di lavoro, alla stampa, ecc. Questo creò contraddizioni, in alcune Rsu,
nelle segreterie sindacali, in posti di lavoro, soprattutto fabbriche
metalmeccaniche.
Poi,
chi usa chi? La Fiom non è fessa, a fronte di una mobilitazione del movimento
delle donne di circa 200 mila persone, sa bene che deve avviare una
interlocuzione, ma lo fa dall'altezza del suo congresso, in un confronto solo
con una ristretta delegazione di Nudm; in una situazione peggiore per le donne
e migliore per le gerarchie fiom/cgil".
La lettera alla Fiom (ma chi l'ha decisa?)
"Care compagne,
vi ringraziamo per l'invito, un'occasione preziosa per aprire il confronto sul movimento femminista esploso con incredibile forza ormai tre anni fa in Italia e nel mondo, sulle sue prospettive nel contesto duro e pericoloso che stiamo vivendo e sullo sciopero che Non Una Di Meno si appresta a costruire per il prossimo 8 marzo.
Questa nuova irruzione delle donne sulla scena pubblica mondiale, possiamo ormai dirlo, aveva già indicato, in largo anticipo, la deriva reazionaria, neoautoritaria, clericofascista cui stiamo assistendo oggi. Non solo a partire dall’escalation della violenza maschile, ma anche e soprattutto dalle misure, che si sono fatte e si fanno eco da una parte all’altra del mondo, volte a colpire, punire e restringere l’autodeterminazione e l’autonomia delle donne.
In questo senso, l'attacco ai diritti e alle tutele nel mondo del lavoro, lo smantellamento del welfare – conquiste delle lotte di soli 50 anni fa – è un’asse portante della guerra sistematica contro le donne...
...La violenza economica, in altri termini, è strumento decisivo di questo nuovo attacco che stiamo vivendo, della ristrutturazione capitalistica e neoliberale.
Attraverso di essa si tracciano nuove e sempre più profonde linee di frammentazione, esclusione e gerarchie all’interno della società, definendo il terreno per uno sfruttamento senza limiti. Assenza di tutele, nuove povertà, precarietà, disoccupazione e clandestinità forzate, segregazione in determinati ambiti lavorativi, disparità salariale, molestie e discriminazioni, mancanza di un welfare davvero universale, sono il terreno in cui ricattabilità, dipendenza economica e, quindi, esposizione alla violenza continuano a crescere. In cui viene riaffermato con forza un determinato modello, quello patriarcale, di divisione sessuale del lavoro: si vogliono le donne nuovamente tra le mura domestiche a supplire all’erosione dello stato sociale. Portiamo avanti la riproduzione sociale di questo paese, dentro e fuori casa, perché ancora si pensa che questa funzione spetti “naturalmente” alle donne, e oltretutto ciò ancora non viene economicamente riconosciuto: sappiamo bene quanto il settore della cura sia tra i più sfruttati e sottopagati, specialmente quando la forza-lavoro è migrante.
E se da una parte i meccanismi di sfruttamento si fanno più pervasivi, dall'altra, il comando diventa brutale controllo sulle vite e sui corpi. In questa contraddizione abbiamo ben individuato la saldatura tra governance neoliberale e ordine patriarcale che mira a riconsegnare i corpi delle donne, e con loro i corpi “fuori norma” e migranti, alla subalternità e alla marginalizzazione. È una guerra di matrice ideologica, dunque, che ha dirette ricadute materiali e che riafferma una concezione proprietaria dei rapporti affettivi, familiari e lavorativi, che spezza le soggettività, ne distrugge le possibilità di vita: lo vediamo in Italia con il Ddl pillon, con il rinnovato attacco alla legge 194 e alla libertà di scelta, con il Dl sicurezza, con le surreali proposte sul terzo figlio, con la modifica del congedo di maternità, col tipo di proposta governativa sul reddito di cittadinanza.
I dati allarmanti sulla povertà in Italia (5 milioni in povertà assoluta e 9 milioni in povertà relativa, distribuiti soprattutto nelle fasce di età più basse), la strutturale disoccupazione femminile, la disparità salariale, parlano soprattutto di donne, di giovani donne, non libere di andarsene, di decidere della propria vita.
