lunedì 9 marzo 2015

pc 9 marzo - La repressione a Taranto

Libertà, democrazia e giustizia sociale a Taranto non vanno d’accordo


giustiziaTARANTO – Che città ipocrita quella in cui viviamo. Dove in molti pensano che bastino quattro righe di solidarietà per pulirsi la coscienza e autoconvincersi di essere dalla parte giusta. Di aver fatto il proprio dovere. Di essere vicino a chi, ancora una volta, paga un prezzo salatissimo (è proprio il caso di dirlo) soltanto per essere ciò che é. Il riferimento è, ovviamente, alle 32 condanne giunte ad altrettanti cittadini e cittadine di Taranto, per aver “tutti partecipato ad una pubblica riunione in Corso Italia angolo Via Marche all’esterno del Palazzo di Giustizia nonostante il divieto ordinato dal Questore di Taranto allo svolgimento della manifestazione”.
Quel giorno, all’interno del tribunale, si svolgeva la seconda parte dell’incidente probatorio nell’inchiesta sull’Ilva, poi culminata nel processo attualmente in corso.Quel giorno, all’esterno del tribunale, centinaia di persone (in prevalenza giovani) erano lì a manifestare pacificamente il loro sostegno nei confronti della magistratura, ma soprattutto erano lì per gridare al cielo la loro voglia di cambiamento, le loro speranze per un futuro migliore e diverso per tutti. Speranze a cui quell’inchiesta aveva dato nuova linfa.
Eppure, quasi tre anni dopo (anche se il provvedimento reca la firma del 19 giugno 2013 ma questi, si sa, sono i tempi della giustizia italiana), tra quelle centinaia di persone 32 ricevono una condanna penale all’ammenda singola di 3.801 euro. Strano, vero? Come mai si condannano soltanto quelle 32 persone che quel giorno parteciparono a quella manifestazione come liberi cittadini, senza essere nemmeno i promotori di quella iniziativa? Come mai non sono state segnalate tutte le centinaia di persone presenti quel giorno?
striscionePerché non sono state condannate tutte? Queste, ovviamente, sono domande puramente retoriche. Che vanno bene per tutti coloro i quali non conoscono la
Storia di questo Paese e quindi di questa come di tutte le altre città italiane, dove episodi del genere avvengono ogni giorno. Domande adatte anche per coloro che la Storia la conoscono bene,  molto bene, ma preferiscono recitare la parte di chi non sa, di chi è incredulo e indignato, di chi è dalla parte dei cittadini, dei diritti, di ogni libertà di espressione e di pensiero. Ma che, guarda un po’, sa di avere mille santi in paradiso. Che da sempre lo proteggono. E stupidamente pensa che nessuno lo sappia. La sua fortuna è, ancora una volta, quella di vivere in una città dove tutti sanno tutto di tutti, ma in pochissimi hanno il coraggio di parlare, di denunciare, di schierarsi senza avere paura, di rifiutare gli agganci e i legami, in virtù della solita ideologia “degli amici, degli amici, degli amici”.
Del resto, quanto accaduto è un’azione puramente repressiva. Di natura sociale e politica. Che in questo Paese viene attuata da decenni ed in ogni angolo d’Italia verso chi, lo ripetiamo ancora una volta, ha deciso cosa e chi essere e da che parte stare (pur con tutti gli errori commessi e la cadute vissute negli anni). Signori, suvvia, facciamo le persone serie. Quei 32 nomi non appartengono a cittadini estratti a caso dalle pagine bianche. Non sono stati più sfortunati degli altri. Sono 32 persone che conosciamo tutti. O meglio, che conosce chi vive questa città quotidianamente. Sono 32 persone da anni impegnate nelle loro battaglie politiche e sociali (giuste o sbagliate che siano).
Sono 32 persone che fanno parte di determinati ambienti di lotta: vuoi centri sociali, vuoi gruppi organizzati, vuoi sindacati di classe, vuoi sempliciti lavoratori e/o disoccupati che hanno scelto di non restare a casa a guardare alla tv o sui social network da semplici spettatori ciò che accade nella loro città. Sono 32 persone che negli anni hanno svolto sit-in, presidi, manifestazioni, occupazioni e via dicendo. Sono persone che non vengono colpite per la prima volta da condanne del genere.
E’ dunque un’azione atta a colpire, secondo la Questura, la Digos e la magistratura, chi è a capo di diverse organizzazioni nell’ambito di un’unica grande macroarea che ha la “colpa” di aver scelto da che parte stare. Di aver scelto in cosa credere. Di lottare per ciò in cui crede con i mezzi che ritiene opportuno. I quali, putroppo, spesso contrastano con quelli permessi dalla legge italiana. Da sempre pronta a colpire, nel più breve tempo possibile gli ultimi o chi delinque, così come chi conduce battaglie o lotte politiche e sociali sposando ideali di un’area politica ben determinata che certamente non è di destra o fascista. Invece, pur essendo l’apologia del fascismo un reato (da sempre), le manifestazioni dei fascisti vengono scortate e protette al meglio da chi ha il compito di tutelare l’ordine pubblico.
