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Trump e i suoi uomini d'oro
L'elezione di Trump sancisce la
vittoria di una frazione della borghesia imperialista USA su un'altra.
Essa rappresenta una spaccatura del potere borghese, espressione della
crisi dell'imperialismo Usa.
Non ci sono differenze sostanziali sugli scopi delle
due frazioni: rafforzare per alcuni, restaurare per gli altr,i il
ruolo dell'imperialismo Usa come potenza egemonica unica.
Il mito della Grande
America forte e dominante, caratterizza Trump come Obama, pardon, la
sua pallida rappresentazione, Clinton.
Nell'apparenza si tratta
della contrapposizione della faccia feroce con la faccia buona, come
forma del dominio imperialista, e storicamente non è affatto detto
che la faccia feroce paghi di più rispetto allo scopo perseguito.
Andando più dentro
alla frazione della borghesia imperialista vincente, essa è un misto
di vecchio e nuovo.Vecchio, vale a dire quello che era stato
emarginato, poco considerato dal “cerchio magico” intorno ad
Obama e alla Clinton; nuovo, perchè guarda ad un'altra soluzione
soprattutto sul piano interno su come trarre e garantire i profitti
nella crisi.
Nell'inserto economico di
Repubblica del 14 novembre, il giornale passa in rassegna i 10
“uomini d'oro” che hanno scommesso su Trump.
Bene, gli “uomini d'oro”
sono, a dir la verità, non identificabili puramente e semplicemente
con le cose enunciate da Trump. Il premio Nobel Spence parla di
“pericolosa deviazione verso i sentimenti protezionistici,
l'opposizione al libero mercato, l'antiglobalizzazione”.
Ma i 10
“uomini d'oro” non crediamo affatto rappresentino questo
orientamento.
Stephen Moore, uomo del
Wall Street Jurnal, punta decisamente sulla riduzione delle tasse alle imprese e sui profitti delle imprese, e ha fondato un club per
diffondere la sua free marketing ideology.
Steven Roth,
immobiliarista legato al Time, che - come scrive Repubblica - 'ha
costruito e possiede limitatamente a New York dieci volte i palazzi
di Trump, con il quale cogestisce un grattacielo a Manhattan', , ha sostenuto Trump sicuro che i suoi interessi, che sono gli
stessi di Trump, saranno molto ben tutelati.
Dello stesso genere è Tom
Barrack, fondatore del gruppo finanziario “Colony Capital”, espressione pura del rapporto finanza/proprietà immobiliari.
Stephen Calk è un
banchiere - scrive Repubblica - “con un focus sempre più orientato
verso il 'private banking', quello per i ricchi”. Un vero squalo
bancario, finito anche sotto inchiesta.
Solo a guardare questi tre
ultimi, 'il protezionismo, l'opposizione al libero mercato,
l'antiglobalizzazione' non c'entrano proprio niente. Sono una parte
esplicita della borghesia finanziaria, immobiliarista che, può darsi, sia poco interessata alla globalizzazione ed espansione all'estero, ma
sicuramente vuole usare la presidenza Trump al servizio dei propri
affari.
I fautori del
protezionismo ci sono eccome, però. Primo tra tutti Dan Di Micco,
Ceo della Nucor, il maggior gruppo siderurgico degli Usa, fortemente
anticinese e anti loro esportazioni di acciaio. Chiaramente si tratta
del protezionista imperialista classico che non vuole l'acciaio
cinese in Usa, ma fortemente interessato a vendere il suo acciaio
all'estero, tanto è vero che – secondo quanto scrive Repubblica –
è molto attivo nell'ottenere un ruolo nell'Amministrazione nel commercio estero.
Si torna alla grande
finanza pura con il mago dei fondi di investimento di Wall street,
John Paulson, che gestisce 19 miliardi di dollari e ha una fortuna
personale di 10 miliardi di dollari.
Torna in campo David
Malpass, già consigliere di Reagan e Bush padre, finito fuori gioco
con l'amministrazione democratica.
A dar forza a Dan Di Micco
non è però un finanziere ma un docente alla School Business, Università
di California, Peter Navarro vero e proprio ideologo anticinese, che addebita alla
mano libera lasciata alla Cina, la crisi interna degli Usa, la
perdita di posti di lavoro, l'impoverimento del ceto medio. E' a lui
che si deve la proposta più radicale, in questo senso, di scindere
tutti i rapporti di libero commercio, alzare i dazi e colpire tutti,
non solo i cinesi, ma anche messicani, vietnamiti, cingalesi
“chiunque insomma proponga importazioni o delocalizzazioni”.
Il carattere anticinese di questo ideologo è pieno di conseguenze
sul piano internazionale. perchè provocherebbe oltre che reazioni
economiche di ugual segno nei paesi sotto il suo mirino e comporterebbe rispetto alla Cina, ad esempio, una politica militare
aggressiva su scala globale in tutte le parti del mondo dove vi è
una forte penetrazione economica della Cina.
La lobby dei finanzieri di
Trump, però, è davvero estesa. Steve Feinberg, del Cerberus Capital Management, gestisce più di 30 miliardi di dollari, e non certo si
può definire un protezionista.
Il fondo Cerberus ha tra i suoi
sottoscrittori fondi pensione di molti paesi, inoltre questo fondo è
specialista nell'identificare aziende e pacchetti di finanziamenti in
disgrazia, comprarli a sconto e farli fruttare, tanto è vero che vi
sono nel suo pacchetto venti titoli della sofferenze bancarie
italiane.
Feinberg, però, era stato
in buoni rapporti anche con Obama, in particolare nel periodo di
transizione tra Bush e Obama. il suo fondo ha partecipato al maxi
salvataggio del settore auto degli Usa.
Steven Mnuchin - secondo
Repubblica - sarebbe candidato numero uno alla poltrona di Ministro del
Tesoro. Fa parte di quelli passati con Trump appena fiutato il vento,
dato che il suo Hedge Fund aveva finanziato nel recente passato
Hillary Clinton, Al Gore, Obama e Kerry quando era candidato contro
Bush. Ma nell'ultima fase della campagna elettorale è passato decisamente dalla parte di Trump ed è uno di quei
fattori, insieme all'inchiesta dei capi del FBI, che hanno segnato le
ultima fasi della campagna elettorale fatale alla Clinton.
Per concludere.
La base
materiale del potere di Trump è ben chiara ed anche ben chiaro che c'è stato il
passaggio di una frazione della borghesia con Trump che ha costituito uno dei fattori della sua vittoria. Nel sistema elettorale
imperialista sono queste cose che fanno vincere le elezioni.
Cavalcare la tigre del
“voto operaio”, “voto di popolo”, come fattore determinante
è una mistificazione.
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