lunedì 21 novembre 2016

pc 21 novembre - Speciale ANTI TRUMP - 4

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Trump e i suoi uomini d'oro

L'elezione di Trump sancisce la vittoria di una frazione della borghesia imperialista USA su un'altra. 
Essa rappresenta una spaccatura del potere borghese, espressione della crisi dell'imperialismo Usa. 
Non ci sono differenze sostanziali sugli scopi delle due frazioni: rafforzare per alcuni, restaurare per gli altr,i il ruolo dell'imperialismo Usa come potenza egemonica unica.
Il mito della Grande America forte e dominante, caratterizza Trump come Obama, pardon, la sua pallida rappresentazione, Clinton.

Nell'apparenza si tratta della contrapposizione della faccia feroce con la faccia buona, come forma del dominio imperialista, e storicamente non è affatto detto che la faccia feroce paghi di più rispetto allo scopo perseguito.
Andando più dentro alla frazione della borghesia imperialista vincente, essa è un misto di vecchio e nuovo.Vecchio, vale a dire quello che era stato emarginato, poco considerato dal “cerchio magico” intorno ad Obama e alla Clinton; nuovo, perchè guarda ad un'altra soluzione soprattutto sul piano interno su come trarre e garantire i profitti nella crisi.

Nell'inserto economico di Repubblica del 14 novembre, il giornale passa in rassegna i 10 “uomini d'oro” che hanno scommesso su Trump.
Bene, gli “uomini d'oro” sono, a dir la verità, non identificabili puramente e semplicemente con le cose enunciate da Trump. Il premio Nobel Spence parla di “pericolosa deviazione verso i sentimenti protezionistici, l'opposizione al libero mercato, l'antiglobalizzazione”. 
Ma i 10 “uomini d'oro” non crediamo affatto rappresentino questo orientamento.

Stephen Moore, uomo del Wall Street Jurnal, punta decisamente sulla riduzione delle tasse alle imprese e sui profitti delle imprese, e ha fondato un club per diffondere la sua free marketing ideology.

Steven Roth, immobiliarista legato al Time, che - come scrive Repubblica - 'ha costruito e possiede limitatamente a New York dieci volte i palazzi di Trump, con il quale cogestisce un grattacielo a Manhattan', , ha sostenuto Trump sicuro che i suoi interessi, che sono gli stessi di Trump, saranno molto ben tutelati.

Dello stesso genere è Tom Barrack, fondatore del gruppo finanziario “Colony Capital”, espressione pura del rapporto finanza/proprietà immobiliari.

Stephen Calk è un banchiere - scrive Repubblica - “con un focus sempre più orientato verso il 'private banking', quello per i ricchi”. Un vero squalo bancario, finito anche sotto inchiesta.

Solo a guardare questi tre ultimi, 'il protezionismo, l'opposizione al libero mercato, l'antiglobalizzazione'  non c'entrano proprio niente. Sono una parte esplicita della borghesia finanziaria, immobiliarista che, può darsi, sia poco interessata alla globalizzazione ed espansione all'estero, ma sicuramente vuole usare la presidenza Trump al servizio dei propri affari.

I fautori del protezionismo ci sono eccome, però. Primo tra tutti Dan Di Micco, Ceo della Nucor, il maggior gruppo siderurgico degli Usa, fortemente anticinese e anti loro esportazioni di acciaio. Chiaramente si tratta del protezionista imperialista classico che non vuole l'acciaio cinese in Usa, ma fortemente interessato a vendere il suo acciaio all'estero, tanto è vero che – secondo quanto scrive Repubblica – è molto attivo nell'ottenere un ruolo nell'Amministrazione nel commercio estero.

Si torna alla grande finanza pura con il mago dei fondi di investimento di Wall street, John Paulson, che gestisce 19 miliardi di dollari e ha una fortuna personale di 10 miliardi di dollari.

Torna in campo David Malpass, già consigliere di Reagan e Bush padre, finito fuori gioco con l'amministrazione democratica.

A dar forza a Dan Di Micco non è però un finanziere ma un docente alla School Business, Università di California,  Peter Navarro vero e proprio ideologo anticinese, che addebita alla mano libera lasciata alla Cina, la crisi interna degli Usa, la perdita di posti di lavoro, l'impoverimento del ceto medio. E' a lui che si deve la proposta più radicale, in questo senso, di scindere tutti i rapporti di libero commercio, alzare i dazi e colpire tutti, non solo i cinesi, ma anche messicani, vietnamiti, cingalesi “chiunque insomma proponga importazioni o delocalizzazioni”.
Il carattere anticinese di questo ideologo è pieno di conseguenze sul piano internazionale. perchè provocherebbe oltre che reazioni economiche di ugual segno nei paesi sotto il suo mirino e comporterebbe rispetto alla Cina, ad esempio, una politica militare aggressiva su scala globale in tutte le parti del mondo dove vi è una forte penetrazione economica della Cina.

La lobby dei finanzieri di Trump, però, è davvero estesa. Steve Feinberg, del Cerberus Capital Management, gestisce più di 30 miliardi di dollari, e non certo si può definire un protezionista. 
Il fondo Cerberus ha tra i suoi sottoscrittori fondi pensione di molti paesi, inoltre questo fondo è specialista nell'identificare aziende e pacchetti di finanziamenti in disgrazia, comprarli a sconto e farli fruttare, tanto è vero che vi sono nel suo pacchetto venti titoli della sofferenze bancarie italiane.
Feinberg, però, era stato in buoni rapporti anche con Obama, in particolare nel periodo di transizione tra Bush e Obama. il suo fondo ha partecipato al maxi salvataggio del settore auto degli Usa.

Steven Mnuchin - secondo Repubblica - sarebbe candidato numero uno alla poltrona di Ministro del Tesoro. Fa parte di quelli passati con Trump appena fiutato il vento, dato che il suo Hedge Fund aveva finanziato nel recente passato Hillary Clinton, Al Gore, Obama e Kerry quando era candidato contro Bush. Ma nell'ultima fase della campagna elettorale è passato decisamente dalla parte di Trump ed è uno di quei fattori, insieme all'inchiesta dei capi del FBI, che hanno segnato le ultima fasi della campagna elettorale fatale alla Clinton.

Per concludere. 
La base materiale del potere di Trump è ben chiara ed anche ben chiaro che c'è stato il passaggio di una frazione della borghesia con Trump che ha costituito uno dei fattori della sua vittoria. Nel sistema elettorale imperialista sono queste cose che fanno vincere le elezioni.

Cavalcare la tigre del “voto operaio”, “voto di popolo”, come fattore determinante è una mistificazione. 

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