martedì 7 giugno 2016

pc 7 giugno - i padroni non hanno limiti alla rapina del salario

Dall’agenzia Adnkronos 5/6/2016
Lavoro, allarme Bankitalia: rischio crescita salari 2016 al minimo storico.
Con nuovi accordi prevedibili modifiche contratti al ribasso.
La crescita dei salari potrebbe toccare il ”minimo storico” nel 2016. Senza la sigla di nuovi contratti l’incremento delle retribuzioni quest’anno si dimezzerebbero rispetto al 2015, fermandosi allo 0,8%. A lanciare l’allarme è Bankitalia che, nella relazione annuale, descrive una dinamica salariale che mostra già da tempo segni di rallentamento, e che a partire dalla fine del 2015 si è ”ulteriormente affievolita”. Lo scorso marzo i contratti non rinnovati pesavano per circa il 50% per cento del monte salari. Palazzo Koch spiega che anche i pochi contratti rinnovati nella seconda metà del 2015 ”non prevedono tranche di aumento significative nel corso del 2016” perché riflettono aspettative di inflazione deboli. Stime di Bankitalia rivelano che a partire dal 2008 è cresciuto il grado di correlazione tra variazione dei salari e aspettative di inflazione.
Gli accordi raggiunti in alcuni settori, come quello della chimica-farmaceutica e della gomma-plastica, prevedono ”possibili futuri aggiustamenti” in caso di una inflazione che si discosti in modo significativo da quella presa a riferimento nel contratto. Il ”rischio”, secondo Bankitalia, è di una ”ulteriore intensificazione delle pressioni al ribasso sulla dinamica dei prezzi, se l’evoluzione dell’inflazione dovesse continuare a essere peggiore di quella prevista nei contratti”.
Inoltre si è ”rafforzata” la relazione negativa, tra dinamica delle retribuzioni e tasso di disoccupazione. La progressiva diffusione di elementi variabili della retribuzione, sommato al ricorso ai contratti a tempo determinato, ha consentito alle imprese di ”negoziare con i lavoratori salari più in linea con le condizioni cicliche, prevalenti al momento della stipula del contratto di lavoro”. Secondo gli studi di Bankitalia le imprese più grandi hanno limitato la crescita dei salari medi unitari, mentre quelle minori hanno ridotto l’occupazione con maggiore frequenza. Inoltre si evidenzia che le imprese medie piccole ”pagano salari più bassi, prossimi ai minimi fissati dai contratti nazionali e spesso privi di componenti salariali aggiuntive, quali bonus”.

pc 17 marzo - CONTRATTO METALMECCANICI: "SALARIO MINIMO" NON PER DARE MA PER TOGLIERE

Nella trattativa che si trascina da tempo per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, la Federmeccanica ha proposto di istituire un salario minimo di garanzia da rivalutare ogni anno ex post: per i lavoratori sotto questo livello minimo
scatterebbe l’adeguamento retributivo. Questo vuol dire in sostanza "non riconosce - come ammettono gli stessi sindacati confederali - al 95% dei lavoratori nessun aumento, rendendo inutile e residuale il contratto nazionale».
Rocco Palombella (Uilm) - uno dei più vicini ai "sentimenti" e alle tasche dei padroni - ha sottolineato che «sul salario la proposta di Federmeccanica prevede aumenti in busta paga dal 2017 e solo per quei salari non allineati alla soglia del minimo di garanzia per 37,31 euro mese, escludendo il 95% dei metalmeccanici che hanno voci retributive derivanti da contratto aziendale o da superminimi individuali».
Quindi, non solo gli industriali non vogliono dare un centesimo alla stragrande maggioranza degli operai, ma di fatto, se passasse questo tipo di contratto, la stragrande maggioranza degli operai si vedrebbe cancellare delle voci salariali. Quindi un contratto a perdere!

