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Ancora sul voto popolare a Trump
Trump ha vinto le elezioni
con una forte campagna centrata sull'immigrazione.
Questo tema,
insieme all'odio anti-elite di una parte dell'America profonda e
reazionaria delle campagne, delle zone industriali indebolite, sono
stati i due fattori principali del suo voto “popolare”.
In tutti i paesi
imperialisti questi temi sono in mano all'estrema destra e la portano
al successo elettorale.
I rosso-bruni di varia
natura, anche nell'estrema sinistra, anche in Italia, tacciono e ridimensionano, come è
stato per la Brexit, che sono queste campagne antimmigrati che
portano il cosiddetto “voto popolare”. Voto, quindi, caratterizzato da sentimenti e mobilitazione reazionaria che in nessuna maniera sono cavalcabili a sinistra,
portano il cosiddetto “voto popolare”. Voto, quindi, caratterizzato da sentimenti e mobilitazione reazionaria che in nessuna maniera sono cavalcabili a sinistra,
Anzi, la contrapposizione a questo, anche
nelle file popolari, deve caratterizzare una sinistra di classe e di
massa in un paese imperialista, e, quindi, è proprio la sinistra di
classe e di massa che deve denunciare il carattere razzista e
fascista del voto a Trump e considerare zone nere in senso lato le
aree che votano per i Trump nei paesi imperialisti.
E' stato questo anche il
carattere principale del voto sulla Brexit, che ha permesso di
vincere un referendum più o meno della stessa natura del voto a
Trump.
Più complessa è l'altra
parte del voto, quello dell'”America profonda” delle campagne
e anche delle zone industriali in smobilitazione. In queste zone
negli Usa, da sempre però, dominano posizioni conservatrici, e,
quindi, non può stupire il voto a Trump, ma bisogna rilevare il fatto che
esso sia stato espressione anche di una radicalizzazione dei
sentimenti, concezioni e posizioni reazionarie – che, come abbiamo
scritto in un'altra parte dello “speciale”, normalmente
questa 'massa critica' non arrivava alla presidenza.
Anche qui, sebbene la
posizione dei comunisti e della sinistra debba essere meno tranchant,
come per la componente antimmigrati, il problema è che non è stato
un voto di protesta, ma piuttosto un voto di adesione alle proposte
sostenute nella campagna elettorale da Trump.
Quelle proposte legate al
nazionalismo, al protezionismo, che nel mondo operaio coincide con il
neo-corporativismo ed è uno dei fattori che cementano un blocco
fascio-imperialista. In un paese imperialista qualsiasi forma di
cavalcamento del nazionalismo economico è di carattere reazionario e
imperialista, qualunque siano le motivazioni addotte. Il voto
protezionista a Trump è della stessa natura del voto Brexit e in
generale delle campagne anti-euro in Europa, sia quando sono portate
avanti dall'estrema destra, sia quando sono sostenute da forze di
estrema sinistra.
Non è quindi un caso che alcune forze di estrema sinistra di questo tipo assumono, rispetto al
voto a Trump, un atteggiamento a dir poco ambiguo.
Le
elezioni americane e il voto a Trump servono a chiarire ulteriormente
anche nel campo della classe operaia, dei lavoratori, delle masse
oppresse, il nesso indissolubile che esiste tra imperialismo e
opportunismo.
Negli Usa il movimento di
opposizione a Trump va sostenuto, portando questa opposizione anche in seno agli altri paesi
imperialisti, dove pesa eccome l'egemonia americana, come parte della
lotta antimperialista. Ma chiaramente combinata con la lotta
all'imperialismo nella propria area e nel proprio paese.
Tornando alle effettive
politiche che Trump condurrà, i primi annunci post-elettorali
parlano di “blocco parziale dell'immigrazione” per i paesi
sospettati di terrorismo e guerra contro i municipi che vogliono
proteggere i clandestini”.
Queste misure in realtà
sono già in atto in forme poliziesche e l'irrigidimento posto da
Trump è principalmente di carattere ideologico, volto a cavalcare la
tigre anti-islamica. C'è da dire che l'effetto di queste
dichiarazioni minano la politica più recente dell'imperialismo
americano, in Medio Oriente, nel mondo arabo, volta a creare la
grande coalizione “anti Isis”, che invece prevede l'alleanza con
tutte le forze islamiche che sposano l'opzione imperialista e sostengono l'aggressione imperialista e il dominio imperialista nell'area.
Quindi, l'azione di Trump
lungi dal favorire la forza e la grandezza dell'imperialismo, la
indebolisce e ne approfondisce la crisi.
Circa invece la guerra ai
“municipi che vogliono proteggere i clandestini”, qui gli scopi
della nuova Amministrazione sono quelli di fascistizzare i Comuni e
allungare le mani sulle tante amministrazioni comunali nelle mani dei
democratici. Questa sì, è un'azione di carattere fascista che vuole
trasformare nel profondo l'apparato statale centrale e decentrato
degli Usa.