lottareChe poi, a pensarci bene, è ciò che accadde quel famoso 30 marzo 2012. Quando dall’altra parte della città scesero in strada, alquanto minacciosi e rumorosi, 8mila operai dell’Ilva. Una manifestazione organizzata ad arte dall’azienda e sulla quale si è già scritto di tutto e di più negli anni. Ciò che invece interessa, è notare come quella manifestazione fu protetta e tutelata. A dimostrarlo, un video della trasmissione “Le Iene” di Italia 1, che mostra come quando il giornalista si avvicinò, sul Lungomare di Taranto, agli operai per far loro qualche domanda, venne allontanato in modi spicci da alcuni agenti delle forze dell’ordine che sostennero non fosse possibile ascoltare la voce degli operai. Cose strane, vero? Di questi fatti ne sono accaduti tanti nella nostra città e altrove. E tanti altri continueranno ad accadere.
Torniamo alla manifestazione tenuta, quel giorno, davanti al Tribunale, che ha avuto grande risalto perché a sostegno dell’operato della magistratura. Era stata organizzata, in particolar modo, dall’area ambientalista, una parte della quale è da sempre in ottimi rapporti con Questura, Digos, magistratura ed altri centri e luoghi di potere molto conosciuti in città, come ad esempio la massoneria, rimasta miracolosamente illibata. Quella volta come in tutte le altre. Strano, vero? Non solo. Chi scrive ha sempre diffidato dal tessere lodi a sproposito all’azione della magistratura. Evitando di far diventare eroi magistrati che fanno semplicemente il loro dovere. Ma qui si apre un capitolo spiacevole per molti.
La magistratura, e questo è garantito dalla legge, è assolutamente libera e indipendente nel prendere le sue decisioni. Un esempio pratico: è vero che su segnalazione della Questura il pubblico ministero è obbligato a prendere in considerazione la segnalazione e quindi ad effettuare le indagini del caso, ma è altrettanto vero che il pubblico ministero è assolutamente libero di decidere se procedere con l’azione penale (quindi decidere per la condanna in questo caso commutata in multa) oppure archiviare il caso. Dunque, è assolutamente falso sostenere la teoria secondo cui la magistratura era obbligata a procedere, come è avvenuto in questo caso. E’ esattamente l’opposto. E chi sostiene l’obbligatorietà dell’azione della magistratura, o pecca di ignoranza, o continua pervicacemente a falsificare la realtà a proprio piacimento per difendere i propri interessi e le proprie amicizie.
E qui nasce spontanea una domanda: perché la magistratura tarantina, in questo caso il Pm Maurizio Carbone (sostituto procuratore presso la Procura di Taranto, nonché nuovo segretario generale dell’Associazione Nazionale Magistrati e firmatario del provvedimento) ha deciso di dare seguito alla segnalazione della Questura di Taranto chiedendo al giudice di punire quelle 32 persone, che tra l’altro, quel giorno, manifestavano a sostegno dell’azione della Procura di Taranto?
Perché allora non aprire una bella inchiesta, come accaduto ad esempio per l’Ilva o come avviene nei confronti delle organizzazioni malavitose, in modo tale da andare a prendere e condannare tutti i partecipanti di quella manifestazione? Perché quelle 32 persone sì e gli organizzatori no? Perché si decide scientemente di andare a colpire, ancora una volta, gli stessi cittadini che ancora oggi, nonostante tutto, continuano a lottare a modo loro per gli ideali in cui credono? Perché tante altre manifestazioni, riguardanti altre categorie di persone e personaggi, continuano ad essere concesse, autorizzate, tollerate, anche a discapito dell’intera cittadinanza? Perché in città si continua a tollerare l’esistenza di sacche di totale illegalità di vario genere senza colpo ferire? Mistero.
Le risposte a queste domande sono ancora una volta troppo semplici e banali. Probabilmente chi detiene il potere in questo Paese, spesso ne abusa: o no? O forse c’è chi è amico del potere e chi no? C’è chi è un ipocrita e chi no? C’è chi crede ciecamente nei propri ideali e chi no? C’è chi si schiera, lotta e combatte e chi rimane sempre un passo indietro? C’è chi non ha santi in paradiso e chi invece ha amici tra inquirenti e forze dell’ordine? C’è chi con il sistema, con questo sistema, non vuole avere niente a che fare e chi in questo sistema ci sguazza da sempre facendo finta di combatterlo?
Sono domande lecite? Dubbi fondati? Oppure siamo noi che vediamo le cose attraverso lenti d’ingrandimento distorte? Queste, più che domande, per noi sono affermazioni. Certezze. C’è che in questa città, in questo Paese, la democrazia, la libertà, la legalità, la giustizia sociale e il potere non andranno mai e non potranno mai andare d’accordo. “La giustizia senza forza è inerme, la forza senza giustizia è tirannia” (Clermont-Ferrand, 19 giugno 1623 – Parigi, 19 agosto 1662).
Gianmario Leone 
www.inchiostroverde.it
Foto di Ilaria Basile
 IL PROVVEDIMENTO

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