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Il fascio - imperialismo di Trump: profitti e guerra
La frazione della
borghesia imperialista che ha vinto le elezioni con Trump punta con i provvedimenti della nuova Amministrazione a ricomporre la divisione e a divenire
rappresentante degli interessi dell'intera borghesia imperialista.
Il programma comprende la riforma fiscale che riduce le tasse sui
profitti e, nelle intenzioni dell'amministrazione, favorirà anche il
rimpatrio dei profitti; una generale deregolamentazione delle banche
che le riporti come libertà d'azione alla situazione precedente la crisi del 2008; e infine
l'abolizione del controllo dei prezzi delle medicine per la grande Industria farmaceutica - BIG PHARMA ecc - (questa è la vera
parte che interessa Trump e la sua frazione della borghesia del
cosiddetto smantellamento dell''Obamacare'); a cui va aggiunto evidentemente l'aumento
delle spese militari che ridà pienamente fiato al complesso militare-industriale, uno dei cuori dell'imperialismo Usa.
E' evidente che anche la frazione borghese anti Trump i calcoli
sull'effetto di questa politica economica se li è fatti subito, e
francamente questo mondo dell'industria e della finanza sembra aver
strillato per una sola notte.
In effetti, come
potrebbe essere altrimenti? Si può immaginare quale clamoroso
effetto può avere il taglio delle tasse sui profitti aziendale, o la
riduzione dell'imposizione di solo il 10% in caso di rientro dei
profitti realizzati all'estero.
Proprio la parte
globalizzata della borghesia imperialista Usa - che ha costituito
l'opposizione e il sostegno alla candidatura Clinton - se Trump va
avanti con le sue promesse, è destinata a sostenere fortemente la
nuova Amministrazione.
Apple, General Electric,
Ibm, ecc., per evitare le tasse del 35% hanno parcheggiato all'estero
2.500 miliardi di dollari di profitti, quasi il 14% dell'intera
economia americana. Si può immaginare quale grande affare sia per
costoro un rientro fondato su questa forte detassazione.
Un precedente rimpatrio
dei profitti era stato fatto da Bush nel 2015 e in 15 mesi, con la
tassazione ridotta al 5,25%, erano rientrati 300 miliardi di dollari,
corrispondenti a circa metà dei capitali allora all'estero.
La grande finanza poi
spera molto nella abrogazione della riforma finanziaria Dood-Frank,
varata dopo la crisi del 2008. Questa porterebbe all'allentamento
delle regole che secondo la grande finanza stanno soffocando il
settore. A questo si
aggiungerebbero altre misure come l'innalzamento della soglia dei 50
miliardi per le banche regionali, che le metterebbe a riparo dalle
regole valide per i colossi bancari, ed altre misure mirate, che già
giustificano la consistenza del sostegno che la borghesia
finanziaria ha dato a Trump, ma che con queste misure diventerebbe
un sostegno condiviso dall'intera finanza.
Formidabile potrebbe
essere poi il passaggio con Trump della Silicon Valley, schierata
contro Trump per il suo protezionismo, oltre che per i contenuti
esplicitamente reazionari della sua immagine sociale. Alcuni
provvedimenti annunciati da Trump spaventano quest'ala delle
multinazionali: la campagna anticinese, le leggi sull'immigrazione
che avrebbero l'effetto di ridurre l'importazione imperialista dei
cervelli da tutto il mondo, di cui Silicon Valley fa un punto di forza, e anche l'ulteriore estensione della sorveglianza
cosiddetta “antiterrorismo” delle comunicazioni internet.
Ma i danni di questi
provvedimenti possono essere ampiamente ricompensati dalla
detassazione massiccia dei profitti che attualmente queste grandi
multinazionali fanno e mantengono all'estero.
L'intreccio
industria/finanza poi esprime il suo alto potenziale di
'multinazionale globale' nel campo della spesa militare. La spesa
militare degli Usa oggi è di 597 miliardi di dollari – dato 2015; questo settore questi settori drenano profitti da tutti il mondo, ma risentono evidentemente dei tagli al Pentagono.
Qui, a dir la verità,
anche Obama e la Clinton avevano parlato di aumento, nella loro
campagna elettorale. Ma Trump su questo ha promesso un aumento
molto maggiore, del 15%. In questo campo si assiste ad uno scambio
delle parti, che mostra come le elezioni alla fine siano in un paese
imperialista un gioco delle parti:
Il cosiddetto “isolazionista”
Trump, non interventista, sta riempendo la sua Amministrazione di spudorati falchi, che erano stati in parte rimossi o emarginati dalla
precedente amministrazione proprio per il loro ostentato sostegno
alle forme della guerra più barbara e globale negli scenari internazionali dove
gli Usa intervengono.Qui, la teoria che viene
sviluppata in questi primi giorni del dopo elezioni dice questo: la
spesa militare deve essere aumentata, l'apparato militare
ulteriormente incrementato, perchè deve costituire una sorta di
deterrente a distanza verso i potenziali nemici e nello stesso tempo
all'interno può rappresentare un sensibile stimolo all'economia.
Tutta la storia ci
insegna che le armi che si producono sono fatte per essere usate, e
che è il loro uso che ne rende necessario il ricambio, e questa
parte dell'economia per tenere deve essere continuamente sviluppata.
Quindi, con buona pace di
Trump e del suo isolazionismo e non interventismo, questo vuol dire
solo più guerra; e per di più la guerra affidata ai falchi più
radicali dell'apparato militare americano.
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