Questo non farà
che acuire le contraddizioni e mettere maggiormente in rilievo il
carattere dittatoriale di Trump. E' una delle contraddizioni interborghesi che
il movimento di opposizione democratica e rivoluzionaria degli Usa
potrà utilizzare.
I fascio-imperialisti
negli Usa come nei paesi imperialisti europei in generale cavalcano
il municipalismo e le ristrettezze mentali dei piccoli municipi nella
loro ascesa elettorale, ma una volta che giungono al potere
pretendono di trasformare i municipi in gagli irregimentati del potere centrale.
Il fascio-imperialismo
rappresenta solo una estremizzazione della politica che tutti i
governi nella fase attuale di crisi e di moderno fascismo conducono,
basti pensare nel nostro paese al ruolo che svolge Renzi che fa leva
sui poteri locali allineati; ma anche ciò che avviene nel campo
dell'opposizione grillina. Grillo cavalca tutti i municipalismi per
vincere le elezioni locali, ma quando queste amministrazioni vanno al
potere, se non sono replicanti della Grillo-Casaleggio vengono
abbastanza rapidamente scaricati.
Per concludere, le
elezioni di Trump, la sua politica meritano un meticoloso
approfondimento, perchè permettono di gettare luce su quello che
avviene, non solo negli Usa, ma in casa nostra.
BREVI NOTE
1)
Il voto a Trump è
riuscito anche ad unire, al di là delle parole, socialdemocratici e
falsi comunisti, sindacati ufficiali e parte del sindacalismo
alternativo.
Guy Ryder, direttore
generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), punto
di riferimento, per così dire, dell'universo del sindacalismo
ufficiale, ha definito sul giornale inglese 'The Guardian' la
vittoria di Donald Trump all'elezione statunitense dell'8 novembre e
il referendum della Brexit del 23 giugno come “la rivolta degli
espropriati, cioè delle persone che vedono ridotto il loro benessere
a causa della globalizzazione, e alle quali le elite non sono
riuscite ad offrire un'alternativa al protezionismo”.
Questo è il giudizio di
fondo sostenuto dai vertici dei sindacati in buona parte dei paesi
imperialisti, e negli Usa è stata la base perchè una parte
rilevante del sindacato votasse per Trump.
Questi giudizi, in nome
dell'opposizione a Trump, ne rappresentano invece una sorta di
apologia. Descritta così la politica, viene giustificato il voto di
alcuni settori operai e popolari a Trump.
2)
La vittoria di Trump ha
messo anche in luce la natura effettiva di commentatori, analisti, alcuni
dei quali economisti, che nelle settimane prima erano impegnati a
dipingere Trump con i colori più truci e che immediatamente dopo la
sua vittoria elettorale, sono passati dall'analisi del voto a
consiglieri del nuovo principe.
In fondo tutti costoro,
vivono la loro vita, la loro professione in una continua attività
di “consiglieri del principe”, di aspiranti cortigiani.
Joseph Stiglitz, uno dei
più ascoltati, citati. intervistati, in un articolo sul settimanale
“Internazionale”, scopre dopo il voto che “negli ultimi trenta anni
le regole del sistema economico statunitense sono state riscritte a
vantaggio di pochi privilegiati e a scapito dell'economia nel suo
complesso, in particolare dell'80% più svantaggiato”.
Liquidati, quindi, in
poche righe i presidenti degli ultimi 30 anni, passa immediatamente a
consigliare Trump su ciò che dovrebbe fare. E nel scrivere questo è
evidente che ha una “faccia tosta” e nessun senso del ridicolo.
“Se Trump vuole davvero contrastare la disuguaglianza, deve
riscrivere ancora una volta le regole in modo da favorire tutta la
società e non solo le persone come lui. Deve rilanciare gli
investimenti e consolidare la crescita a lungo termine... Deve adottare una strategia complessiva per migliorare la distribuzione
del reddito negli Stati Uniti.... Le riforme del settore finanziario
devono andare oltre le misure per evitare possibili danni e far in
modo che il settore sia effettivamente al servizio della società... Il
governo deve contrastare le concentrazioni di mercato e deve
riformare il sistema fiscale regressivo degli Stati Uniti che
alimenta la disuguaglianza aiutando i ricchi... Il primo obiettivo
dovrebbe essere eliminare il trattamento speciale riservato alle
plusvalenze e ai dividendi. Deve ridurre l'aliquota delle imposte
sugli utili delle società per le aziende che investono e creano
occupazione negli Stati Uniti. Deve adottare una politica di accesso
all'edilizia popolare e all'assistenza sanitaria”...
“Il programma che ho
appena abbozzato – insiste – non riguarda solo l'economia,
l'obiettivo è lo sviluppo di una società dinamica aperta e giusta
che mantenga la promessa dei valori più cari agli Stati Uniti”.
Fin qui il premio Nobel
per l'economia della Columbia University. Ad essere malevoli,
pensiamo che questo articolo lo avrebbe scritto anche se avesse
vinto la Clinton, ma sicuramente scritto per l'elezione di Trump... Beh,non abbiamo parole...!
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