martedì 22 novembre 2016

pc 22 novembre - Speciale ANTI/TRUMP - 5

                                                                     5

Il fascio - imperialismo di Trump: profitti e guerra

La frazione della borghesia imperialista che ha vinto le elezioni con Trump punta con i provvedimenti della nuova Amministrazione a ricomporre la divisione e a divenire rappresentante degli interessi dell'intera borghesia imperialista.
Il programma comprende la riforma fiscale che riduce le tasse sui profitti e, nelle intenzioni dell'amministrazione, favorirà anche il rimpatrio dei profitti; una generale deregolamentazione delle banche che le riporti come libertà d'azione alla situazione precedente la crisi del 2008; e infine l'abolizione del controllo dei prezzi delle medicine per la grande Industria farmaceutica - BIG PHARMA ecc - (questa è la vera parte che interessa Trump e la sua frazione della borghesia del cosiddetto smantellamento dell''Obamacare'); a cui va aggiunto evidentemente l'aumento delle spese militari che ridà pienamente fiato al complesso militare-industriale, uno dei cuori dell'imperialismo Usa.
E' evidente che anche la frazione borghese anti Trump i calcoli sull'effetto di questa politica economica se li è fatti subito, e francamente questo mondo dell'industria e della finanza sembra aver strillato per una sola notte.
In effetti, come potrebbe essere altrimenti? Si può immaginare quale clamoroso effetto può avere il taglio delle tasse sui profitti aziendale, o la riduzione dell'imposizione di solo il 10% in caso di rientro dei profitti realizzati all'estero.
Proprio la parte globalizzata della borghesia imperialista Usa - che ha costituito l'opposizione e il sostegno alla candidatura Clinton - se Trump va avanti con le sue promesse, è destinata a sostenere fortemente la nuova Amministrazione.
Apple, General Electric, Ibm, ecc., per evitare le tasse del 35% hanno parcheggiato all'estero 2.500 miliardi di dollari di profitti, quasi il 14% dell'intera economia americana. Si può immaginare quale grande affare sia per costoro un rientro fondato su questa forte detassazione.
Un precedente rimpatrio dei profitti era stato fatto da Bush nel 2015 e in 15 mesi, con la tassazione ridotta al 5,25%, erano rientrati 300 miliardi di dollari, corrispondenti a circa metà dei capitali allora all'estero.
La grande finanza poi spera molto nella abrogazione della riforma finanziaria Dood-Frank, varata dopo la crisi del 2008. Questa porterebbe all'allentamento delle regole che secondo la grande finanza stanno soffocando il settore. A questo si aggiungerebbero altre misure come l'innalzamento della soglia dei 50 miliardi per le banche regionali, che le metterebbe a riparo dalle regole valide per i colossi bancari, ed altre misure mirate, che già giustificano la consistenza del sostegno che la borghesia finanziaria ha dato a Trump, ma che con queste misure diventerebbe un sostegno condiviso dall'intera finanza.

Formidabile potrebbe essere poi il passaggio con Trump della Silicon Valley, schierata contro Trump per il suo protezionismo, oltre che per i contenuti esplicitamente reazionari della sua immagine sociale. Alcuni provvedimenti annunciati da Trump spaventano quest'ala delle multinazionali: la campagna anticinese, le leggi sull'immigrazione che avrebbero l'effetto di ridurre l'importazione imperialista dei cervelli da tutto il mondo, di cui Silicon Valley fa un punto di forza, e anche l'ulteriore estensione della sorveglianza cosiddetta “antiterrorismo” delle comunicazioni internet.
Ma i danni di questi provvedimenti possono essere ampiamente ricompensati dalla detassazione massiccia dei profitti che attualmente queste grandi multinazionali fanno e mantengono all'estero.

L'intreccio industria/finanza poi esprime il suo alto potenziale di 'multinazionale globale' nel campo della spesa militare. La spesa militare degli Usa oggi è di 597 miliardi di dollari – dato 2015; questo settore questi settori drenano profitti da tutti il mondo, ma risentono evidentemente dei tagli al Pentagono.
Qui, a dir la verità, anche Obama e la Clinton avevano parlato di aumento, nella loro campagna elettorale. Ma Trump su questo ha promesso un aumento molto maggiore, del 15%. In questo campo si assiste ad uno scambio delle parti, che mostra come le elezioni alla fine siano in un paese imperialista un gioco delle parti:
Il cosiddetto “isolazionista” Trump, non interventista, sta riempendo la sua Amministrazione di spudorati falchi, che erano stati in parte rimossi o emarginati dalla precedente amministrazione proprio per il loro ostentato sostegno alle forme della guerra più barbara e globale negli scenari internazionali dove gli Usa intervengono.Qui, la teoria che viene sviluppata in questi primi giorni del dopo elezioni dice questo: la spesa militare deve essere aumentata, l'apparato militare ulteriormente incrementato, perchè deve costituire una sorta di deterrente a distanza verso i potenziali nemici e nello stesso tempo all'interno può rappresentare un sensibile stimolo all'economia.
Tutta la storia ci insegna che le armi che si producono sono fatte per essere usate, e che è il loro uso che ne rende necessario il ricambio, e questa parte dell'economia per tenere deve essere continuamente sviluppata.
Quindi, con buona pace di Trump e del suo isolazionismo e non interventismo, questo vuol dire solo più guerra; e per di più la guerra affidata ai falchi più radicali dell'apparato militare americano.

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