Ma questo movimento femminista non si è attestato sul solo piano della critica, ma ha fatto delle proposte ben precise. Nascono dalla concretezza delle biografie, dalle condizioni di vita che oggi affrontiamo, da tutele negate e nuove garanzie da conquistare. Le abbiamo rese pubbliche nel proprio Piano femminista contro la violenza maschile e di genere...:
Il clima emotivo dominante di paura, di insicurezza, di odio - il "sovranismo psichico" lo ha chiamato il Censis - è il risultato di anni di politiche economiche e sociali che oggi non vedono nessuna discontinuità rispetto al passato e che anzi - dal jobs act al governo di Maio-Salvini - approfondiscono le disuguaglianze e la disgregazione.
Nella crisi generale delle forme organizzate di opposizione, sono le donne ad aver finalmente riaperto uno spazio di riconoscimento e azione politica, partendo dal proprio vissuto, assumendo la propria parzialità come punto di partenza per costruire connessioni, rifiutando la vittimizzazione in cui tentano di ricacciarci sempre più apertamente.
Consapevoli che non si può più continuare a limitare lo sguardo al solo proprio perimetro, in questi tre anni abbiamo costruito reti di mutuo soccorso, casse di resistenza, strumenti di solidarietà a sostegno di vertenze, contro ricatti, molestie, discriminazioni, ritorsioni datoriali... in questo senso lo scorso anno abbiamo trasformato la parola d’ordine della denuncia delle molestie, il #metoo – anch'io -, in #wetoogether, tutte insieme. Bisogna rompere l’isolamento, la frammentazione, l’individualismo per riaffermare la potenza dell’essere insieme, della Marea che abbiamo visto inondare Roma il 24 novembre scorso, l’agire di concerto e solidale, capace di riunire le molteplici figure del lavoro e del non lavoro, può gettare le basi per lottare e trasformare lo stato di cose presente.
E queste basi le donne le hanno gettate, lo hanno fatto a partire dagli scioperi delle compagne polacche e argentine, incrociando in tutto il mondo le braccia al grido di: "se le nostre vite non valgono, noi ci fermiamo"...
Lo sciopero è per noi lo strumento, la pratica eminente con cui abbiamo affermato e stiamo riaffermando la nostra forza. Lo abbiamo visto esplodere, per due anni di seguito, in forme moltitudinarie nelle piazze d'Europa e del mondo. L'esempio spagnolo dello scorso anno è per noi particolarmente significativo, perché ha visto tutti i sindacati, in forme differenti, partecipi di una costruzione collettiva che ha cambiato gli equilibri politici, sociali e culturali del paese...
...lo sciopero femminista si vuole insieme vertenziale, sociale e politico: solo così si può rifiutare la violenza neoliberale, patriarcale e razzista che si sta abbattendo sulle nostre vite.
Bisogna tornare ad affermare, tra l’altro, che lo sciopero è un diritto soggettivo, ancora costituzionalmente presidiato per fortuna, della lavoratrice e del lavoratore; per l’esercizio collettivo dello stesso, come ben sapete, il ruolo del sindacato è importante. Anche perché, nonostante il dettato costituzionale, troppi sono i limiti normativi e fattuali che rendono lo sciopero, soprattutto nei lavori di servizio e di cura, enormemente complicato quanto inaccessibile. Chiediamo dunque qui oggi alla Fiom, di assumersi questa responsabilità.
Vorremmo che da qui si aprisse finalmente un dibattito vero e franco con la Fiom e la Cgil sull'opportunità dell'adesione allo sciopero generale del prossimo 8 marzo, sulla sfida di uno sciopero femminista lanciato e costruito dalle donne, a partire dalle lavoratrici, come già accaduto gli scorsi anni in diverse fabbriche. Sostenere lo sciopero non significa però solo dichiararlo, ma anche aprire a NUDM la possibilità di partecipare alle assemblee sui posti di lavoro.
Infine, per concludere, ci sia concesso di dire che di fronte all’epoca nefasta che stiamo vivendo, ancora vivida è l’immagine della piazza della Lega a Roma la scorsa settimana, non è questo il tempo giusto per attendere o rassegnarsi, è il tempo di rispondere con coraggio e radicalità.
Nessuna si salva da sola, nessuna si salverà rimanendo ferma.
Nessun commento:
Posta un commento