I padroni vogliono al massimo dare elemosine a livello aziendale ma legate alla produttività, che tradotto per gli operai vuol dire legate ai livelli di sfruttamento, di intensificazione del lavoro, allungamento dell'orario di lavoro (con vari sistemi: straordinari, peggioramento dei turni, riduzioni pause, ecc.). Questo porta alla cancellazione di fatto del contratto nazionale, come da tempo chiede la Confindustria, dell'unità di condizioni degli operai, al ripristino di una sorta di "gabbie salariali", questa volta azienda per azienda e all'interno dell'azienda tra gli stessi lavoratori, per delle misere centinaia di euro (la proposta è una ridistribuzione di 260 euro); per cui sarebbero comunque le aziende a decidere che qui si può contrattare questa miseria, qui no, ecc.

E' da tempo che i padroni hanno maturato questa linea. Fim, Fiom, Uilm - che hanno ritrovato una unità (inevitabile, visto che la Fiom aveva presentato una piattaforma che di differente aveva poco e visto la posizione di ultradisponibilità di Landini) - non se ne possono ora meravigliare, dato che gli hanno aperto autostrade in tutti questi anni perchè dalle intenzioni i padroni passassero ai fatti.
Con il "salario minimo" il capitale realizza il suo costante impegno di andare anche sotto il pagamento del "lavoro necessario" dell'operaio.

Rimettiamo le cose in chiaro. Il salario è il prezzo dei mezzi di sostentamento necessari a riprodurre la forza-lavoro dell'operaio, in questo per il capitalista la forza-lavoro è come una qualsiasi altra merce il cui prezzo è stabilito sulla base del tempo medio/sociale necessario alla sua produzione; ma l'operaio è una merce speciale che dopo aver lavorato per un tempo x per riprodursi (lavoro necessario) continua a lavorare gratis per il padrone e quindi a produrre plusvalore.
Quindi il salario non è un "compenso" - come tanti economisti da strapazzo lo chiamano - dato dal capitalista per il "lavoro fatto dall'operaio", ma il pagamento del tempo che serve all'operaio per riprodursi come merce forza-lavoro. Quindi stando alle loro stesse leggi capitalistiche, le aziende dovrebbero "almeno" pagare il salario corrispondente al tempo necessario per la produzione dei beni, in condizioni sociali date, che servono all'operaio per tornare il giorno dopo, il mese dopo a lavorare per il capitale. 
Invece, i capitalisti vogliono pagare un "salario minimo", fuori dalle stesse loro leggi. 
I padroni, e i loro economisti, non hanno limite alla rapina sul salario. E in generale solo la lotta degli operai in varie fasi ha messo un argine alla ricerca del "massimo ribasso".

Ora, sfruttando la debolezza del movimento operaio, frutto delle politiche di peggioramento, dello scarico della crisi sui lavoratori che fanno i padroni e il governo (in questo, il jobs act di Renzi con la cancellazione di fatto dell'art.18 è una mannaia della forza degli operai), uniti alla micidiale politica di accettazione dei sindacati confederali, il padronato punta ad un'altra sua vittoria.

Fiom, Fim, Uilm promettono mobilitazione, sciopero su questa questione del salario.
Ma nello stesso tempo hanno "redatto un documento su regole, comportamenti, democrazia e rappresentanza, decidendo di creare un gruppo di lavoro per disciplinare i rinvii del Testo unico del 10 gennaio 2014 alla contrattazione di categoria". Vale a dire, stanno mettendo a punto quelle regole fasciste (vere e propri bavagli e catene per gli operai) che impediranno ad operai, delegati, Rsu di mettere in discussione il contratto e gli accordi che loro andranno a firmare.
Come ha detto Marco Bentivogli (Fim): "Le aziende sono riuscite nel capolavoro di ricompattare il sindacato dopo 8 anni, da soli non ci saremmo mai riusciti».

Spetta ora agli operai di rompere questa catena che si stringe sempre più al loro collo.

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