giovedì 9 giugno 2016

pc 9 giugno - Qualcuno spieghi ai sindacalisti di "Sindacatoaltracosa" perchè in Italia non si fa come in Francia e perchè essi stessi sono parte del problema e non della soluzione - allegato articolo dal n. di proletari comunisti di giugno - richiedi a pcro.red@gmail.com

9-10 giugno, metalmeccanici. Si faccia come in Francia o sarà a un contratto a perdere
PRETENDIAMO CHIAREZZA INTRANSIGENZA E CONTINUITA’.

Nei prossimi giorni i metalmeccanici e le metalmeccaniche scioperano. La Fiom, insieme a Fim e Uilm, ha infatti indetto il blocco degli straordinari (già da sabato 28 maggio e poi sabato 11 giugno), 4 ore di sciopero articolato in fabbrica e 8 ore di sciopero generale con manifestazioni regionali per giovedì 9 e venerdì 10 giugno.
Vi parteciperemo e saremo in prima linea, come sempre, per respingere l’attacco di Federmeccanica al contratto nazionale, ai nostri diritti e al nostro salario. Non nascondiamo però i limiti di questa vertenza e più in generale della mancanza di una mobilitazione della Cgil, resa tanto più evidente dalla lotta dei lavoratori e delle lavoratrici francesi, che a pochi chilometri da noi, bloccano il paese da settimane con picchetti e scioperi a oltranza.
Primo, perché la decisione di intraprendere un cammino unitario con Fim e Uilm è in netto contrasto con il percorso della nostra organizzazione di questi ultimi anni, sia sulla battaglia per la democrazia nei luoghi di lavoro sia sulle scelte di merito a partire dal ccnl del 2009 e dal no al modello Marchionne.
Secondo, perché questo sciopero, tanto quanto il blocco dello straordinario, arriva in ritardo e, nonostante la disponibilità mostrata dai lavoratori il 20 aprile, non è chiaro su quale piattaforma si chiamano i lavoratori a scioperare. Siamo convinti che si dovesse da prima imporre il ritiro della contro-piattaforma di Federmeccanica e alzarsi dal tavolo. Invece, sulla parte normativa, già a partire dalle piattaforme, si è andati avanti a trattare nei tavoli tecnici, aprendo e concedendo disponibilità già gravissime: sulla esigibilità degli accordi da parte delle aziende, sulla flessibilità in funzione della produttività, sull’utilizzo dello straordinario individuale come banca ore per riduzioni di orario negli ultimi anni prima della pensione, sulla sanità integrativa aziendale.
Terzo, perché, se come sempre è stato, il contratto dei metalmeccanici assume una valenza generale, bisogna con molta più forza puntare a generalizzare lo scontro coinvolgendo le altre categorie e mettere la Cgil di fronte alle proprie responsabilità. Per riconquistare un vero contratto nazionale sarebbe necessario coordinare la mobilitazione con tutte le altre categorie che allo stesso modo dei metalmeccanici non riescono a rinnovarlo (i servizi e la grande distribuzione commerciale, la scuola e il pubblico impiego soltanto per citare i principali) e programmare una lotta chiara, generale e continuativa, il cui sbocco naturale dovrebbe essere un vero sciopero generale contro il governo e i padroni.
Noi sosteniamo l’attuale mobilitazione, ci siamo e faremo la nostra parte, ma diciamo con altrettanta chiarezza che non vogliamo un contratto purché sia e chiediamo che, anche se in ritardo, questa lotta diventi finalmente una lotta vera e intransigente, che assuma una portata generale insieme agli altri settori e soprattutto che stavolta arrivi fino in fondo e non sia lasciata a metà. I lavoratori e le lavoratrici hanno dimostrato di esserci. Ora tocca ai vertici di Fiom e Cgil essere coerenti con questa disponibilità e dare come obiettivo chiaro, intransigente e immediatamente comprensibile il ritiro della contro-piattaforma di Federmeccanica, contestualmente alla rimessa al centro della battaglia contro il jobs act, chiamando tutte e tutti a “fare come in Francia”. Non è possibile che mentre a Parigi si lotta, in Italia l’atto più conflittuale è la raccolta di firme!
Sia chiaro da subito, che per parte nostra un contratto nazionale che non dovesse difendere il suo carattere universalistico e solidaristico, dovesse peggiorare le condizioni di lavoro e limitare il diritto di sciopero, incontrerà il nostro NO nelle fabbriche e soprattutto una pratica sindacale completamente diversa.
sindacatoaltracosa in Fiom

da proletari comunisti giugno 2016

La Francia è lontana... Perchè? 


