venerdì 10 giugno 2016

pc 10 giugno - Tunisia: affari della borghesia sulla pelle del popolo

Lo spiegano i padroni - con Licia Mattioli, presidente del Comitato tecnico di Confindustria per l’internazionalizzazione - spinti dalle imprese che hanno già avviato in loco delle attività e che continuano a vedere nella Tunisia, grazie anche alla vicinanza geografica, una piattaforma produttiva naturale. Il paese presenta buone chance per gli investitori italiani, anche se non è ancora completamente uscito dalle turbolenze economiche e politico-sociali». Tre le opportunità che offre, ha continuato la Mattioli, ci sono una normativa favorevole in materia di incentivi, il basso costo dei fattori di produzione, una manodopera qualificata e una popolazione giovane, altamente scolarizzata. «A questo si aggiunge la complementarietà dei nostri sistemi produttivi, l’importante processo di riforme e i piani di sviluppo recentemente adottati che rendono interessanti le prospettive di cooperazione bilaterale, in ragione anche del fatto che l’Italia vanta una posizione promettente in Tunisia: siamo il secondo paese fornitore - ha concluso la Mattioli - il secondo cliente e il secondo investitore con una quota di mercato di circa il 16 per cento».

La Tunisia a caccia del suo boom economico 

dalla stampa ROLLA SCOLARI

Autostrade, ponti, centrali elettriche, fotovoltaico: così il presidente Essebsi prova a cambiare l’economia
Collegare la capitale alla periferia impoverita dove fermenta il dissenso è anche un tentativo di controllo maggiore del territorio.  

L’Unione europea ha approvato giovedì un prestito da 500 milioni di euro per la vicina Tunisia. L’obiettivo sarebbe quello di sostenere il Paese nelle sue sfide economiche dando così una spinta al processo democratico. Il Fondo Monetario internazionale ha da poco annunciato un simile passo - un prestito di 2,8 miliardi di dollari in quattro anni -, mentre il governo di Tunisi lavora a un colossale piano di sviluppo da presentare a novembre.

Una transizione fragile
In seguito all’instabilità causata ovunque nel mondo arabo dalle rivolte del 2011, iniziate proprio in Tunisia, la nazione del Nord-Africa si è distinta per aver saputo a fatica preservare una fragile transizione politica, e oggi se ne parla come di una “storia di successo”. Il paragone è con il caos libico, il passo indietro egiziano, il conflitto ormai regionale in Siria. Il compromesso politico che ha garantito alla Tunisia una stabilità ancora a rischio non si è però tradotto in un successo economico. Le difficili condizioni dell’economia nazionale ora, in un circolo pericoloso, rischiano di mettere a dura prova le conquiste politiche. Le previsioni di crescita per il 2016 sono dello 0,5 per cento, il tre per cento in meno rispetto al 2016. La disoccupazione è al 15 per cento. Gli attacchi terroristici del 2015 – quello al museo Bardo dove sono state uccise 22 persone, quello sulla spiaggia dei turisti di Sousse in cui le vittime sono state 38 – hanno ferito gravemente la vitale industria del turismo. A gennaio, l’intensità delle manifestazioni innescate dal disagio sociale a Tunisi e in cittadine del centro e del sud del Paese hanno costretto il governo a imporre giorni di coprifuoco.

Il piano per lo sviluppo
Il presidente Béji Caid Essebsi lavora a un massiccio piano di sviluppo economico su cinque anni, che vuole presentare al mondo, e soprattutto agli investitori stranieri, in una conferenza internazionale a fine novembre. Autostrade, ponti, centrali elettriche, eoliche, fotovoltaico, porti, ferrovie, metro e la riabilitazione di oltre 300 quartieri è secondo Le Point l’ambizioso obiettivo di questo enorme piano che, se implementato, potrebbe avere effetti importanti in Tunisia, economicamente e politicamente. Un esempio: l’autostrada Tunisi-Gafsa collegherebbe alla capitale alcune delle città al centro e sud più problematiche, perché considerate la periferia impoverita dove fermenta il dissenso: Kairouan è la città dove abitava uno degli attentatori di Sousse e da dove sono partiti per raggiungere il fronte dello Stato islamico decine di tunisini; Sidi Bouzid è l’iconica cittadina in cui ha avuto inizio l’era delle rivolte arabe con la disperata contestazione di un venditore di ortaggi; Kasserine è stata teatro a gennaio di importanti manifestazioni innescate dal malcontento sociale ed economico, che hanno fatto traballare i nervi del governo centrale.

I protagonisti
Il consorzio internazionale che si occuperà della promozione di questo ambizioso progetto ha firmato un contratto con il ministero dello Sviluppo, Investimento e Cooperazione internazionale tunisino a maggio. E’ formato dalla banca d’affari francese Arjil, l’ufficio di studi tunisino COMETE Engineering, il gruppo editoriale Jeune Afrique. In Tunisia, le prime controversie attorno al piano sono arrivate a causa di un protagonista inaspettato. Il maggior consulente per la promozione del progetto, incaricato di attirare nel Paese investitori scoraggiati da numeri bassi e instabilità politica, è Dominique Strauss-Kahn. DSK, dopo anni di scandali sulle sue condotte sessuali, ha ancora un caso giudiziario aperto, emerso dai Panama Papers. Secondo Le Monde, il suo fondo d’investimenti del Lussemburgo Leyne, Strauss-Kahn & Partners (LSK) avrebbe creato una trentina di società in paradisi fiscali. “DSK al capezzale della Tunisia”, ha titolato il quotidiano francese Le Parisien. Il ministero dello Sviluppo tunisino è stato svelto a mettere a tacere le polemiche: DSK – che da diverso tempo ha casa e ufficio in Marocco, dove lavora come consulente finanziario - è stato scelto dalla banca Arjil, non dal governo.

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