In Italia è giusto manifestare in tutte le forme la solidarietà ai lavoratori, ai giovani francesi in lotta contro il Jobs act alla francese. Lo scontro in Francia è una trincea per tutta l’Europa, deve vincere e consolidarsi innanzitutto in Francia per irradiare tutta la forza del suo messaggio ai proletari e alle masse popolari. Tra due cose che vengono dette in Italia: “facciamo come in Francia”, “la Francia è lontana”, noi riteniamo più vera la seconda. In Italia non si può ancora “fare come in Francia”, perchè l’attuale sindacalismo nel suo insieme, con al centro la Cgil di Camusso, la Fiom di Landini, è da parecchio e tuttora l’anello di congiunzione degli interessi dei padroni e delle politiche del governo con il movimento dei lavoratori. Giustamente, si è segnalato che in una delle giornate campali dello scontro in Francia, i tre segretari sindacali confederali uscivano “giulivi cantando” da un incontro con Poletti e Fabbricini – oscuri burocrati di Renzi che gestiscono la politica antiproletaria e antipopolare del governo – che gli avevano testè comunicato un nuovo attacco alle pensioni all’ordine del giorno. Nel nostro paese non si può “fare come in Francia”, senza una acuta “guerra civile” nelle fabbriche, nei posti di lavoro e nel paese, tra le masse e gli agenti dei padroni e del governo nella fila dei lavoratori. Per fare come in Francia, bisogna che si faccia prima come si è fatto in Italia, nell’Italia della cacciata di Lama, nella stagione dei “bulloni” e di alcuni momenti di lotta importanti, nelle fabbriche Fiat ein altri settori di lavoratori. Senza riorganizzare le fila operaie e proletarie, non si creano le condizioni per una grande esplosione sociale, per un braccio di ferro su alcuni provvedimenti esemplari di padroni e governo, e per un contagio capace di unire tutte le lotte su tutti i terreni. Per questo “la Francia è lontana”, e bisogna lottare per avvicinarsi alla Francia. L’esempio francese aiuta perchè mostra che è possibile sbarrare la strada al governo del Jobs act, dell’art. 18, dell’attacco alle pensioni, al diritto di sciopero, ai contratti di lavoro, e al fascismo padronale lanciato da Marchionne e divenuto politica ufficiale dell’intera Confindustria. Oggi fare questo significa non incolonnarsi a firmare i referendum di Camusso/Landini, e non dichiarare un ennesimo sciopero generale “all’Italiana”, all’Usb maniera “la settimana prima del referendum costituzionale di ottobre”. Se non ci liberiamo nelle file del movimento operaio e di massa di queste posizioni, di questo modo di fare sindacato, noi non possiamo avere nessuna Francia. Pur con linguaggio diverso, noi siamo portati a condividere quanto scritto in un editoriale di Infoaut: “L’antropologia sindacale in Italia è infatti permeata dalla logica concertativa che non ha segnato solo la lunga infame stagione dei confederali, che ha finito per pervadere la forma mentis anche di coloro che contestano Cgil, Cisl, Uil. Pure tra i sindacati di base vediamo spesso radicarsi il virus dello scambio tra tessere e conflitto. Anche quelli che hanno avuto la capacità e l’intelligenza di mettersi a disposizioni dell’autonomia delle lotte, presto o tardi , sembrano entrare nel mercato della gestione di bottega. La riproduzione del proprio esistente è una ragione sufficiente per evitare con cura un conflitto che possa mettere in discussione gli equilibri rappresentativi guadagnati con la controparte. Così il calendario si riempie di inutili date rituali e si svuota di occasioni di lotta, che, come è noto, non avvengono mai dando ampio preavviso al padrone”. Sarebbe bene, però, che chi scrive ci mettesse qualche nome e cognome per rendere chiaro di chi si parla e perchè non sia un guardare appollaiato sul ramo di un albero la situazione, posizione altrettanto facile e rituale. Il sindacalismo di classe è lo strumento necessario, indispensabile, irrinunciabile della lotta di base di operai, precari, disoccupati, senza casa, senza lavoro, senza diritti. Il Partito di classe è il centro del coagulo delle avanguardie rivoluzionarie, necessario a dare ritmo e rotta. Il Fronte unito è la vera unità permanente rispetto al coordinamento contingente. La militarizzazione del pensiero e dell’azione delle lotte permette ad esse di resistere ed esistere nel loro cammino fatto di flussi e riflussi inevitabili. Senza questo progetto e questi strumenti è lontana l’uscita del movimento attuale dall’impasse che ora non ci permette di essere neanche come la Francia.

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